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mercoledì 18 giugno 2025

Tra le figure della Taranto di una volta

UELINE “D’U GRATTA-GRATTE” VENDEVA LA BIBITA IN VIA DANTE

 

 

Collezione De Florio
Di chioschetti come il suo si trovavano in ogni parte della città: sui Tamburi, in centro, alle Tre Carrare, a Solito. Qualche venditore per 10 lire riempiva un tegame. Questa bibita rinfrescante ha segnato un’epoca. 

 

 

 

 
 



FRANCO PRESICCI
 
 


In un servizio televisivo ho visto una folla di turisti attorno a un banchetto che serviva “
Il pialletto
’u gràtta-gràtte”. Non ho individuato la città, ma il pensiero è volato subito alla mia. Ai ricordi lontani, che resistono alle dinamiche della memoria. La città è Taranto, detta la Bimare, perché abbracciata appunto da spettacolari distese d’acqua, collegate da un canale navigabile. Basta niente per smuovere i miei pensieri: pur vivendo a 900 chilometri di distanza, io resto attratto da questo gioiello, amato non soltanto da chi vi ha emesso i primi vagiti, ma da tantissimi altri, che venendo da ogni parte del mondo, l’hanno visitata e quindi conosciuta. Taranto per me è il luogo del cuore. Me ne allontanai per cercare il luogo in cui poter esercitare al meglio il mestiere sognato, impedendomi di vivere quotidianamente la mia culla, di poter godere il profumo e la meraviglia “d’a Marine”.
Alla vista “d’u gràtta-gràtte e dell’ambulante che con l’apposito attrezzo, “’u piallètte”, facendo avanti e indietro sulla stecca di ghiaccio, ricava quello che gli serve, lo versa in un bicchiere irrorandolo di essenze di limone o di fragola o di menta... nei periodi più caldi dell’estate, sono andato in visibilio. Quel spezzone televisivo mi ha riportato indietro di almeno settant’anni. E mi ha messo di fronte alla figura di un uomo massiccio, Uelìne, che sistemava la sua attrezzatura in via Dante all’angolo con via Giovan Giovine e ritmando quel pialletto faceva un delizioso “gràtta-gràtte”. Tutto il giorno davanti alla sua postazione si accalcavano decine di persone, ragazzi e adulti. Uelìne era buono, contento di quella occupazione, che non gli faceva guadagnare molto, ma gli consentiva lo stretto necessario.
via Nettuno (Tre Carrare)

Gli volevano bene tutti, lo salutavano tutti quando lo vedevano passare per via Nettuno o per via Oberdan, qualcuno lo chiamava a gran voce. Quando preparava un bicchiere con la sua bibita, canticchiava o faceva garbate battute di spirito; e se qualche discolo usciva dal seminato lui continuava a canticchiare senza rispondere. Non si sapeva niente della sua vita privata: se fosse sposato, se avesse figli. Era riservato, pensava solo ad accontentare i clienti e quando vedeva che non ce n’erano più chiudeva baracca e burattini e se ne tornava a casa.
Chissà se ancora qualcuno si ricorda di lui. Molti hanno la memoria bucata che fa acqua, altri hanno altro da pensare, altri ancora non se ne importano più di tanto. Campeggia invece la figura di Marche Poll, più famosa perché girava per distribuire la schedina del lotto o il periodico “’U Panarjidde”, confezionato nella tipografia Leggieri (il titolare era di Altamura) e per guadagnare qualche soldo in più si prestava a fare da tramite agli scherzi di un buontempone.
Uèlìne no, faceva il suo lavoro con impegno e divertimento e poi via. A volte lo vedevo andare verso via Leonida, dove a quei tempi c’era “’u monde de le vacche”, di fronte a piazza Marconi, che allora ospitava il mercato. Come in tutti i mercati la gen
Nicola Giudetti
te, scegliendo la merce, conversava con il venditore o con un altro acquirente. Il mercato è anche il posto degli incontri e delle quattro chiacchiere.
Ricordo spesso e volentieri Uelìne” e “’u piallette”. Tanto che un giorno, in una delle mie rimpatriate, entrato in un negozio di casalinghi assieme a mia madre, proprio in via Dante, notai su uno scaffale il pialletto; anzi due, e li presi entrambi. “Che te fai?”, domandò quella santa donna, la cui preoccupazione era quella di risparmiare. “Può servire quando meno me lo aspetto. E se non mi capita l’occasione, lo conservo come cimelio”. L’occasione arrivò, a Martina Franca. Avevo invitato a pranzo almeno venti parenti, tutti di Taranto, e pensai di far loro una sorpresa: avevo preparato il ghiaccio versando acqua in un capiente contenitore rettangolare e lo avevo messo nel “freezer”. Quando arrivarono gli ospiti pranzammo e verso le tre del pomeriggio erano ancora tutti a tavola sul piazzale, mi organizzai e cominciai a servire la bibita che suscitò ilarità, piacere e urli di gioia. I pialletti li conservo in bella vista tra le mie anticaglie nel garage della casa di montagna e non manco di mostrarli, descrivendo l’uso che se faceva un tempo.
L'interno del locale di Giudetti


Naturalmente parlo anche di Uelìne, perché mi è rimasto nel cuore. Come Marche Poll, che addirittura gli universitari a una festa della matricola portarono sul palcoscenico con il ruolo di strillone. Anche qui non mancarono i guastafeste, che raccontarono a Marche Poll di essere stato raggirato: “Gli attori del cinema guadagnano milioni e a te hanno dato una miseria”. Non era così: in realtà lo avevamo trattato bene, ma il simpaticissimo, amato, stimato personaggio non si rassegnò.
Di racconti della Taranto di allora ne potrei fare parecchi, ma mi assale il timore di annoiare. Allora mi accontento di ricordare brani, scampoli, frammenti. I ricordi dimostrano che la mente funziona e rincuorano. Io sono lieto di avere in mente tante cose della mia città, oltre a Uelìne, che faceva “’u gràtta-gràtte”.
Non so quanti ricordino questa delizia. Nei primi anni 50 Uelìne c’era ancora. E c’era ancora la bibita, che vantava tanti fruitori. Una volta mi chiesero perché quel nome. Non seppi rispondere, come non saprei rispondere ad altri quesiti. La domanda è d’obbligo, direbbe Antonio Lubrano, perché grattare nel nostro dialetto ha il significato di rubare. Ma definisce anche l’atto di strofinate la pelle con le unghie per far passare il prurito e quello di sfregare il formaggio sulla grattugia. Il pialletto gratta il ghiaccio.
Quello a sinistra in piedi è Giuseppe Francobandiera
Antonio De Florio, mio consulente linguistico, storico e fotografico, o Nicola Giudetti, che in via Duomo nella città vecchia ha una collezione di oggetti antichi e documenti e immagini sulla Taranto di una volta, quella risposta saprebbero darla. Antonio rispolvera un quiz da lui proposto su facebook nel 2018, al quale furono una valanga i tarantini che pescarono nella memoria. E così riaffiorarono tantissimi banchetti o chioschetti o baracche montati in parte lungo le vice che portavano alle scuole; in via Cava nella città vecchia, dove il titolare Angelo per 10 lire riempiva un tegame; in via Duca degli Abruzzi angolo Principe Amedeo; in via Galeso vicino alla scuola Giusti; in via Diego Peluso angolo via Messapia. “’U mè’ mìene cchiù essenze”, diceva qualcuno al gestore. “Io abitavo in via Cavallotti - riferisce una signora - e andavo al chioschetto di ‘zì’ Vicienz’”. Ce n’era un altro in via Iside angolo via Capecelatro, alle Tre carrare.
Un signore che andava a rinfrescarsi da Uelìne afferma che quel gestore era tanto generoso che se un ragazzino non aveva i soldi “’u gràtta-gràtte” glielo confezionava gratuitamente, in disparte per evitare la voglia dei furbacchioni. “Mio padre ci mandava a prendere il ghiaccio senza essenza, perché a quella ci pensava lui”, ricorda un altro. Insomma, “’u gràtta-gràtte” lo si poteva prendere ovunque, e senza dover fare molta strada. Bastava girare l’angolo o fare un passo dal portone di casa.
Nicola Giudetti e Antonio De Florio

Quella bibita ha segnato un’epoca. Vero Antonio? Se mi rivolgo a Nicola Giudetti, e lo farò sicuramente questa estate, farebbe su questo tema una conferenza. E sono certo che a casa o nel suo… museo in via Duomo, nella città vecchia, conserva molte carte anche sulla storia di questa bevanda dissetante e rinfrescante che appena arrivava il caldo attirava migliaia di persone. “Appena racimolavo 5 lire mi precipitavo da Uèline”, mi dice un divoratore di cozze pelose, esperto nella cattura delle granseole, quando era più giovane. Vive a Milano , torna ogni anno a Taranto, va a dare un saluto a Mare Piccolo e poi fa un salto da Cesarino per acquistare le ostriche, le còzze e i tartufi di mare. Se posso, vorrei ricordare un altro ambulante: il gelataio, che passava con il suo carrettino, indossando un grembiule bianco, e urlava “Gelatiiii!”, prolungando la “i”. Non vedo più neanche quello. Anche questo mestiere è scomparso. Il gelato costava sei soldi.

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