Il monumento ai caduti il gioiello di Taranto
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Francesco Paolo Como |
Francesco Paolo Como sarà sempre nel ricordo dei suoi cittadini, uomo di tempra forte affrontò sacrifici, umiliazioni e ingiustizie per realizzare i suoi progetti
FRANCO PRESICCI
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Il monumento al centro della Vittoria (foto Antonio De Florio) |
Conoscono il nome dell’autore, che fu grande nel pubblico e nel privato, coerente nella sua fede repubblicana, inflessibile sostenitore della libertà e grandissimo artista? Io sono un tarantino pellegrino da tempo e ho perso il diritto di spargere giudizi sulla mia culla, alla quale sono comunque legato come le ostriche allo scoglio; ma da quello che mi dicono amici schietti e studiosi della terra di appartenenza l’indifferenza serpeggia in modo trasversale, e l’indifferenza è l‘anticamera dell’ignoranza.
Ma il professor Francesco Paolo Como, che vive e opera altrove, in un mondo che non ci è dato neppure immaginare, sicuramente non se ne cura. Li ho ammirati tantissime volte, quei soldati, che combatterono e morirono o rimasero feriti per difendere quella che una volta si chiamava Patria: Francesco Paolo Como li ha resi nelle forme e negli atteggiamenti in modo icastico. Se uno si accosta a quegli eroi può avere l’impressione che stiano per parlare, per muoversi, per dare risposte. Sono il risultato di un’arte alta, autentica, grandiosa; sembrano voler abbandonare lo spazio loro assegnato per venire incontro alla gente, immergersi nel flusso e riflusso di via D’Aquino, di urlare contro chi dimentica, ignora, si distrae.
A manovrare scalpello e martello per eseguire quei colossi è stato un artista che ha affrontato sacrifici, subito umiliazioni, angherie senza mai cedere, senza mai rassegnarsi. E’ stato un esempio, un modello. Eppure ho esplorato tante carte e non ho trovato a Taranto una via a lui intestata. Esiste a Talsano – mi ha detto Antonio De Florio, che studia la Bimare con scrupolo e passione – . Il nome di Como dovrebbe apparire in centro, dove invece scopro via della Livoria, un gioco di origine spagnola molto diffuso tra i ragazzi negli anni Cinquanta e anche prima.
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La parte alta del monumento ai Caduti (foto Antonio De Florio) |
Taranto è bella, adorabile, splendente, vanta parecchi cervelli, che però (detto con rispetto) affogano nel lasciar fare, nel “va bene, ci pensiamo domani” e il domani non arriva mai come quello di Totò. E così i geni prendono altre strade. E infatti negli anni Cinquanta il professor Francesco Paolo Como se ne andò a Roma con tutta la famiglia. Con un bagaglio pieno di brutti ricordi: l’ingratitudine atavica, lo scotto imposto per il rifiuto della tessera del fascio... Una riprova? Per realizzare l’opera di piazza della Vittoria prese in affitto un mezzo da una ditta, per andare a prelevare il materiale necessario; ma era il 28 ottobre del 1922 e l’autista abbandonò il volante in una strada di campagna per andare a fornire il suo contributo per l’ascesa del duce al potere. Il professor Como restò ore e ore a sperare in un miracolo, che arrivò dal titolare dell’azienda, preoccupato delle sorti del proprio dipendente. Il conducente lo fece per dispetto, odio, vendetta per l’antifascismo dell’artista?
Ho sempre avuto la voglia di superare i midi limiti e di apprendere qualcosa di pi della vita di questo artista che innalzò il capolavoro in piazza della Vittoria, che come tutte le piazze è stata ed è teatro di grandi avvenimenti, proteste, manifestazioni religiose, politiche (forse echeggia ancora l’oratoria di Almirante, Togliatti, Prodi...)... E ho chiesto al mio santo protettore Antonio De Florio, che mi ha procurato il numero di cellulare di Emma Como, liglia di Francesco Paolo, che di figli ne aveva cinque, tutti ancora in vita.
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Un aspetto del monumento di Como (foto Antonio De Florio) |
E’ stato per me un piacere e un onore conversare per un’ora con la signora, che vive con il marito, ex bancario, a Mantova, la città di Virgilio, dei Gonzaga, dei Tre Laghi e di Palazzo Te. Ho ricevuto tante risposte impreziosite da dettagli anche muniti. A volte l’interlocutrice mi ha anticipato. “Quando eravamo piccoli papà ci faceva il bagno. Poco presente, perché impegnato nell’insegnamento, alla Thaon de Revel, di disegno e poi di scultura. Terminate le lezioni, andava nello studio, in via Peripato, a modellare. Aveva degli allievi, e a chi non era capace di plasmare la creta suggeriva di intraprendere la via della scrittura, probabilmente perché ne aveva intuito il talento. Altri hanno preferito la pittura, arte che anche papà professava”.
Negli anni 50 Como si trasferì a Roma con tutta la famiglia e lì fu allievo prediletto di Ettore Ferrari, il cui monumento più famoso fu quello a Giuseppe Mazzini sull’Aventino. “Mi ricordo che quando morì (nel 1929: n.d.r.) mi dissero che Mussolini aveva suggerito ai suoi di disertare il funerale e che dietro il feretro c’era solo il cane.... Ripeto, non è una mia fonte diretta”. Como non potè partecipare, ovviamente non per obbedienza.
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Altro elemento dell'opera di Como (foto Antonio De Florio) |
La signora Emma parla con dolcezza, con calma, a voce bassa. Ha una memoria limpida, scorrevole. “Tutti in famiglia abbiamo amato quest’uomo, per la sua coerenza. Ci ha inculcato il valore della libertà. Quando stava modellando l’Aquilifero, uno degli elementi del monumento di piazza della Vittoria, la Giunta della Bimare insinuò che fosse cieco e che quindi era meglio affidare l’opera ad altri. Papà, che aveva soltanto un piccolo calo alla vista, reagì con energia: ‘Io l’ho fatto e io lo distruggo’. Papà e soprattutto la mamma, non ci davano mai ordini e non ci proibivano nulla. Ci consigliavano, tenendo sempre aperto il dialogo. Alla fine ci convincevamo che avevano ragione. I miei fratelli erano tutti affermati; Luigi era laureato in matematica e fisica ed era andato in America, poi tornò e si mise a girare il mondo per il suo lavoro; un altro fratello era un fotografo d’arte e fece il ritratto di papà...”.
La mamma Olga Gasperi, che era di Firenze, trasmigrò a Taranto, dove insegnò il ricamo di seta, oro e bisso al Magistero delle donne. Realizzò molti lavori pregevoli, tra cui un bellissimo volto della Venere Nascente, “anche quella in seta, oro e bisso. Tutti i lavori finirono nelle mani dei tedeschi”.
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L'opera svetta nel cielo (foto Antonio De Florio) |
Il professor Como in casa ha sempre parlato di politica, acquistava un sacco di giornali, compresi quelli d’arte. “Io poi ho seguito molto Eugenio Scalfari mi piaceva molto anche come parlava e ho letto i suoi libri. Da 53 anni vivo a Mantova e ho fatto il giro d’Italia per il lavoro di mio marito, Luciano”.
Emma è molto orgogliosa del suo papà, come anche i suoi fratelli. “Io stavo molto vicino a lui, lo vedevo lavorare il marmo con lo scalpello e il martello. Gli chiesi perché non usasse lo scalpello elettrico e mi rispose che doveva sentire nelle mani la materia”.
Quando passava davanti al monumento che signoreggia al centro di piazza della Vittoria, trasmettendo brividi per la sua potenza espressiva, Emma si commuoveva. Adesso non ci va più. Il XXV Aprile e per le feste delle Forze Armate le autorità continuano a deporre la corona d’alloro, la tromba a suonare il silenzio, i fotografi, durante la cerimonia. a formicolare con l’armamentario a tracolla. Emma riprende: “Sono stata presente alla commemorazione del 21 settembre del 2007”. E chiudendo questa edificante conversazione mi ha dato una notizia: “L’Università di Lecce ha fatto scrivere una tesi dei laurea su Francesco Paolo Como e sul monumento tarantino a una studentessa che vive a Parma, Azzurra Di Pietro. Per farla, lei ha parlato con tutti noi, per raccogliere fatti, momenti di vita e di lavoro, gusti, comportamenti, idee, tutto ciò che potesse servire, e ha consultato anche documenti, per descrivere in pieno l’artista e l’uomo”.
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Via D'Aquino (foto Antonio De Florio) |
Ho letto molte pagine su Francesco Paolo Como. Giacinto Peluso, il docente di francese che nelle aule fingeva di essere un orso, accenna alle “sofferenze morali inflitte ad un uomo che onorando con la sua arte i suoi gloriosi Caduti, ha onorato la città e l’ha arricchita di una pregevole opera che resterà nei secoli a venire”. E in altre pagine ho appreso che Francesco Paolo Como era secondo di otto figli ed era nato a Taranto il 6 aprile del 1888, in via D’Aquino, da papà Pietro Luigi, capomastro muratore, e da Grazia D’Alessandro, sarta e donna meravigliosa. Tutta la famiglia era di fede repubblicana.
A vent’anni alla scuola di Tommaso Antonucci iniziò il suo cammino artistico e poi partecipò a tanti concorsi, ottenendo ovunque successo. Nel 1912 entrò nell’Istituto di Belle Arti della Capitale, dopo aver superato brillantemente gli esami di ammissione; e vinse il posto nelle Ferrovie dello Stato. Era stato in guerra, guadagnandosi il grado di temente, tornò, continuò ad affrontare sacrifici, delusioni, fino al bando del concorso per il monumento, per cui dovette riempire lo studio di argilla pronta a ricevere l’alito dell’arte.
Ho meditato su un lungo testo di Raffaele Carrieri, poeta e critico d’arte, pubblicato sul “Poliedro” del 1° maggio 1924: “Non saprei parlare di questo semplice e pensieroso Artista senza mettere in primissimo piano la sua bella fibra d’uomo: moralmente e artisticamente parlando. Di Como ben si può dire che lo stile è l’uomo. Carattere fiero e animo gentile, sono le doti che formano la base granitica di tutta la sua vita intensa di passione e fede, oscuramente e silenziosamente combattuta…” E ancora: “L’Arte nel Como non trova un paladino ciarliero e zazzeruto che discute di estetica dinanzi ad uno sporco tavolo di caffè, ma il fervente artefice, l’instancabile lavoratore che tra quattro anguste pareti si cimenta per più ascendere… Nell’opera balzata fuori tutto è glorificato e ricordato: l’Apoteosi del sacrificio e la difesa della vittoria, i conduttori fidenti e i difensori accaniti, simboli dell’antica grandezza classica e romana, l’austera colonna Dorica con l’agile Nike tarantina, vetuste opulenze e glorie nuove…”. Gloria a Francesco Paolo Como.