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mercoledì 5 novembre 2025

Il biscegliese Dino Abbascià

UN IMPRENDITORE GENIALE DETTO IL “RE“ DELLA FRUTTA

 

 



Dino Abbascià in bicicletta
Aveva 13 anni quando emigrò a Milano a metà degli anni Cinquanta, in treno e con valigia di cartone. Cominciò a lavorare come garzone in un negozio di fruttivendolo, mostrando di essere un campione nelle vendite. Poi, fra impegno e sacrifici fondò un impero.

 

 




 
 
 
 
 
 
 
 
 
FRANCO PRESICCI
 
 

Sicuramente lasciò la sua Bisceglie con gli occhi lucidi, salendo su un treno per Milano, da solo. Aveva una gran voglia di rendersi utile, di non pesare sulla famiglia, di crearsi un avvenire con le proprie mani.
Dino Abbascià e Nico Blasi
Oggi nel suo paese gli hanno intestato una scuola primaria e l’ortomercato. Non gli mancarono delusioni. Nel capoluogo lombardo ebbe le sue delusioni. Attraversò in lungo e in largo la città, ma un posto di lavoro non riusciva a trovarlo; e scrisse alla mamma, pregandola di rivolgersi a don Pasquale Uva, che non solo nel suo territorio aveva creato un ospedale e altre opere. Quella lettera non fece in tempo ad essere recapitata: lui, Dino Abbascià, 15 anni, un sentiero lo aveva imboccato: un lavoro da garzone in un negozio di fruttivendolo in via Pacini con l’incarico di consegnare la frutta in sella a una bicicletta. I suoi occhi brillavano quando me lo raccontò un giorno nel suo ufficio disadorno al primo piano della sua azienda, in via Toffetti. Già, perché, dopo anni di sacrifici era riuscito a creare un impero, coinvolgendovi anche i fratelli.
Vado a memoria, non ho bisogno di consultare carte, ritagli di giornali, di ascoltare parenti e amici e soci dell’Associazione regionale pugliesi, che lo ebbero per tanti anni presidente. Ricordo bene quello che mi ha raccontato lui in diverse occasioni, compresa quella in cui mi invitò a pranzo nel ristorante di un suo amico a Porta Romana. Naturalmente io lo stuzzicavo, perché mai lui avrebbe cominciato il racconto della sua vita, sapendo che sarebbe finito sul giornale. Fra le sue doti aveva anche la riservatezza.
Abbascià e la moglie Teresa al ristorante

Quel giorno, mentre mi bagnavo le labbra con due dita di vino, avvicinai a lui il bicchiere, dicendogli che compivo il gesto in suo onore, perché ero astemio, ricevette una telefonata. “E’ una persona che ti vuol bene”, mi disse, e mi passò la cornetta. Era Giovanni Morandi, direttore del quotidiano “Il Giorno”. Conosceva tutti, personalità e persone comuni. Non c’era settore in cui fosse estraneo. E non dico le cariche: vicepresidente dell’Unione Commercianti, membro di tanti consigli di amministrazione… Quando al Circolo della Stampa venne tenuto a battesimo un quotidiano voluto da un gruppo di baresi, fu invitato tra i relatori; al Rotary Club di Merate veniva accolto come un principe; alla presentazione del libro “Capatosta”, di Beppe Lopez, nel salone dell’Unione Commercianti, illustrò la figura dell’autore in modo icastico. I suoi interventi all’Associazione regionale pugliesi, in via Pietro Calvi, che pilotava, erano brevi e succosi. Organizzava feste affollate all’Hotel Quark, a Natale, a Capodanno, a Carnevale e mettendo il telefono a viva voce faceva ascoltare il saluto e gli auguri di Albano, suo caro amico, da Cellino San Marco o da altre parti d’Italia.
Abbascià balla con la figlia Annamaria

Era instancabile. 
Raccolse una moltitudine di corregionali in un hotel di via Washington, presente il sindaco Letizia Moratti e Annamaria Bernardini De Pace, presidente onorario dell’Arp, in una festa memorabile. Fu ispiratore di tante iniziative e di un Premio, che ancora oggi è autorevole e seguito. E’ stato assegnato a Livia Pomodoro, a Renzo Arbore, alle donne del vino di Manduria… Nelle cerimonie per la consegna non era mai in primo piano: dava spazio ai collaboratori, che lavoravano con entusiasmo e competenza.
Era leale, schietto; era amato e rispettato. Tutti, non soltanto al suo sodalizio, riconoscevano i suoi grandissimi meriti. Poco prima di morire, il 13 giugno 2015 (nato il 5 aprile’42) lasciò ai suoi un messaggio: “Non mollate”. E quelli osservano la sua ultima volontà. Pino Sorrentino, un membro del consiglio, dette la notizia su Facebook con queste parole: “Stamattina è venuto a mancare un grande uomo”. Con il suo sorriso e i suoi occhi dolci, con le sue maniere rispettose, galvanizzava chi aveva voglia di fare. Dell’associazione – dove erano esposti i quadri di un grande artista, Antonio Mellone - allevato a una disciplina militare - che con la sua matita per anni illustrò gli avvenimenti più rilevanti al “Giorno” - era l’anima, il fulcro.
L’associazione era (e continua ad essere) un cantiere sempre aperto. Fu lui a trasferire la sede da piazza Duomo a via Pietro Calvi, dove dette fiato all’entusiasmo di Giuseppe Selvaggi, che tiene alto il nome del circolo con la sua passione.
Abbascià e la moglie Teresa in Kenya
Era legatissimo alla sua Bisceglie, i cui prodotti agricoli percorrono tutta l’Europa. Ci andava spesso, rivisitava i suoi vicoli, i dolmen, le sue chiese, beveva l’atmosfera di arte e di storia e scriveva articoli appassionati su un periodico dedicato alla Puglia. Ma se durante i suoi soggiorni nella città dei suoi natali veniva invitato altrove per partecipare a una festa, a un convegno, a una gita non si faceva pregare. Ed eccolo nella Basilica di San Martino in Valle d’Itria assieme al rettore don Franco Semeraro e con lui immortalato nelle foto scattate da un amico; ed ancora nella campagna di Antonio Marangi, sempre a Martina, per una serata di allegria tra fegatini ed altre delizie. La Puglia era nel suo cuore. A Santa Maria di Leuca venne presentato un libro di un socio e non mancò, con Francesco Lenoci, di essere presente. In kenya costruì una scuola con le sue mani. Ho in mente un’immagine che lo ritrae a torso nudo, pantaloncini e un mattone in mano. Dino Abbascià, imprenditore osannato, trasformato in muratore per dare un tetto a bambini che studiavano sotto un albero.
Dino Abbascià e il ministro Maroni

Aveva un cuore d’oro. Un giorno, al termine di una manifestazione al Circolo della Stampa, sentii dirgli da una signora molto anziana che le ciliege costavano troppo e lui pronto: “Nel pomeriggio ti mando un cesto non solo di ciliege”. La generosità di Dino Abbascià era nota. Non spiattellava i sacrifici che aveva fatto né la sua bontà. Quando era assediato da cronisti amici usi ad affondare la benna si confidava. Lo chiamavano spesso, anche i redattori di grandi giornali. Anche la televisione. Aumentava esageratamente il prezzo della frutta? Si chiedeva il motivo ad Abbascià. E giacché c’era, qualche domandina sulla strada che aveva percorso per arrivare ai pioli alti della scala gliela facevano. Era una figura esemplare e i giornalisti non lo perdevano di vista. Ma Dino non si vantava di essere passato da garzone di fruttivendolo al vertice di un’azienda, da lui costruita passo dopo passo.
E’ scomparso da anni e a Bisceglie, di cui è l’orgoglio, non lo dimenticano. Ha tenuto alto il suo nome, ha fatto conoscere di più le sue virtù anche architettoniche, le sue attività ortofrutticole e manifatturiere, le sue bellezze. Ricordandolo, il presidente dell’Unione Commercianti, Carlo Sangalli, ha detto che era “l’amico che tutti vorrebbero avere e l’alleato che non chiede mai nulla in cambio”. E sempre Sangalli tenne l’orazione funebre in una chiesa zeppa di ammiratori che straripavano sul sagrato. Gente commossa, che commentava una personalità dalle mille doti, non frequenti nel mondo in cui viviamo.
Abbascià sull'altalena

Abbasscià era alla mano, cordiale con tutti, intelligente. Francesco Lenoci, docente di economia alla Cattolica, uno dei suoi estimatori, dice: “Era un grande, arrivato a Milano con la valigia di cartone, diventò il re dei fruttivendoli. Pensava in grande. Aveva capito l’importanza della finanza ai fini della crescita virtuosa delle piccole e medie aziende, degli artigiani e dei negozi. Per me era leggendario”.
Era apprezzato anche perché ogni volta che prendeva la parola in un convegno o in un’altra manifestazione si presentava come fruttivendolo. Ed era amico di tantissima gente che conta. A chiunque chiedessi un parere su di lui, ti sentivi rispondere: “Abbascià? “Era una persona corretta, un imprenditore onesto, che non amava i giochi di prestigio. E’ rispettoso, un formicone di Puglia”. Il lavoro per lui era sacro.
Quando era ragazzo, ancora garzone, gli altri ragazzi facevano a gara con lui: facevano di tutto per vendere di più, ma perdevano sempre. Era arrivato a Milano a metà degli anni Cinquanta. A 18 anni con i fratelli apri due negozi, uno in viale Coni Zugna e uno in via Mirabello. Serviva ristoranti, negozi, mense, hotel… Fu presidente del Sindacato milanese dettaglianti lombardi ortofrutticoli. Siedeva in vari consigli di amministrazione.. Era instancabile. Tutti a Milano conoscevano il salotto della frutta di Dino Abbascià vicino all’ospedale Fatebenefratelli.