CINQUANTAMILA
NELLA CITTA’
LIBERATA
DALLE CILINDRATE
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Al centro l'assessore Valentini e il sindaco Tognoli |
Giovani, adulti a piedi, in bici, su velocipedi su pattini, su skateboard. Personaggi stravaganti, il pittore che dipinge correndo, l’uomo con la scimmia sulle spalle. Partenza da piazza Duomo invasa dai pettorali
arrivo all’Arena fra boati di applausi.
A sinistra della foto Franco Presicci
Franco
Presicci

Della
Stramilano, giorno di festa, di esultanza, di sport, custodisco
tantissimi ricordi. Un giorno in cui una folla immensa conquista la
città e se la gode. Non importa il tempo che fa. Sole o pioggia o
vento, in cinquantamila (e più se si contano gli infiltrati)
scattano da piazza del Duomo diretti all’Arena. Vecchi, giovani,
donne, maschi, ragazzi, bambini portati a cavalcioni sulle spalle o
in carrozzina. C’è chi non va a piedi ma su un velocipede; chi sul
monopattino o sullo “skateboard”; chi su una comune “due ruote”
con un muggito per campanello; chi addobbato in modo eccentrico, come
quel cinquantenne con scimmia sul capo vestito da venditore d’acqua
di Marrakesh; chi avvolto in una bandiera tricolore o nel vessillo
della squadra del cuore; e chi in un lenzuolo a mo’ di stendardo
con tutte le insegne collezionate negli anni. Un tale strimpella una
chitarra; altri fanno fiorire ombrelli rossi o verdi o gialli,
decorati, istoriati; altri ancora lasciano liberi grappoli di
palloncini per mandare lassù un segnale del tripudio. Un marcantonio
con la capigliatura cespugliosa, una camicia a quadretti aperta su
una siepe, issa un cartello, con la scritta : “Stramilano, sei la
mia vita”; seguito dal suo contrario, basso, sottile, capo
spelacchiato, che invece, tra le braccia alzate come aste, regge una
striscia di stoffa con una dichiarazione d’amore per la “splendida
Maria”
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Il palco della Stramilano |
Le ricordo così le Stramilano che ho frequentato per 17 anni da
cronista del quotidiano “Il Giorno”. Ero mattiniero, e già alle
7 del mattino acquartierato in piazza del Duomo per vedere come
montava la marea. Poi si presentavano Michele Mesto (oggi presidente
della società che organizza la maratona), Francesco Alzati e
Gianluca Martinelli (all’epoca pilota dinamico ed entusiasta). E
anche Attilio Monetti, lo “speaker” che conosce a fondo la storia
delle corse e la sa raccontare con toni e cadenze da collaudato
telecronista. Dal palco improvvisato in corso Vittorio Emanuele, ai
piedi della Cattedrale, sciorinava date, primati, personaggi;
intervistava i giornalisti, le autorità; inneggiava alla grande
manifestazione di primavera, mentre si accendeva il microfono di
Telelombardia e l’obiettivo ronzando riprendeva quella tavolozza
che andava infoltendosi, fremendo. Gli spettatori, costretti oltre le
transenne per il timore che debordassero, applaudivano, urlavano
scatenati, infiammando ancora di più l’atmosfera. Stando sul
podio, con gli assessori Valentini, Malena, Ascani, con la madrina
(un anno Isabella Rossellini; un altro Maria Teresa Ruta…), io
osservavo le facce conosciute: Cesare Isabelli, che aveva partecipato
anche alla maratona di New York: l’alpino ottantenne con la penna
sul cappello e i calzoni corti; l’anziano con il volto rubato a
Serge Reggiani e una sorta di clamide greca indosso come un figurante
di Cinecittà; e quell’altro con il parrucchino biondastro che
esibiva con sussiego un pannello con le medaglie
che aveva vinto nelle sue sgambate. il pittore con tela e colori
pronto a dipingere galoppando il momento più significativo alla
maniera futurista.


Poi passava Samuele Jannuzzi, di Barletta, che fece la sua ultima
maratona a 96 anni, non per l’età ma per decisione della parca con
la falce sempre in pugno. A dare l’annuncio furono i brandelli di
un manifesto listato a lutto agitati dal vento sul muro esterno del
palazzo in cui abitava, in viale Suzzani. Povero Samuele, era nato
correndo. Impiegato alle Poste, ogni giorno trattava più del doppio
della corrispondenza regolamentare; tanto che per accertare la
serietà del suo lavoro due ispettori si appostarono a due passi da
lui e alla fine lo onorarono con il titolo, ufficioso, di Speedy
Gonzalez. Al mattino si alzava alle sei, metteva il caffelatte sul
fornello, filava dal giornalaio e rientrava appena in tempo per
spegnere il fuoco. Aveva fatto quasi tutte le Stramilano, sin da
quando, nel ’70, la partenza era fissata a mezzanotte in viale
Zara. Una settimana prima della maratona veniva al giornale e mi
illustrava i suoi allenamenti quotidiani, che spesso si spingevano
fino a Monza. L’ultima volta nel ’94. L’anno successivo il mio
posto lo trovò vuoto; e il capocronista Giulio Giuzzi mi chiamò a
casa per raccomandarmelo. Il giorno dopo il veterano, piccolo di
statura, magro, passo spedito, accento barlettano marcato, ricambiò
con una delle coppe da lui vinte nella sua lunga carriera sportiva.
Il solito maligno vociferava che il pugliese “accorciava” il
percorso, ma testimonianze inoppugnabili lo smentivano: per “don”
Samuele, come lo chiamavo io, la maratona era un rito sacro e mai
l’avrebbe tradita. E poi, lo avevo seguito con la macchina del
giornale guidata da autisti esperti e curiosi: Gusmaroli o Ricciardi
o Gramegna…
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Michele Mesto, presidente da 4 anni della Stramilano |
Grande, straordinaria, emozionante Stramilano. La fiumana non
rispettava mai l’ora prevista per la partenza. Cominciava a fremere
già un quarto d’ora prima, esortata dalle voci che scoppiavano
dalle sponde. Monetti invitava a contenersi, ma i più febbrili
spingevano, tentavano di rompere l’argine, che mentre stava per
cedere si ricompattava. Ma poi ogni resistenza veniva sopraffatta e i
bersaglieri davano fiato alle trombe. La valanga invadeva piazza San
Babila; corso Venezia…. Al punto di ristoro in viale Tebaldi si
frastagliava: molti proseguivano; altri facevano sosta davanti al
banco chilometrico pieno di mele della Valtellina, yogurt, latte,
bibite, panini, brioches, caramelle…Michele Mesto mi consegnava
l’elenco e il “Giorno” lo pubblicava.
Amata Stramilano. Quante pagine le ho dedicato. Migliaia di righe
apparse in prima, in cronaca, con foto spettacolari. Aspettavo quella
domenica con ansia. Per nessun motivo l’avrei persa. Accompagnato
da uno dei fotografi del giornale: Antonio Mantegazza o Gaetano
Montingelli, che era di Cerignola, o Gianni D’Anna o Giovani
Dell’Abate, di Tricase. Tutti bravissimi, sempre puntali, pronti a
cogliere i particolari più significativi, i personaggi originali, le
situazioni divertenti. Un “clic” sorprese un gruppo di giovani,
che, arrivato in un furgone in via Manzoni, si allacciò il simbolo
della maratona… e gambe in spalle!

La Stramilano - dicevano i patititi – oltre a far bene alla salute
ti trasforma, ti face sentire più leggero, staccato dai pensieri
della vita quotidiana, trionfatore in una città non assediata dalle
auto, orgoglioso di quel pettorale da conservare a testimonianza di
una ricorrenza inebriante. Qualche giorno prima, un anno, seduto a un
tavolo del bar di piazza Cavour, di fianco alla libreria di Renzo
Cortina, con Al Albano, Ottavio Missoni, che aveva concepito il
pettorale, e sua moglie, chiesi allo stilista se fosse intenzionato a
tuffarsi nella “Kermesse”. Sorrise senza fare promesse. Come il
cantante di Cellino San Marco, era cordiale, simpatico, comunicativo,
scherzoso. Un collega giurò di averlo visto, tra i cinquantamila.
Le rivedo così le mie Stramilano. E mi capita di ricordare il
venditore d’acqua di Marrakesh, che morì senza avere vicino un
amico, un parente, ma soltanto il primate, che lo vegliò per cinque
giorni.
Provo nostalgia e gratitudine per la Stramilano, che ha dato anche a
me qualche medaglia: nell’85, con la Rank Xerox e il Comune
meneghino un Premio in monete d’argento coniate in occasione delle
Olimpiadi di Los Angeles (mi fu consegnato al Circolo della Stampa
dall’assessore Valentini, presenti il campione olimpionico Alberto
Cova e altri assi). E nel 2000 l’inserimento nel libro “Stramilano
in cento storie” delle mie esperienze tra quelle di Gelindo Bordin,
Mike Bongiorno, Camillo Onesti, dello stesso Cova….Mi scuso per la
vanità, ma è colpa della Stramilano.
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