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mercoledì 5 dicembre 2018

Gentiluomo ricco d’iniziative


Statua di Padre Pio
LAMBROS DOSE, L’ARCHITETTO


CHE CREO’ IL MUSEO DELLE CERE

Inaugurato nel ’63 alla stazione

Centrale, aveva una settantina

di statue, da Celentano a Sofia

Loren, a Gary Cooper, al grande

Totò, a Mike Buongiorno.

Quando venne chiuso molti si dispiacquero.




Franco Presicci 

Se si chiedono a un vecchio milanese notizie del Museo delle Cere, probabilmente racconterà la sua storia, magari anche nei dettagli, annoverando i personaggi che lo occupavano. Quel museo era molto frequentato e apprezzato. Andavano a visitarlo famiglie intere; giovani e meno giovani; scolaresche; personalità; e se un treno era in forte ritardo, il viaggiatore, se non si fermava ad ammirare il grande modello della Michelangelo, gioiello della Società Italia di Navigazione esposto nel salone della stazione Centrale, adiacente ai binari, battezzato appunto Galleria del Transatlantico, optava per il Museo Cere, che era al piano di sotto, a destra al termine della scala mobile, come indicava un elegante pieghevole pubblicitario.
Lambros Dose
Il titolare era Lambros Dose, noto e stimato architetto d’interni, un signore alto e asciutto, cortese e disponibile, che dirigeva anche il Centro d’informazione d’arte, in via Brera, quasi di fronte alla Galleria Apollinaire di Guido Le Noci e dotato di un computer che conteneva 15 mila biografie di artisti, non solo di quelli che vi erano esposti in permanenza, tra cui Ibrahim Kodra, Mario Bardi, Salvatore Fiume, Remo Brindisi, Giuseppe Migneco, Gianni Dova. Frequentavo assiduamente il Centro, dove spesso conversavo sia con Dose sia con Nencini, proprietario anche della famosa galleria d’arte “Boccioni”, preferita dai critici più consacrati, come Marco Valsecchi, del “Giorno”; e una mattina sentii parlare del Museo delle Cere e cercai di approfondire l’argomento. Seppi da Dose dove si trovava e i pullman che dovevo prendere partendo da via Lorenteggio, dove abitavo, una via che sorgeva all’altra capo della città, correndo fino a Vigevano e Abbiategrasso. Dose aveva aveva visto i musei Grevin a Parigi e di Madame Tussauds a Londra e ne era rimasto colpito. Una volta a Milano continuò a pensarci e si chiese perché il capoluogo lombardo non potesse avere il suo. Era l’anno in cui riscuoteva grande successo tra i giovani il “Bar Basso”, all’angolo tra viale Abruzzi e via Plinio; nei cinema si proiettava il film di Sergio Leone “Per un pugno di dollari” con Gian Maria Volontè e Clint Eastwood; nasceva il “Club 64”, grazie a Tinin Mantegazza e a sua moglie Velia, famosa ideatrice di pupazzi arruolati dalla Tv; Enrico Intra e Gianni Bongiovanni inauguravano il “Derby Club”, dove si esibivano Bruno Lauzi, Walter Pinetti, alias Walter Valdi, che di giorno faceva l’avvocato e la sera cantava la Milano di ieri; Enzo Jannacci…
Museo delle cere
In quel locale ascoltai anche Daisy Lumini, Charles Trenet, Umberto Bindi e notai tra gli spettatori i Gufi, Paolo Stoppa, Lina Morelli, Giorgio Gaber… Abituato a fare le cose come si conviene, Dose si guardò attorno alla ricerca dell’artista più adatto allo scopo, il più bravo, e lo individuò in Ettore Baresi. Andò da lui e gli espose il progetto. Baresi accettò l’incarico e si mise subito all’opera. Si procurò la cera, la modellò eseguendo le sagome dei personaggi prescelti, passando poi al “maquillage”. Della vestizione si occupava lo stesso Dose, che tra l’altro aveva rapporti con le sartorie. Le capigliature erano affidate alla moglie di Baresi, Angelica. Il lavoro, durato un anno, si svolse senza soste.
Statua di Mike Buogiorno





Nel ’63 i primi simulacri curati nei minimi particolari, furono sistemati nel museo e venne poi tagliato il nastro inaugurale, presenti le autorità e un folto pubblico, stupiti di trovarsi di fronte a quella quarantina di statue raffiguranti Garibaldi, Hitler, Napoleone, Churchill, Gary Cooper, Adriano Celentano in una delle sue movenze che in teatro eccitavano i “fans”; il presidente dell’Inter Angelo Moratti; Mike Bongiorno… tutti colti nei loro atteggiamenti abituali. Poi i “vip” s’infoltirono. Si aggiunsero i kennedy, i Papi Giovanni XIII e Wojtila, Padre Pio... Una settantina di simulacri. La sera in cui nel Centro era in programma una manifestazione con un giornalista del settimanale “Il Milanese” incaricato di rivolgere domande a pittori e scultori su come vedevano Milano, Lambros Dose accennò al suo museo, senza toni enfatici, come era solito fare, attirando la mia attenzione.
Lambros Dose e Francesco Ogliari
Mi confidò di volerlo sempre più interessante e ricco, “visto anche il flusso di gente che viene a visitarlo e i commenti lusinghieri che lascia... Io non pensavo che il museo avrebbe ricevuto tutti questi consensi. Insomma Milano ha risposto molto bene all’iniziativa”. Quando gli chiesi se intendesse portarlo ai livelli di altri musei rispose che lui faceva le cose senza manie di grandezza. “Non amo i paragoni. Madame Marie Tussauds ha creato un museo tra i più famosi al mondo, con sedi in diverse città, da Londra a Berlino, ad Amsterdam… Cominciò a cimentarsi con la cera quando era ancora quasi una bambina e con la serie di statue eseguite creò il suo capolavoro, che comprende anche Enrico VIII e George W Bush”. Il museo Grèvin – aggiunse – che si apre sul boulevard Montmartre, è il più antico di quelli europei, con un numero enorme di esemplari e un’infinità di visitatori ogni anno. Venne fondato nel 1882 da Arthur Meyer, di professione giornalista”. Era comunque entusiasta dell’opera che aveva realizzato.
Serata al Centro informazioni d'arte
Lo si leggeva negli occhi, quando parlava della folla che arrivava soprattutto la domenica e si diceva affascinata anche dagli ambienti e dalle atmosfere. Un signore attempato si lasciò andare ad un giudizio ad alta voce: “Questi allestimenti scenici rivelano la mano di un maestro”. E il maestro, che a poca distanza era impegnato in una discussione con un artista, era Lambros Dose. Un ragazzo volle sapere da un collaboratore come si facesse a rendere così efficaci, così veri le statue ed ebbe subito la risposta: “Prima di iniziare a modellare la materia si studia bene il carattere del soggetto; non si lascia nulla al caso; l’artefice non si limita ad osservare una foto. Se il soggetto è ancora in vita si va ad incontrarlo, gli si parla, studiando i suoi gesti… Quando si ritiene di averlo assimilato, si passa all’esecuzione”. “Lambros, dimmi di Baresi. “E’ nato a Chiari, in provincia di Brescia, e viveva a Novate alle porte di Milano prima di trasferirsi nella nostra città, dove nel ’55 sposò Angelica Carbonovo.
Stazione Centrale
Sala Centro Informazioni
Lavorava in banca quando lo pregarono di disegnare cartoni per un film di animazione, “La rosa di Bagdad”, il primo del genere mai realizzato in Italia”. Baresi abbandonò poi la cera, ma era felice di vedere le sue opere rivivere nel museo della stazione Centrale e i quotidiani e le riviste che nel parlavano e i fotografi che lampeggiavano. Ogni nuovo arrivo era festeggiato con una cerimonia solenne, che suscitava sempre interesse tra i milanesi e non. Poi Lambros Dose pensò di attrezzare un ufficio stampa ma non lo fece, forse non ebbe il tempo. Era il ’90, quando all’ingresso del museo venne appeso un cartello per comunicare che Napoleone, Garibaldi e compagnia venivano trasferiti in una riserva. Su quell’avviso un anonimo scrisse: “Mi dispiace”. Dispiacque a molti: agli studenti, ai turisti, ai curiosi, a chi ci andava per ingannare l’attesa di un treno in ritardo. Qualcuno volle sapere dove fossero finiti Sofia la Loren, il grande Totò, Alessandro Manzoni, Gary Cooper… Gli venne detto che a farli uscire dal deposito aveva pensato l’Associazione Postumia di Gazoldo degli Ippoliti, nel Mantovano. Il sodalizio li aveva acquistati in blocco in un’asta, convenientemente restaurati e ospitati in una sede prestigiosa, aggiungendovi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e Papa Benedetto XVI. E non solo loro. C’è ancora chi ricorda Lambros Dose, un gentiluomo che amava anche fare parlare i giornali degli artisti che lo meritavano. Mi accompagnò a casa di Ludmila Vouch, delicata pittrice naif che se non ricordo male aveva ballato al Bolscioi e dipingeva splendide vedute di città, tra cui Milano e Mantova. Lambros Dose è scomparso da tempo. Il museo ha spento le luci dopo di lui. Nel frattempo la moglie voleva crearlo, l’ufficio stampa, per non far morire il museo.


SUL SITO ASSOCIAZIONE MINERVA CRISPIANO(Block notes con penna)         "I DONI DI DEMETRA, TRA PRATI E SOTTOBOSCO"


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