L’AUTISTA DELLA
BANDA ERA UN CARABINIERE
Da sx: Franco Di Bella con il sindaco Tognoli. A dx Franco Presicci |
Si era infiltrato e, dopo la rapina,
guidò la vettura in
via Moscova,
nel cortile della
caserma dell’Arma.
La rivolta di San
Vittore, le prime
auto della Volante.
I grandi neristi.
I grandi neristi.
Franco Presicci
Il primo numero della Volante fu 777: ispirò due versi del brano popolare del XIX secolo “Porta Romana bella”, che si cantava dappertutto: nelle osterie, nei teatri e nel carcere di piazza Filangieri: “E sette-sette-sette fanno ventuno, arriva la Volante, non c’è nessuno”.
Jannacci e il barbiere scrittore Bombieri |
La canzone impegnava le ugole di Giorgio Gaber, Nanni Svampa, Gabriella Ferri, Enzo Jannacci… La malavita la fischiettava per prendere in giro la “madama”. Diverse le versioni: una era stata modificata per Ezio Barbieri, il bandito che con il socio Sandro Bezzi sconvolse Milano con imprese rapide e pericolose a bordo di un’Aprilia nera diventata leggendaria; e poi, nell’aprile del ’46, giorno di Pasqua, ingoiato da San Vittore, guidò per quattro giorni la rivolta, la prima nella storia, che si concluse tragicamente. Su una vettura del 777 viaggiò un giovane Dino Buzzati - che all’inizio della sua meravigliosa carriera, aveva masticato anche cronaca nera – per raccontare i malanni della metropoli. Quei tre numeri indicavano il pronto intervento della polizia, entrato in funzione il 3 settembre del ‘45 sull’esempio delle grandi città nordamericane e inglesi. Il primo mezzo fu una “Lancia Astura”, requisita sul lago di Como a un manipolo di gerarchi in fuga. Poi se ne aggiunsero altre, e tutte vecchie trappole appartenute agli angloamericani e rinvigorite nell’officina della polizia, in via Mirabello.
Le prime auto della polizia |
Ogni giorno un motore ansimava e gli equipaggi rimanevano a terra.
Rispolverammo quei tempi un giorno del luglio ’89 con Patrizio Fusar,
grande cronista che all’epoca, quando i neristi dovevano inventarsele
tutte per poter azzannare una notizia, dopo un rodaggio al “Popolo” con
Fortebraccio, aveva trottato per “Il Giorno”, emigrando poi in via
Solferino, al “Corriere”. Sollecitando la mia memoria infoltita dalla
lettura delle vecchie pagine di “nera”, Patrizio riviveva i suoi
percorsi con entusiasmo: “La decisione di istituire la Volante era stata
presa dal capitano inglese Kein, una specie di sovrintendente alla
polizia giudiziaria per conto degli alleati… Sembrò un’idea fantastica
perché fino a quel momento i poliziotti (e anche i carabinieri “caramba” per la “mala”: n.d.a.) andavano in bicicletta o in tram”; e noi a piedi, a parte quelli che si potevano permettere una “due ruote”.
Insegna che da oltre un secolo campeggia su una parete della prima sala-stampa della questura di Milano |
Della partita facevano parte anche Gabriele Benzan, che aveva, anche lui, scarpinato per il quotidiano dell’Eni; e Arnaldo Giuliani, che si faceva le ossa al “Corriere della Sera”, dove diventerà un fuoriclasse; Fabio Mantica, ”Max Monti, anche loro del “Corrierone” ed altri, tutti carichi di esperienza. Raccolsi le conversazioni in una serie di articoli sul mio giornale. Cominciando da Fusar, milanese, vaga somiglianza con l’attore Peter Ustinov, loquace, preciso. “In epoca fascista i cronisti non avevano diritto di soggiorno negli uffici pubblici, tantomeno in questura…”. Mi venivano in mente altri avvenimenti, soprattutto nell’agone dello spettacolo: Walter Chiari, che al teatro “Carcano” suscitava risate salubri; su altri palcoscenici debuttavano Adriana Serra e Lea Padovani; al Nuovo mietevano applausi Eduardo e Titina De Filippo con “Napoli milionaria”; Arturo Toscanini rientrava dagli Stati Uniti in Italia, abbandonata per il suo rifiuto del fascismo (dirigerà il concerto inaugurale della Scala); Dino Buzzati si occupava del caso di Rina Fort; Wanda Osiris scendeva le sue scale al Teatro Lirico in via Larga con un turbante di raso bianco. “Io - proseguiva Fusar - avevo procurato un’abitazione in via Vanvitelli a Paolo Zamparelli (allora vicecapo della Mobile che aveva appena arrestato il “bandito gentiluomo”, autore di 90 rapine a mano armata in pochi mesi, lasciando come firma ogni volta la “mancia” per l’impiegato); e, incontratolo nel cortile della questura, gli dissi che stavo andando in piazza Filangieri per la rivolta.‘No - mi rispose - chiamo l’ufficio e mi faccio mandare una macchina’.
La polizia |
E partimmo assieme”. Per quattro giorni cronisti e poliziotti bivaccarono davanti alla casa circondariale assediata da mezzi blindati della Benemerita, divorando panini senza poter schiacciare un pisolino sulle panchine fissate sotto gli alberi. Fra la truppa dei giornalisti spiccavano Vittorio Notarnicola, Franco Di Bella, Gaetano Afeltra, Antonio Donat-Cattin; e i fotografi Vincenzo Carrese e Fedele Toscani. Tempi memorabili, con investigatori di grande valore, instancabili, astuti. In attesa di notizie qualcuno conversava nei giardini e ricordava vecchi episodi. Franco Di Bella, già capocronista del “Corriere”, forse stava già pensando di scrivere la sua storia del crimine nel dopoguerra in Italia e doveva già aver saputo dal capitano dei carabinieri Franco Perrone, di stanza nella caserma di via Moscova, la scena cinematografica di cui era stato protagonista. Mi piace riaprire quella pagina davvero esaltante, eroica. Un tale “Biscela” (soprannome appartenuto a parecchi “locch” dell’800 e che secondo la “mala” significa riccioluto) di Morivione, borgo rurale annesso al Comune di Milano nel 1873, aveva progettato una rapina nell’agenzia di una banca; e aveva bisogno di un autista.
Giannattasio e Oscuri |
Allora le organizzazioni criminali, di piccolo o grosso spessore, non ne avevano in organico; e all’occorrenza li reclutavano. Biscela incaricò uno dei suoi; e la voce arrivò all’ufficiale dell’Arma, il capitano Franco Perrone, un napoletano che, essendo appena arrivato a Milano, non era una faccia conosciuta. L’ufficiale si alzò di scatto, esclamando: “Perbacco! Ci vado io. Certo non ho le doti di Fernando Alonso, ma al volante me la cavo molto bene”. Gli fu suggerito che poteva essere rischioso; che se Biscela avesse sentito puzza di bruciato sarebbero stati dolori; ma il capitano restò fermo nella sua decisione. E quando si trovò di fronte a Biscela, che usava con frequenza il gergo della malavita (“dura”: rapina; “cavolfior”: carabinieri; “giudea”, ghetto di malavita; “brusà el paion”: rompere le uova nel paniere”…) superò brillantemente le prove orale e pratica. Una volta arruolato, studiò il piano; e lo illustrò ai suoi collaboratori: si sarebbe fatto seguire da un gruppo di carabinieri ovviamente in borghese fino all’istituto di credito, dove avrebbe preso poi i “duristi” con le mani nel sacco. Ma siccome il diavolo non perde il vizio di fabbricare le pentole senza i coperchi, durante il tragitto, per colpa del traffico, il cacciatore perse i cani; ciononostante, il capitano Perrone, non si perse d’animo. Giunti a destinazione, i banditi scesero dalla vettura, entrarono in banca, fecero la razzia, uscirono con i sacchi sulle spalle e risalirono in auto.
Posto di blocco dei carabinieri |
Controllo del territorio |
Biscela impose ad Alonso di andare come un razzo e questi, obbedendo, consigliò di mettersi tutti le armi dietro la schiena o sotto il deretano, per evitare di essere individuati in un eventuale posto di blocco. Biscela trovò l’idea geniale ed esortò nuovamente il pilota ad andare più forte. “Tutto dipende da te, adesso, accelera, accelera. E non rifacciamo la stessa strada, potremmo essere ‘bevuti’”, acciuffati. Tutto come in un film. L’asso correva, s’inventava percorsi che lo stesso Biscela non conosceva, indicandoli come più sicuri. “Va bene, ma sta attento…”. “Già, ma correndo troppo potremmo attirare l’attenzione ed essere inseguiti…”. Scene da “Miami Vice”. Un bandito propone di tuffarsi su una strada che porti in campagna per spartirsi subito la torta. Ma il pilota è di diverso avviso: “Bisogna intanarsi subito da qualche parte: dalla banca devono aver avvertito le forze dell’ordine, che sicuramente ci stanno cercando.
Conoscono il tipo di macchina (un’Aprila: n.d.a.) con cui siamo arrivati e ripartiti; non vorrei imbattermi in una paletta dei “carrubbi” o della ‘pula’” (attinge anche lui al gergo della malavita). Lui ha una soluzione: andare a casa sua, un palazzo dignitoso, abitato da professionisti che lo ritengono “borbottone”: avvocato. Si inizia a vedere il profilo della città. Si avvicina l’ultima fase, il cervello dell’autista si arroventa. Biscela gli domanda da che parte si trovi la sua abitazione; la risposta si fa attendere per qualche secondo, ma, quando arriva, soddisfa il capo: la zona di corso Garibaldi gli va a genio. Ma da quelle parti si trova anche la caserma dei carabinieri in cui lavora il capitano Perrone. Biscela dovrebbe saperlo, ma ormai ha piena fiducia di quel Michael Schumacher che ha dato buoni consigli. Sono momenti da cardiopalmo. Ma il capitano Franco Perrone ha i nervi saldi: giunto all’altezza della caserma svirgola a tutto gas, imbocca il portone, va con la macchina contro la parete del corpo di guardia, si blocca con violenza, scatta fuori. Biscela e compagnia restano di sasso, non si rendono subito conto di quello che è successo. La corsa è finita in bocca alla volpe. L’auto acciaccata. Perrone osserva le ferite della sua Aprilia, ma che soddisfazione, perbacco! Che coraggio! Altro che “Miami Vice”. Non è stata la prima né l’ultima impresa così grande. La lotta tra guardie e ladri non ha mai fine.
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