IL FASCINO DEL
TRENO ISPIRA
POETI, SCRITTORI
E PITTORI
Foto Gabriele Lepore |
La prima strada
ferrata in Italia la Napoli-Portici.
Nel
capoluogo lombardo già si susseguivano i
progetti e nacque la Milano-Monza.
La
locomotiva a vapore
e il viaggio,
organizzato dall’Aisaf, di
“Un treno chiamato jazz” da Bari a
Martina Franca, nel
2015.
Franco Presicci
Ogni occasione
per andare alla stazione ferroviaria per me è buona: amo vedere i
convogli che arrivano, partono, la gente in attesa infastidita da un
ritardo eccessivo, i bambini seduti sui bagagli che mangiano il
panino contemplando i binari; chi proviene per la prima volta dal Sud
ed è disorientato, perché al suo paese lo scalo non c’è o è
piccolo quanto un plastico da modellismo. La stazione ha un suo
fascino, suscita emozioni con ogni tipo di treno, vecchio o moderno.
Mi attirava la locomotiva a vapore quando circolava e oggi, senza
tradirla, avendo sempre nelle mie orecchie il suo fischio, quella con
il muso affusolato come la carlinga di un aereo. La motrice che
sbuffava è legata alla mia adolescenza: la prendevo per raggiungere
da Taranto Martina, a far visita a uno zio che aveva la campagna sul
Chiangaro. Gabriele Lepore, un giovane appassionato di ferrovie e
trasporti, collaboratore per hobby di alcune testate del settore con
articoli, video e foto (qualcuna l’ha generosamente concessa a
noi), mi informa di un esemplare monumentato nella stazione
Bari-Sud-Est, forse la più antica locomotiva a vapore originale preservata in Italia, data di nascita 1901, di fabbricazione belga, nome
St. Leonard numero 6; e mi scatta la voglia di correre a vederla.
L'orchestra del treno chiamato jazz a Martina F. (foto G.Lepore) |
E’
stata in esercizio fino agli anni 60. Dalle mie parti la chiamavano
“‘a Ciucculatère”, dal bricco che fischia mentre il caffè
brontola. Ricordo l’eccezionale manifestazione, “Un treno
chiamato jazz”, tragitto da Bari a Martina Franca, del primo agosto
2015 (seconda edizione 19 settembre), con orchestre che suonavano nei
vagoni e una folla che aspettava sul marciapiede. A trainare il
convoglio una motrice d’epoca, ma io mi aspettavo “’a
Ciucculatère”. Comunque un grande avvenimento. Il treno è
sogno. Non per niente tante persone appartenenti alle più diverse
professioni creano plastici semplici o complicati, a uno o a più
piani di circolazione. Mi hanno riferito di personaggi di spicco che
trascorrono le ore libere a manovrare il treno in miniatura che si
sono costruiti da sé con passione e competenza, dotandolo di uno
scenario spettacolare. Incanta vedere il trenino attraversare ponti,
gallerie, diramazioni, rispettando il linguaggio dei segnali. Certi
modellisti riescono a riprodurre un’epoca con dovizia di
particolari, con un’armonia di tanti elementi, compresi i sistemi
di elettrificazione.
Vecchia locomotiva St. Leonard numero 6 (foto G. Lepore) |
Piattaforma girevole |
Giunta a destinazione, scaricati i viaggiatori, il gigante
di colore nero si sistemava sulla piattaforma girevole per cambiare
il senso di marcia. Da allora sono passati circa 75 anni. Quella
piattaforma è semisepolta sotto ciuffi d’erba, consentendo la
vista di pezzi di lamiera arrugginita. Prima o poi la restaureranno –
si dice – concedendola allo sguardo di tutti come testimonianza
storica. La storia
appunto. La prima strada ferrata in Italia, come molti sanno, fu la
Napoli-Portici, doppio binario, 7,25 chilometri, battezzata il 26
settembre del 1839 e entrata in servizio il 4 ottobre (regnava
Ferdinando II). L’avvenimento fece esultare tutta la città e fu
segnato da un lieto evento: la figlia del capo dipartimento al
ministero dell’Interno, Felice Cerillo, durante il viaggio di
ritorno fu colta dai dolori del parto. Una curiosità: il re aveva
vietato che sulle sue ferrovie si praticassero “pertusi”, cioè
gallerie, nel timore che il buio facilitasse attività immorali. La rivoluzione
nei trasporti non poteva prendere di sorpresa Milano, dove già da
tempo si susseguivano le idee – informava Francesco Ogliari,
docente universitario, autore di centinaia di volumi sull’argomento,
già presidente del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano e
creatore del Museo europeo dei trasporti all’aria aperta a Ranco.
Un nuovo treno (foto di G. Lepore) |
Nel 1838 la Holzhmmer di Bolzano ottenne la concessione per la
“costruzione di una strada a rotaie di ferro dal capoluogo lombardo
a Monza; nel ’39 il privilegio implicò una ditta viennese e il
tratto ferroviario, lungo circa 13 chilometri a binario unico, fu
terminato in pochi mesi. A tirare i vagoni la locomotiva a vapore
“Lombardia”. Il viaggio inaugurale partì da Monza all’una del
17 agosto del 1840, con a bordo tra gli altri l’arciduca Ranieri,
vicerè del Lombardo-Veneto, la consorte, i figli, il governatore
generale, l’arcivescovo e la banda militare. Il convoglio, 40
chilometri all’ora, giunse 19 minuti dopo alla stazione di testa di
Porta Nuova, a un passo dal Ponte delle Gabelle, applaudito
freneticamente da una folla riunitasi per la grande novità. Poi ecco
un secondo treno con la locomotiva “Milano”, e altra festa, altro
delirio.
Ogliari nel suo studio milanese |
Per gli esperti, e quindi per il professor Francesco
Ogliari, uomo sensibile e generoso, la prima ferrovia davvero
italiana era quella lombarda, studiata e disegnata dall’ingegnere
meneghino Giulio Sarti, da tutti definito “un genio che volava
all’avvenire”, consapevole dei notevoli passi, “ricchezza e
prosperità commerciale” che il nuovo mezzo di comunicazione
avrebbe consentito.
Il treno,
principale innovazione del XIX secolo, accorciava le distanze, mutava
la percezione del tempo e dello spazio. E stregava mentre
attraversava sibilando la città con il suo carico umano. La prima
stazione di Milano, a due piani, concepita in stile neoclassico,
splendida facciata, realizzata su idea dello stesso Sarti, proprio
quella di Porta Nuova, tra i viali Melchiorre Gioia e Monte Grappa.
Fin dal suo annuncio accese polemiche a non finire, ma anche plausi e
incoraggiamenti. I responsabili dell’impresa, certi dei loro
progetti, non se ne curarono.
Littorina |
Il successo era inarrestabile. Nel 1841
vennero predisposti degli “omnibus” a cavalli per collegare il
centro con Porta Nuova. I cittadini, molti dei quali andavano allo
scalo per vedere il traffico dei treni e il loro uso anche qui della
piattaforma girevole, apprezzavano anche il servizio, ritenendolo
efficiente. L’anno successivo le linee furono più che raddoppiate.
Gli “omnibus” vennero duplicati quando entrò in funzione la
Milano-Treviglio.
A quel tempo
Milano vantava 200 mila abitanti, di cui 1270 si servivano ogni
giorno del treno. A dire il vero il viaggio non era confortevole,
anche per i sedili poco imbottiti. In seconda classe si stava in
piedi e all’aperto. Per prevenire gli inconvenienti, sempre
possibili durante il tragitto, prima dell’orario programmato le
motrici facevano qualche piccolo giro di prova: una volta accertato
che la macchina era in buona salute, veniva collegata con le
carrozze. I milanesi, come accennato, erano affascinati dal treno. Si
eccitavano quando vedevano sbucare le locomotive e le loro tre
carrozze., Era uno spettacolo straordinario. Sino ad allora in città
transitavano soltanto le diligenze, quasi tipo Far West, alcune delle
quali adibite a servizio postale. Un medico, Giovanni Raiberti, mise
in versi l’ardore della gente: “su la strada a spasseggià per
vedè la gran Macchina a passà…”.
Il treno corre verso Crispiano |
Ancora oggi sono
tanti quelli che all’aereo preferiscono il treno, che è anche
libertà. Scrittori e poeti lo hanno cantato, il treno. “I treni
sognano nella rugiada in fondo alle stazioni/ Sognano ore poi
stridono e s’incamminano… Amo i treni bagnati che passano nei
campi/ questi lunghi convogli di merci che frusciano…Oh, vagoni
spenti sonanti di respiri! Palpito di lumi velati d’azzurro… Il
treno che c’incrocia e ci dice che soffre…”. Così Henry
Bataille. Eugenio Montale: “Addii, fischi nel buio, colpi di
tosse/ e sportelli abbassati. E’ l’ora. Forse/ gli automi hanno
ragione. Come appaiono/ dai corridoi mutati…”. E Alfredo Panzini, nel suo "Viaggio di un povero letterato" del 1919: "Approfittiamo allora del treno. Questo gran mezzo di locomozione può fornire notevoli illusioni e benefici". Alla domanda sul
luogo da lui prediletto per scrivere lo scrittore Alexander Chee ha
risposto: “Il treno”.
In treno si
corre, una volta si ballava, c’erano e ci sono tante distrazioni
(l’incaricato che ti chiede di mostrare il biglietto, il bibitaro
che ti propone il caffè o l’aranciata, il viaggiatore che ti
chiede che mestiere fai o dove sei diretto…). Sono soltanto
momenti. Il treno ha ispirato anche i pittori. E’ un tema
ricorrente tra i futuristi. Il treno è un simbolo di progresso.
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