Fantasma scenico |
I FANTASMI NEL CAPOLUOGO LOMBARDO
NON
HANNO DIRITTO DI CITTADINANZA
Secondo
il giornalista e scrittore Domenico
Porzio
”i razionali milanesi li hanno tutti messi
a
vomitare l’acqua piovana tra le guglie del
Duomo:
per le strade, nelle botteghe davano
fastidio”.
Alfredo Castelli, in “Milano, Meraviglie,
Miracoli,
Misteri” è d’accordo con lui.
Dida generale: Fantasmi di pietra sui muretti a secco di Martina
Franco Presicci
Fantasmi a
Milano? Se fai questa domanda a un meneghino doc rischi di essere
preso per matto. Ci mancherebbero i fantasmi, in questa città, con
tutti i problemi che ha, cominciando dall’inquinamento. In ogni
conversazione si parla di tutto, del costo del biglietto del tram;
della caserma dei bersaglieri rimasta vuota ed esposta al degrado e
al pericolo di essere occupata abusivamente da chi non ha un tetto
sulla testa; delle scritte che imbrattano i muri e le targhe stradali
rendendole illeggibili, del traffico automobilistico febbrile che
costringe molti ciclisti a pedalare sui marciapiedi… Ma i fantasmi
sono estranei ad ogni crocchio. I fantasmi o ectoplasmi che dir si
voglia, spiriti vaganti non hanno il passaporto per insediarsi a
Milano. Eppure, quando si parlò di un fantasma che si stagliava sul
loggione della Scala non furono in pochi quelli che un pensierino lo
fecero. Forse perché la figura indistinta veniva attribuita a una
regina della lirica dei tempi recenti o a un soprano famoso nell’800.
L’uomo, si sa, è un tantino volubile (“absit iniuria verbis”) e a volte quello che dice la mattina non vale la sera. Ma volubile o no, ne fece esperienza un signore quarantenne e benestante che non frequentava molto i teatri e non s’intendeva di opere liriche. Una sera decise di assistere a una rappresentazione con un’amica e, preso dalla noia, si abbandonò al dormiveglia: allora fu scosso da una mano invisibile. Uscì nel foyer e qualcuno gli disse spassionatamente che doveva essere stato il fantasma, aggiungendo che ogni teatro ha il suo. Lui rimase così impressionato, che, una volta fuori del tempio della lirica, ebbe l’impressione che quella presenza lo stesse seguendo. Non si sa se quel signore avesse cenato prima di andare a teatro, perché in questo caso la colpa dell’avvenimento poteva essere stata una cattiva digestione.
L’uomo, si sa, è un tantino volubile (“absit iniuria verbis”) e a volte quello che dice la mattina non vale la sera. Ma volubile o no, ne fece esperienza un signore quarantenne e benestante che non frequentava molto i teatri e non s’intendeva di opere liriche. Una sera decise di assistere a una rappresentazione con un’amica e, preso dalla noia, si abbandonò al dormiveglia: allora fu scosso da una mano invisibile. Uscì nel foyer e qualcuno gli disse spassionatamente che doveva essere stato il fantasma, aggiungendo che ogni teatro ha il suo. Lui rimase così impressionato, che, una volta fuori del tempio della lirica, ebbe l’impressione che quella presenza lo stesse seguendo. Non si sa se quel signore avesse cenato prima di andare a teatro, perché in questo caso la colpa dell’avvenimento poteva essere stata una cattiva digestione.
Per Domenico
Porzio, a suo tempo capo ufficio stampa della Mondadori, scrittore e
giornalista coltissimo, nato a Taranto e trasferitosi da giovane a
Milano, “i diavoli. i razionali milanesi li hanno tutti messi a
vomitare l’acqua piovana tra le guglie del Duomo: per le strade,
nelle botteghe davano fastidio”. E aggiunge che nemmeno nel
circondario, per la campagna, abitano per spaventare i bambini, “vuoi
folletto o più domestici ‘monacielli’”. Insomma, a Milano
questa categoria non ha diritto di cittadinanza. Porzio fa alcuni
esempi di cronisti e scrittori che riferirono di avvistamenti
improbabili. Lo storiografo Giuseppe Ripamonti, raccontando la peste
di Milano del 1630 accennò a una persona che giurava di aver visto
in piazza Duomo, “su un cocchio tirato da sei cavalli bianchi, un
uomo con le sembianze di un principe. “ma con fronte infocata ed un
occhio fiammeggiate”. Secondo lui – aggiunge - era il diavolo in
persona che lo invitò a seguirlo in una casa piena dei demoni a
convegno. Dicerie d’altri
tempi.
Come quella della cosiddetta “casa degli spiriti” (l’ho già citata a suo tempo su “Minerva”) al Parco Sempione all’angolo con via Paleocapa: a mezzanotte in punto, compariva una signora dalle forme seducenti e il volto velato, attirava giovanotti e adulti in cerca di… svago, li conduceva in quella casa e dopo l’amplesso riservava una terribile sorpresa: la tulle nascondeva un teschio. Naturalmente il malcapitato fuggiva a gambe levate.
Dunque, oggi a
Milano non si allevano fantasmi, veri o presunti… Qualche
spiritello è riuscito ad infiltrarsi grazie all’immigrazione, ma
non ha avuto lunga vita. Nel dicembre del ’76 mi sono imbattuto in
una effervescente signora di 82 anni, vedova di un ex esperto di
fuochi di artificio, a Milano da 50 anni. La incontrai fuori della
soglia della sua abitazione dalle parti di via Melchiorre Gioia, dove
comincia a scorrerere sottopelle il naviglio Martesana. Facendole
domande per un articolo da pubblicare sul settimanale “Il
Milanese”, che si gloriava della paternità di Arnoldo Mondadori,
poi ceduta, il discorso scivolò sulla “Cassina de’ Pomm”, che
aveva ospitato personalità come Mina, Rascel, Togliani, Lola Talana,
Pietro Nenni…; e in anni più addietro “el sciur Carlin, come
Carlo Porta era chiamato nelle trattorie.
La donna snocciolò una vicenda che avevo già attinta dalle pagine della “Storia delle vie di Milano”, cinque volumi di Raffaele Bagnoli, socio della “Famiglia Meneghina”, sede in via Meravigli, e grande conoscitore della città. In questa strada - a due passi dal ponte di Greco – dove qualche secolo fa parcheggiavano le diligenze dirette in Brianza per far riposare i cavalli ed era frequentata da ragazzi e adulti che s’immergevano nelle acque del canale, mentre sulle sponde allegre comitive suonavano e cantavano, era avvenuto – secondo la vecchietta, capelli argentati, esile e bassina, cadenza brindisina - un episodio incredibile. Quale? “All’epoca in cui stavano scavando il fosso, le autorità finirono i soldi e una contessa si disse disposta a sovvenzionare i lavori, se avessero salvato il figlio, che era stato condannato a morte. Lo scavo fu terminato, ma la condanna, nonostante le promesse, venne eseguita. Allora la nobildonna pronunciò una maledizione: “in quelle acque ne devono morire sette alla settimana. E la maledizione si avverò”.
La donna snocciolò una vicenda che avevo già attinta dalle pagine della “Storia delle vie di Milano”, cinque volumi di Raffaele Bagnoli, socio della “Famiglia Meneghina”, sede in via Meravigli, e grande conoscitore della città. In questa strada - a due passi dal ponte di Greco – dove qualche secolo fa parcheggiavano le diligenze dirette in Brianza per far riposare i cavalli ed era frequentata da ragazzi e adulti che s’immergevano nelle acque del canale, mentre sulle sponde allegre comitive suonavano e cantavano, era avvenuto – secondo la vecchietta, capelli argentati, esile e bassina, cadenza brindisina - un episodio incredibile. Quale? “All’epoca in cui stavano scavando il fosso, le autorità finirono i soldi e una contessa si disse disposta a sovvenzionare i lavori, se avessero salvato il figlio, che era stato condannato a morte. Lo scavo fu terminato, ma la condanna, nonostante le promesse, venne eseguita. Allora la nobildonna pronunciò una maledizione: “in quelle acque ne devono morire sette alla settimana. E la maledizione si avverò”.
Ruggero Leonardi,
giornalista di ottima stoffa con anni nella redazione del settimanale
“Oggi”, in un suo interessante volume, “”Quando Milano faceva
faville”, edito da Mursia nel 2008, parla di lupi antropofagi che
infestavano anche questa zona, tanto che il 24 maggio 1462 Francesco
Sforza emanò un’ordinanza che prometteva un premio a chi ne avesse
eliminato o catturato qualcuno,
La superstizione si nutrì abbondantemente, quando nel 1792, a Cusago un pastorello venne aggredito e ucciso da uno di questi esemplari. Qualche giorno dopo l’autorità di Abbiategrasso annunciò che una ragazza era finita fra i denti di un altro lupo e ne dette i connotati. Il lupo divenne la bestia da abbattere e tutti lo vedevano in ogni luogo, fornendo ognuno connotati diversi.
Nel 1630 a Milano, durante la peste, che “invase e spopolò una buona parte d’Italia” (Manzoni: n.d.a.), vennero celebrati molti processi agli untori e anche a streghe e a persone che usavano intrugli e fatture dagli effetti dati per sicuri in modo truffaldino da chi li confezionava. Le sentenze venivano eseguite in piazza Vetra davanti a numerosi spettatori comodamente seduti, come allo spettacolo di un circo all’aperto. Dai sepolcri dei condannati, che – precisa Porzio - non risiedevano nel capoluogo lombardo, ma in centri distanti qualche chilometro, non uscirono mai spiritelli vagabondi. Si ricorda anche la bellissima Bianca Maria Scappardone Visconti, contessa di Challant, sposata, risposata, signora dalle varie alcove, viveva nel castello di Issogne. Nel 1526 venne accusata di essere mandante dell’omicidio del suo amante, Ardizzino Valpenga, processata e decapitata sul Castello Sforzesco. Il suo fantasma senza testa vagava sul maniero. Era stato avvistato anche da una mamma che portava a spasso il suo bambino.
Quindi ripeto,
streghe, fantasmi e compagnia un posto a Milano lo hanno avuto, anche
se la credenza popolare ne ha fatto spesso largo uso. Nei secoli
passati. Alfredo Castelli ribadisce che “a Milano non esistono
labirintici sotterranei, come a Napoli, Roma o Parigi. Non esiste una
tradizione di draghi come in Provenza né una tradizione diabolica
come a Torino… Non esiste una fitta popolazione di fantasmi come a
Londra: i pochi di cui parlano le cronache (quello di santa
Redegonda, il fantasma della Bernarda, il sinistro Barbapedana) ormai
non fanno più da anni la loro apparizione, forse impauriti dal
traffico o infastiditi dallo smog”. Mago Alex-Geo Portaluppi ne “I
misteri di Milano: spettri, demoni e altre storie, a cura di Franco
Fava, edito da De Ferrari, di storie ne ha raccolte tante. C’è
solo da leggerle.
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