Ritratto di Chechele di Mellone |
PER LO SCRITTORE BARESE MARIO DILIO
ERA L’AMBASCIATORE DELLA PUGLIA
Chechele gongolava di gioia al pensiero
Il direttore Zucconi e Chechele |
di essere considerato, non soltanto da lui,
rappresentante della sua terra. Era buono,
Chechele e Nennella |
schietto, intelligente, orgoglioso di ospitare
nel suo ristorante il “Premio di
giornalismo” e quindi nomi come Franco
Di Bella, direttore del “Corriere della
Sera”, Giovanni Testori, Gino
Palumbo, Ugo Ronfani, Gaetano
Afeltra.
Franco Presicci
Tutto cominciò nel ’77 in via Brera. Al Centro informazioni d’arte di Nencini, titolare anche della galleria Boccioni. Il settimanale “L’Europeo” aveva pubblicato un inserto sui trulli che andavano in rovina, autore Salvatore Giannella; e, con il grande pittore pugliese Filippo Alto, organizzai una serata sull’argomento, invitando a parlare fra gli altri il gastronomo Vincenzo Buonassisi, il fotografo Piero Raffaelli, Guido Le Noci - che nella sua “Apollinaire” aveva ospitato i più grossi nomi dell’arte contemporanea, tra cui Christo Javaceff – lo stesso direttore del settimanale della Rizzoli e il giornalista e scrittore Domenico Porzio, da pochi giorni tornato da Taranto, che descrisse con vivezza di particolari, nel bene e nel male. Lambros Dose, architetto d’interni, gestore del Cif, introdusse la manifestazione con la lettura di una pagina di Paolo Grassi, tratta dal Libro “In Valle d’Itria cicerone di me stesso” di Pietro Massimo Fumarola. Mezz’ora prima della conclusione degli interventi, una sorpresa: alla chetichella, per non disturbare, mentre in un’altra sala si proiettava un
Alto,Nennella,Giacovazzo,Chechele,Presicci |
Chechele con l'attore Michele Placido |
Premio a Di Bella (primo a sx) il sindaco Tognoli |
documentario sulle tarantolate di Galatina, sfilò un corteo di collaboratori di Michele Jacubino, Chechele per tutti, proprietario del ristorante “La Porta Rossa”, pugliese purosangue, con assaggi di prelibatezze della nostra regione da offrire al pubblico, circa 400 persone. Seppi che Chechele, ad Apricena, sua città natale, in provincia di Foggia, per una visita di qualche giorno, appena aveva saputo dai giornali della serata,aveva dato disposizioni allo“chef” ed era partito subito per Milano. Qualcuno ricorda ancora le orecchiette, le mozzarelle, i taralli, i salumi, il vino buono e quella delizia del pane pugliese, un gioiello uscito dalle stesse mani del ristoratore, che da giovane ad Apricena aveva esercitato l’arte del fornaio. Il tutto condito dall’espressione incantata di quell’uomo che in seguito fu indicato come “nunzio” della Puglia a Milano.
Ad avere l’idea era stato Mario Dilio, giornalista e scrittore barese, che per anni era stato capo ufficio stampa dell’Alfa Romeo a Milano. Amico del poeta Vittore Fiore, figlio del grande Tommaso, docente all’Università di Bari, scrittore a sua volta e meridionalista, vincitore nel ’55 del Premio Viareggio con “Un popolo di formiche”, lo disse a Filippo Alto e a me, coinvolgendo un gruppo di commensali seduti al tavolo di fianco al nostro durante una cena.
Cerimonia per la consegna del Premio a Palumbo |
I giornali ripresero le sue parole e Chechele ebbe l’investitura “coram populo”, ”complici” i pugliesi che frequentavano il locale, ai quali si aggiungevano spesso attori, attrici, presentatori, giornalisti famosi, imprenditori, poliziotti della vicina questura… Chechele abbracciava tutti; se qualcuno aveva prenotato, lo aspettava sulla soglia e gli andava incontro, Così fece con Giuseppe Giacovazzo, direttore della “Gazzetta del Mezzogiorno”, autore del primo documentario a colori della televisione: tema, Domenico Cantatore, che era di Ruvo di Puglia. Giacovazzo si presentò dopo mezzanotte in compagnia di Filippo Alto, suo amico dall’adolescenza, cenò e conversò a lungo con Chechele, deciso ad aprire un secondo locale, per il quale aveva già il nome: “Puglia”. Che dopo alcuni mesi fu inaugurato alla presenza di Daniele Piombi. Alla conversazione erano presenti anche Nennella e la figlia Antonietta che si stava laureando in lettere, e il sottoscritto. Ma Chechele aveva la mente fervida, sempre tesa a realizzare nuove imprese. Aveva fantasia, era generoso, schietto, affabile. Un giorno andai a trovarlo assieme a Filippo Alto e ancora prima di salutarci ci spiattellò un pensiero che covava da tempo.
Buonassisi, Raspelli, Cavallari, Oriani |
Come si fa a non ricordare Michele Jacubino a pochi anni dalla sua morte (il 27 maggio 2001)? Antonio Luca Di Bella, giornalista noto in Italia e all’estero, già direttore di Raitrè, lo ha scritto in questi giorni su Facebook. E lo dicono in tanti, quelli che lo hanno conosciuto personalmente e quelli che ne hanno sentito parlare. Chechele era un personaggio, legatissimo alla sua terra d’origine, privilegiata da Federico II: il sovrano la trovava adatta al suo amore per la caccia. Tra Lucera, Apricena e Foggia scrisse il suo trattato di caccia con il falcone. Chechele a volte ricordava la sua città e i resti del Castello di Federico. Quando diceva che era di Apricena gli luccicavano gli occhi e i suoi baffetti neri avevano un piccolo guizzo. Si commuoveva senza darlo a vedere. Aveva un carattere forte. Era stato povero e aiutava quelli che avevano bisogno, con discrezione, secondo il dettato manzoniano. Ne ricordo uno che quasi ogni giorno si sedeva a un tavolo in un angolo, trattato come un cliente normale. I camerieri lo adoravano, Chechele. Uomo dinamico e concreto. Aprì un ristorante a Pugnochiuso nel Gargano, condotto dal figlio Nino, erede delle sue doti. Chechele ha lasciato un vuoto in chi gli ha voluto bene e l’ha apprezzato. “Non riesco a credere che questa persona saggia, comprensiva, buona come il pane, sempre tesa verso gli altri, non ci sia più. Ogni volta che passo da via Vittor Pisani, davanti al ristorante, non posso fare a meno di pensare a lui”, mi disse un giorno un tecnico pubblicitario (non ne ricordo il nome), amico del pugliese, come qualcuno, per esempio Gaetano Afeltra, scherzando chiamava Chechele.
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