VISITA AL MUSEO
ETNOGRAFICO
E DELLA CIVILTA’
CONTADINA
Osservando centinaia di oggetti
di ogni genere,
abbiamo avuto
l’impressione di
fare un viaggio
nel passato, per
merito anche del
prosindaco Giulio
Zanotta, che ci
ha fatto da guida.
Franco Presicci
Al termine di una strada lunga fiancheggiata da ville e distese di
verde si arriva al museo etnografico e della civiltà contadina di
Casasco, qualche chilometro da San Fedele d’Intelvi.
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Scalini che portano al museo
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Giunti alla
mèta, si scendono una decina di scalini e ci si trova subito di
fronte a un piccolo “stand” con testimonianze dell’epoca dei
contrabbandieri: una bricolla; scarpe di juta che quelli calzavano
per attutire i rumori e non mettere all’erta i finanzieri della
vicina caserma; cappelli; uncini che alla vista delle “Fiamme
gialle” gli “sfrosadùr” (come gli artefici del traffico
illecito vengono indicati nel dialetto locale) usavano per liberarsi
del peso delle sigarette e darsela a gambe…
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Il prosindaco con la "Raganella"
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A farci da guida in
questo scrigno è il prosindaco Giulio Zanotta, ex alpino dalla
memoria ferrea, che ripercorre agevolmente itinerari storici e usi e
costumi della valle Intelvi, da qualcuno definita il polmone verde
della Lombardia”, per i suoi alpeggi e i suoi boschi. “Dal 1870 - dice
Zanotta - questa era una zona di gente dedita al contrabbando che si
muoveva tra l’Italia e la Svizzera: 30 chilometri di sgambata con
circa 30 chili sulle spalle (ogni bricolla conteneva 800 pacchetti di
sigarette). A dar loro la caccia erano prevalentemente militari
meridionali che non avevano mai visto la neve né provato tanto
freddo; e nel nostro vernacolo erano “burlanda”, termine che non
aveva un significato elogiativo. Fino agli anni 50 i contrabbandieri
portavano da qui riso, pneumatici e altro in terra elvetica e
rientravano con Malboro e altre marche.
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Pentole
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Nel 1870 le autorità fecero
sistemare una rete lungo il confine disseminandola di campanelli che
segnalavano movimenti sospetti. Poi le cose cambiarono, nel senso che
negli anni 80 del 90 il fenomeno si estinse”. “Una chicca:
nel 1926 i contrabbandieri portarono in Svizzera un famoso oppositore
del Fascio. E rimanendo in argomento Bettino Craxi (registrato con il
nome Benedetto e il cognome Graci per assecondare le imposizioni
anagrafiche e linguistiche del regime) fece parte delle elementari a
Casasco; e negli anni successivi ci veniva per incontrare i vecchi
compagni di allora”. Non sono i soli particolari che il prosindaco
può somministrare, suscitando sempre molto interesse.
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Arcolaio
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Ma ne ha molti
nell’archivio mentale. E gli piace snocciolarle. E’ persona
simpatica, colta e disponibile. Ha spalancato apposta per noi la
porta del museo, la cui apertura ufficiale è prevista per la
domenica successiva. Perciò nel museo c’è poca luce, qualcosa da
mettere in ordine e manca la pregevole pubblicazione di qualche anno
fa sulla sua storia, con un considerevole corredo d’immagini. Giulio Zanotta,
che ha ottima conoscenza dello spazio e delle preziosità che
contiene, mi descrive tutti i pezzi anche nei dettagli, inserendoli
negli anni storici in cui sono stati utilizzati. E lo fa con
entusiasmo e anche con orgoglio evidente. Nel museo sono
raccolte anche testimonianze delle guerre combattute dal nostro
Paese: divise, armi, fibbie, gradi, insegne…, “che evocano i
tempi in cui i lombardi prestavano il servizio di leva nell’esercito
austroungarico”. Non ci sfugge una pinza tagliafili usata dai
contrabbandieri per creare varchi nella rete di confine. “L’attrezzo
era già stato usato dai soldati durante la Grande Guerra”. Ed ecco
la divisa del Battaglione Alpini Val d’Intelvi, che fu impegnato
sull’Adamello. Ed ecco ancora la vetrina con i cappelli: quello
degli alpini; il colbacco della ritirata di Russia; il copricapo di
un ufficiale delle “Fiamme Gialle”; un elmetto del primo
conflitto mondiale. In un’altra piccola sala Giulio prende una
“raganella” e la agita facendola gracchiare: “I bambini la
suonavano, e la suonano ancora, il Sabato Santo, quando tacciono le
campane delle chiese”. Il suo “suono” è un po’ come quello
della “troccola” che scandisce i passi nella processione dei
“Misteri” a Taranto, commenta la signora che ci accompagna.
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Abito per giovane da marito
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Bascula
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In un angolo è
sistemata la cucina del Palazzo Ferradini, famiglia che per due
secoli gestì la Fabbrica del Duomo di Milano; in un altro, un
indumento indicato da Giulio come “la divisa del pastore comunale,
che portava al pascolo pubblico i bovini soffiando nel corno”.
Figura ormai scomparsa. E’ dunque una
fonte inesauribile, Giulio Zanotta. Le parole gli vengono fuori come
l’acqua dalla fontana di fronte che alimentava l’abbeveratoio per
i bovini e qualche capra che vi venivano raccolti per essere portati
a pascolare. Ed è piacevole ascoltarlo. Coinvolge, con la sua
dialettica. Non annoia, non ci induce a guardare le lancette
dell’orologio. Sembra un docente che elargisce con leggerezza
nozioni di storia senza salire in cattedra. Anche quando apre una
teca e ne trae il fucile imbracciato da un giovane balilla. “Sino al 1950 i
magistri intelvesi hanno lavorato nell’edilizia in ogni angolo
della Mittle Europa, e non solo. E mi illustra alcuni reperti: Tra
questi “imitazioni di calchi eseguiti da artigiani del luogo con
modelli della famiglia Ferradini”. Erano muratori, capimastri,
scalpellini, decoratori, architetti, stuccatori e anche pittori,
oltre che costruttori. Ovunque abbiano lavorato hanno lasciato orme
del loro valore; e siccome erano lontani, in tutta la valle vigeva il
matriarcato. Erano le donne che portavano avanti non solo la casa, ma
anche la terra e la lavorazione dei boschi con maestranze che
arrivavano da altre zone. Ne hanno fatte di fatiche, le donne di
Casasco, Castiglione e degli altri paesi vicini.
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La molatrice
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Allora non c’erano
né acqua né luce”. Uno scritto protetto da una cornice a giorno
informa: “L’alimentazione giornaliera era molto povera, scarsa,
al limite della miseria e basata principalmente, sino a tutta la metà
degli anni 50 del secolo passato, sui latticini, i cereali, il
piccolo allevamento familiare e su quanto potevano offrire l’orto e
il bosco: castagne, noci, funghi… “. Tra i piatti, descritti da
un altro cartello, l’urgiada, a base di orzo; la brusada, a base di
farina bianca abbrustolita… Non erano certo migliori le condizioni
di tante famiglie del nostro Mezzogiorno.
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Facciata del Museo
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Il museo alloggia
in poche salette collocate su tre piani. In una di queste altri
esemplari: gli attrezzi del lavoro contadino e quelli adoperati dalle
massaie: l’arcolaio; la stadera; lo scaldaletto; la bascula, grande
bilancia presente negli stabilimenti commerciali anche da noi; la
“comoda”, vaso da notte sotto un buco del seggiolone; gli zoccoli
realizzati a mano; abiti degli anni in cui si faceva il corredo per
le ragazze da marito; pentole; tegami; una molatrice; una macchina
per fare il gelato; e poi vanghe, zappe, falci, un frammento di
aratro sdentato. A vederlo da
fuori il museo sembra una casa privata come altre fatta di pietra; ma
quando vi si entra non finisce mai di stupire. Anche per le
innumerevoli notizie che il prosindaco fornisce, persino quelle sui
vari aspetti del paese, con le vie a saliscendi, strette, qualcuna
quasi una mulattiera, ma ben tenuta.
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Casasco d’Intelvi |
Un paesino comunque bello,
riposante, con qualche signora che conversa seduta sugli scalini di
casa (come a Martina Franca), attaccata a questo piccolo mondo pieno
di ricordi.
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Casasco d’Intelvi |
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Abbeveratorio
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Su una parete è affisso anche un piccolo manifesto con
la scritta: “Stazione di monta taurina. Tassa di monta, lire 10 per
ogni salto”. Prima di
salutarci Giulio Zanotta mi ha dato alcuni “dèpliant”. In uno
leggo che “i magistri comacini “erano una corporazione
caratteristica della regione dei laghi prealpini.
Corporazione di cui
si rinvengono tracce nel codice del re longobardo Rotari, che nel 643
ne autorizza l’attività e ne regola i doveri”. Un po’ come i
regolamenti che una volta contrassegnavano certi mestieri a “Milano.Quello degli orafi, per esempio, ai quali è dedicata la via Orefici
ed altri via Spadari.
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Macchina per il gelato
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Torniamo a
guardare la bricolla e il nostro anfitrione aggiunge un commento: “Il
contrabbando era un rimedio alla fame, alla povertà”. Ah dimenticavo,
quando ha aperto i battenti il Museo? “Negli anni 90, voluto dal
sindaco di allora Piergiorgio Cairoli, con l’obiettivo di
raccogliere, custodire e trasmettere alle generazioni future il
patrimonio della civiltà contadina, della montagna e delle attività
artigianali…”. Vanta centinaia di pezzi, tutti catalogati,
compresi foto e documenti. E’ di proprietà comunale ed è gestito
dall’Associazione Amici del Museo (sorta nel 2010), che organizza
eventi culturali, tra cui mostre, convegni, serate musicali,
camminate didattiche sul sentiero del contrabbando. E, come dicono
gli stessi “Amici”, è “una testimonianza culturale e umana che
ha lo scopo di legare i casaschesi e le genti della valle d’Intelvi
alle proprie origini”. Lasciato il
Museo, mi sento più ricco. Il prosindaco Giulio Zanotta mi ha
fornito fatti, date, preziosità, ha ricreato atmosfere, scortandomi
in un viaggio all’indietro su percorsi inesplorati. Giulio è la
memoria storica di Casasco, 474 abitanti, un delizioso centro
storico, una selva di castagni, 820 metri d’altezza, in provincia
di Como. Un paese-bomboniera, da scegliere per trascorrere in pace e
tranquillità la villeggiatura, tra nevere, lavatoi, sostre, ricoveri
per animali nei pascoli in quota, “casel dal lacc”: piccola
costruzione dove anticamente venivano messi le conche del latte per
ottenere la panna. Da Argegno (una
piazzetta da fiaba), ove sostano i traghetti che portano i turisti in
gita sul lago di Como, lo si raggiunge in mezz’ora, passando da
Castiglione, San Fedele d’Intelvi…, venendo da Milano. Per
visitare il Museo etnografico e della civiltà contadina la gente
viene da ogni parte. Non solo da Pellio, Dizzasco, Como, Lecco,
Campione d’Italia, ma anche dall’estero: emigrati alla scoperta
delle proprie radici. Il Museo, con le bellezze naturali e le gemme
artistiche del paese, rappresenta il fiore all’occhiello di
Casasco.
Un articolo davvero ben fatto che invoglia a visitare il Museo e a conoscere meglio il borgo di Casasco
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