PER
IL POETA CARLO PORTA IL VERZIERE
ERA
ANCHE UNA ”SCUOLA DI LINGUA”
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Il mercato dell'antiquariato |
Vi
si parlavano diversi dialettianche perché
era frequentato da
gente che veniva dai paesi vicini.
Per tenerlo al
riparo dai
malandrini la confraternita di
Santa Croce fece erigere una
colonna con
la statua di Cristo
Redentore.
Franco Presicci
“Guarda chi si vede. Da
quanto tempo. Sono passati due anni o più da quando hai cambiato
casa. Beh, ti trovi bene, in quel quartiere che si va sviluppando a
macchia d’olio, con un bel giardino in cui puoi, se vuoi, respirare
ossigeno sotto gli alberi?”. “Bene, bene; e voi? Che si dice in
quel condominio che abbiamo visto nascere?”.
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Il banco del pesce |
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I colori del mercato | | |
Conversazioni che
s’intrecciano ai mercati rionali all’aperto, magari mentre si è
in fila alla bancarella preferita per la qualità della merce e per i
prezzi. E un po’ anche per la simpatia del fruttivendolo, che pesa,
infagotta e consegna canticchiando storie del suo paese come un
menestrello. Indovinate da dove viene? Ma dalla Puglia; altrimenti,
non direbbe “Accattàteve le cime de rèpe ca ve facìte ‘na
bbèdda mangiàte e ‘a pròsema vòte me decìte grazzie”. Anche
il giovanotto di colore nero che gli dà una mano slaccia parole
della nostra terra, dicendosi nato a Cerignola. E’ delicato,
disponibile, ti fa scegliere “pumedòre”, “scarciòppele”,
“lambasciùne” e “marangiàne con un sorriso schietto. In
questo mercato “en plein aire” milanese, zona Niguarda, sono più
d’uno gli extracomunitari che servono il pubblico da titolari o da
garzoni.

Il
vecchietto arzillo che impugna il bastone dalla punta tenendo il pomo
in alto come fosse l’asta di una bandiera, fa: “Se mi dai la roba
buona ti faccio sposare la ragazza più bella del mio palazzo”. “Ho
già due fidanzate”, la risposta. Io abito in una via che sta quasi
al centro tra due mercati. Quando ci vado, per accompagnare mia
moglie, sono attirato più dallo spettacolo che dalla merce.
Mi
soffermo soltanto davanti al pescivendolo per fotografare il
pesce spada e i granchi, che quando si mettono l’uno sull’altro
non capisco se lo facciano per lottare, per giocare o per altro.
L’uomo che sta dietro il banco mi conosce e si mette in posa
davanti ai sacchetti di cozze e vongole, che dice di Taranto,
chiedendomi di mettere la foto su facebook. Frequento
anche, in estate, il mercato di Martina Franca, dove una volta ho
cercato di avere uno sconto per due bocce e l’ambulante, una donna,
è stata dura come il ferro. “Se abbasso il prezzo ci rimetto”.
Mi ha detto di no per un mese, ogni mercoledì. Poi un amico
ragioniere mercanteggiò al posto mio con il marito della signora,
che era assente, ed ebbe più fortuna. Pensai che l’ambulante
avesse voluto fare spazio sulla bancarella. Il mercato di Martina è
enorme. Occupa tutta una via e una piazza: il foro boario. Mi
dispiace che non ci sia più quello che vendeva gli uccelli e i
polli. Una ventina di anni fa tra galli e galline ne portai in
campagna trenta e organizzai un pollaio, dove cornacchie, passeri e
galli pasteggiavano insieme.
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Mercato sul Naviglio Grande |
Poi una notte arrivò la volpe e fece
una strage. A
Milano secoli fa c’era il Verziere, nato come giardino
dell’Arcivescovado. Si trasformò in mercato con numerose tende e
baracche nel 1779, lo trasferirono da piazza Fontana a largo Augusto,
che era a pochi passi. In seguito passò nella vicina piazza Santo
Stefano. Esponeva verdura, frutta, generi alimentari… e gli
avventori vi si assiepavano, come oggi in piazzale Lagosta. Anche
nella nuova sede si mischiavano tanti dialetti, una miscellanea che
dava anche piacere a chi amava il vernacolo: al Verziere dunque
venivano anche dai paesi vicini. Ogni tipo di persone e di
comportamenti. Il Verziere era uno spettacolo tutto da godere,
soprattutto da scrittori e da eventuali cantastorie, che avrebbero
tratto moltissimo materiale. C’era ovviamente spazio anche per i
poeti. Chi non ricorda “La Ninetta del Verziere”, opera scritta
nel 1814 da Carlo Porta, durante il suo lavoro di cassiere negli
Uffici del Debito Pubblico. Un’opera celebrata come un capolavoro
di poesia in dialetto meneghino.
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Mercato di frutta e verdura |
Non si è persa la memoria di questo
grande, che a 25 anni sposò Vincenzina Prevosti, con la quale andò
ad abitare in via Montenapoleone al civico 2. Il Porta definiva il
Verziere “scuola di lingua”, appunto per la varietà dei dialetti
che vi circolavano. Come ricordano gli studiosi, da Raffaele Bagnoli
a Carlo Castellaneta, ad Alberto Lorenzi… “Ma perché il mercato
è stato spostato?”, si domandavano gli avventori. “Perché
inceppava il traffico”, la risposta. E forse anche per rispetto
all’immagine della sede arcivescovile. All’inizio del 900 al
“Verzee” toccò Porta Vittoria, dove oggi sorgono il parco del
Marinaio e la Palazzina Liberty, dove nel ‘70 recitò il grande e
indimenticabile Dario Fo. Il Verziere interessò anche gli artisti,
tra cui Giovanni Ambrogio Figini, che a Milano dipinse molte tele di
carattere religioso, ritratti e nature morte. I
mercati antichi e nuovi sono pittoreschi. C’è chi ci va per fare
due passi tra quella policromia gioiosa: carote, ciliegie, arance,
banane…, e per osservare i atteggiamenti, le scelte, le
insofferenze, le polemiche di chi trova troppo caro o scadente un
prodotto. C’è chi tenta di tirare sul prezzo; chi compera un
piccolo merluzzo, due pere, due peperoni, mentre un cinico le
mormora: “Signo’, hai ospiti”: “No, sono vecchia, sola e
mangio quello che mi permette la mia pensione”… C’è chi va per
vedere le facce, le espressioni, le sagome. Tra la folla emerge un
signore alto, magro, austero, barba e baffi cespugliosi, giacca e
pantaloni bianchi, panama, che cammina tra un filare di cassette,
senza avvicinarvisi e poi si ferma davanti a un minuscolo carretto
somigliante a quelli siciliani, posto lì per sfizio dall’ambulante
con il chiosco pieno di delizie pugliesi. Ecco, questo signore,
invece di farsi la sua passeggiata in Galleria se la fa al mercato
all’aperto. Sembra appena uscito da uno sceneggiato televisivo.
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Mercato in Ripa Ticinese
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Così deve essere stato anche al Verziere. Che ebbe una cattiva fama,
per colpa di gruppi di delinquenti che, annidati anche nei pressi di
piazza Fontana, si dedicavano a furti di biciclette, moto e altro. A
Milano la malandra non è mai mancata. Nel 1906, la “scopola”,
combriccola abile nelle rapine e nell’uso del “martino”,
coltello in gergo di malandra e anche “maresciall”. Oltre alla
“scopola” allignavano la compagnia della teppa, i “locch”, la
“ligera”, fatta, questa, per lo più da giovinastri che
rasentavano o scivolavano nel codice penale per piccoli peccati. Li
si trovava alla malfamata e squallida taverna del Bernini in via dei
Guast, e dovevano vedersela con il cavalier Mazza, detto “el
Dondina”, poliziotto della squadra mobile dei primi del 900. Per
difendere il “Verzee” dai “tiradir de spada”, i borsaioli, e
da altre categorie di malfattori, la Confraternita di Santa Croce
fece erigere nella zona del Verziere, la colonna con la statua di
Cristo Redentore. Il
”Verzee” non era il solo mercato del capoluogo lombardo. C’era
anche quello di Porta Ticinese, caratteristico perché lambito dal
Naviglio Grande e da quello Pavese (il primo arriva in darsena,
tranquillo e silenzioso, il secondo da lì parte per andare a Pavia).
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Mercato di frutta e verdura
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Un tempo sulle acque del Ticinello navigavano i barconi carichi di
sabbia e di marmo di Candoglia destinati alla Fabbrica del Duomo; e
vi navigava anche “el barchett di Boffalora”, al quale Paolo
Valera, sfoderando la sua penna mordace, ha dedicato pagine dai toni
crudi. Il barchetto è anche il titolo di una commedia di Cletto
Arrighi, pseudonimo di Carlo Righetti. Ogni
quartiere aveva il suo mercato. Al Cordusio, per esempio; al
Carrobbio; in piazza Vetra (dove avvenivano le esecuzioni); in Foro
Bonaparte: in via San Maurilio, vicino a Via Torino, dove sbocca via
Piatti, l’ex zona degli orafi. E non dimentichiamo la “Sciostra
della Luna”, mercato di generi alimentari. Infilo nell’elenco
anche la Fiera di Sinigaglia, che un tempo si svolgeva lungo la
darsena e oggi in ripa di Porta ticinese. Vi si può trovare ogni
sorta di mercanzia, dalle biciclette usate agli orologi parlanti,
dalle stampe ai vetri dei lumi a petrolio, ai paioli, alle
campanelle, ai pennini usati al tempo che fu, a forma di torre, di
mano con l’indice puntato, di fascio littorio, alle puntine dei
grammofoni, ai dischi di Tito Schipa. Anche questo è un punto di
aggregazione e non sempre chi ci va ha in mente di acquistare. Lo
attraversa da capo a fondo, guardando le bancarelle e se becca un
oggetto interessante lo acquista. Spesso vi trova un amico o un
conoscente, con il quale chiacchiera, magari facendo la visita
insieme e insieme cercano una radio anni 40, una maschera antigas del
tempo di guerra da tenere come cimelio, una vecchia macchina per
scrivere, meglio se una lettera 22 della Olivetti, che magari non
scrive più, ma è pur sempre una testimonianza. Il mercatino è da
quelle parti fin dall’800: una bella storia.
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