IL “GIORNO” DI VIA ANGELO FAVA
LO PORTO SEMPRE NEL CUORE
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Enzo Catania con Ibrahim Kodra |
Fra tutti i cronisti c’era una gran
voglia di fare, spirito di sacrificio,
passione e nessuna rivalità. Il capo,
Enzo Catania, era un vulcano:
ruggiva e si esaltava al fiuto di una
notizia. La cronaca del vecchio
“Giorno” la ricordano tutti.
Franco Presicci
Alla fine degli anni 70 Enzo Macrì tornò a fare l’inviato speciale al settimanale “’Europeo”, lasciando il volante della cronaca de “Il Giorno” a Enzo Catania, siciliano come lui. Catania era un uomo vulcanico, la testa piena di idee, scaltro, pronto a calamitare la notizia che gli arrivava da diverse fonti per lo più risalenti al tempo in cui lavorava per il settimanale “Tempo Illustrato”, diretto da Nicola Cattedra, che era stato anche lui al “Giorno”, all’epoca di Romeo Giovannini, ottimo titolista e traduttore in latino dei Greci; Paolo Murialdi, Giorgio Bocca, Pietro Bianchi, Natalia Aspesi ed altri. Direttore Italo Pietra.
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Catania, l'attrice Ottavia Piccolo, Lotito |
Dopo di lui Afeltra, Zucconi, Rizzi… Una domenica verso mezzogiorno Catania si stagliò davanti ame e disse: “Ho saputo che Pertini è a Milano in visita privata; chiama l’autista e cercalo”. All’altezza della Scala vidi il compianto sindaco Carlo Tognoli, persona cortese, disponibile, preparatissima, diretta a Palazzo Marino. Lo rincorsi e con l’affanno: “Dammi una mano, sono alla ricerca di Pertini e non so dove intercettarlo. Tu sicuramente lo sai, non rivelo a nessuno che me lo hai detto tu”. Ebbe un attimo di esitazione e poi: “Sta pranzando al ‘Grissino’, ma avvicinalo quando esce, perché durante il pranzo non vuole essere disturbato. “Tu lo hai sicuramente incontrato e hai parlato con lui: mi dici gli argomenti?”.
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Lotito con Presicci al telefono |
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Nino Gorio |
Il giorno in cui da Palazzo di Giustizia lo chiamò il grande Nino Gorio, che seguiva con zelo e bravura i processi, per fargli sapere che aveva uno “scoop”, saltò dalla sedia, si precipitò al secondo piano, dov’era l’ufficio del direttore Guglielmo Zucconi, risalì eccitato, chiamò la segreteria di redazione ordinando di prenotare un volo per Parigi per Gorio. Il giorno dopo la prima pagina strillò che un preziosissimo quadro che doveva essere a Milano era in Francia. E quando nel giugno dell’84 gli comunicai che avevo saputo da Roma, da un amico dell’Interpol, che l’aspirante fotomodella americana accusata di aver ucciso il figlio del re degli ippodromi, era a Zurigo, non perse tempo: “Prendi il primo aereo e corri”. In aereo trovai il dirigente della sezione omicidi, che aveva informazioni sull’arresto e le sue modalità, e la sera stessa mandai il primo pezzo con qualche cammeo. Rimasi a Zurigo tre giorni, alloggiato all’albero Banhpost, a due passi dalla casermstrasse numero 5, dove la ragazza era detenuta; e quando venne estradata e prese il treno per Chiasso, io mi sedetti su una poltrona di fronte a lei, nel vagone riservato. La ragazza non parlava con i poliziotti, osservava dal finestrino il paesaggio che sfilava. Aveva capito che ero un cronista e si mostrava contrariata. Catania mi aveva già riservato più di mezza pagina, con il titolo: “Abbiamo viaggiato con…”, accompagnato da una foto scattata da me alla stazione elvetica. Quando di notte accadeva un fatto particolare e lui era al giornale, sulla macchina mi chiamava decine di volte volendo sapere ogni particolare per fare il titolo. Una notte da tregenda gli dissi: “Senti, ma l’articolo devo scriverlo io o tu? Qui la strada è un pantano, diluvia, io stavo in un accampamento di zingari con le gambe semiaffondate nel fango e tu mi hai fatto fare il tragitto due volte; non farmi fare anche il terzo. Oltre tutto, nessuno dei colleghi si è accorto che sto seguendo i passi del maresciallo Oscuri“.
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Giuzzi e Nascimbeni |
Mise giù la cornetta. Al mio rientro litigammo, poi mi mise una mano sulla spalla e m‘invitò al bar a bere uno zibibo. Gli capitava anche con il direttore, Gaetano Afeltra, un grande. Zucconi era più diplomatico e comprensivo era stato con lui a “Tempo Illustrato” e aveva diretto “La Domenica del Corriere”. La nostra era una cronaca ammirata. Ognuno di noi dava il meglio di sé, era sempre pronto a soddisfare le esigenze del giornale. Non si guardava agli orari, qualcuno saltava i riposi e le ferie, disposto ad alzarsi alle 2 di notte per precipitarsi su un luogo in cui un “trombettiere” aveva segnalato un regolamento di conti o un cadavere incaprettato nel portabagagli di una vettura.
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Presicci con Lotito e Guaiti |
Si collaborava, non esistevano rivalità. Se un collega riceveva una notizia che riguardava il settore curato da un altro, gliela passava volentieri. C’era chi, trovandosi in ferie, veniva a sapere degli sviluppi di un episodio, chiamava il giornale e avvertiva che se ne occupava lui. A Metaponto venne scoperto il corpo con il capo mozzato di una donna scomparsa a Milano: io ero in campagna a Martina Franca, risposi subito all’appello del vicedirettore Ugo Ronfani e in un’ora e mezza ero già nella caserma dei carabinieri, che mi spedirono dal procuratore della Repubblica di Matera. Se i cittadini della Bimare erano in fermento, tanto da volere un referendum perchè gli ori di Taranto non andassero nel capoluogo lombardo per esservi esposti, io da Martina chiamai Catania che predispose subito una pagina.
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Una parte della cronaca |
Nella nera ero con Piero Lotito, Giorgio Guaiti, Carlo De Barberis, Giovanni Basso, Giancarlo Rizza, Giulio Giuzzi, Tanino Gaddaitto. Poi molti di loro scelsero altri campi: chi la scuola, chi la cultura, chi le pagine della Provincia, e io rimasi da solo. Fare la nera mi piaceva moltissimo, mi entusiasmava. Quando accorrevo su un fatto, osservavo ogni dettaglio, sia pur minimo, persino la marca del pacchetto di sigarette trovato sull’auto. Pur occupandosi di altro, Piero Lotito e Giorgio Guaiti a volte intervenivano a darmi una mano, se il fatto riguardava più fronti. Ricordo ancora l’occhiello di un articolo di Giorgio, “Hanno ammazzato la “Gianna”, quando in via Galvani, tra le macerie sparse sullo spazio lasciato dall’ex sede de “La Gazzetta dello Sport, trasferitasi altrove avevano scoperto un cadavere. I “transfughi” avevano ancora nostalgia per la nera.
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Gaetano Gadda e Luisella Seveso |
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Giovanni Basso (disegno di Lotito) |
Era uomo coltissimo, aveva al suo attivo parecchi libri (su Kappler, su Bettino Craxi…) ed era capace di buttar giù una pagina intera in un’ora sulla morte di Jean Paul Sartre o di Federico Fellini. E amava, anche lui, la nera, che aveva seguito quando lavorava alla “Notte”, negli anni giovanili. Nonostante il tempo trascorso, di quell’ambiente ricordava bene nomi, fatti, circostanze… Quanti avvenimenti e quanti personaggi e quanti momenti con l’etichetta “nera” conservo nell’archivio della mia memoria. E anche qualche “scoop” mancato. Mi pesa ancora il pensiero di quel pomeriggio d’estate in una cittadina del Comasco, quando un’amica che ero andata a visitare mi disse che vicino a lei era stato agli arresti domiciliari un grosso elemento che aveva fatto parlare di sè tutte le cronache. Erano stati amici d’infanzia e si salutavano stando ciascuno sul proprio terrazzo. Quando mi disse il nome quasi mi venne un infarto. Io ero andato a cercarlo in Svizzera. L’amica si giustificò dicendo che improvvisamente quella porta che dava sul terrazzo era rimasta chiusa. Mi consolai pensando che non era sicuro che quel signore mi avrebbe concesso un’intervista. Ma io avrei potuto spiarne almeno le mosse. Anni passati con soste nelle caserme dei carabinieri, in questura, nelle varie sedi della Guardia di Finanza, di notte e di giorno, a qualsiasi ora, in attesa dell’osso da spolpare. Adesso ricordo i miei colleghi che non ci sono più: da Rizza a Gorio, a De Barberis, a Tanino Gadda, Gigi Gervasutti, Giancarlo Botti, Luciano Pizzo, Giovannino Basso, Giulio Giuzzi, Enrico Nascimbeni, Guido Gerosa… Quasi tutta quella cronaca con un ammiraglio che conosceva bene il suo equipaggio e tutti comparti della nave.