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mercoledì 4 dicembre 2024

Un grande presepista tarantino

LUCIANO MAZZARANO RACCONTA LA SUA VITA




Luciano Mazzarano
Aveva 15 anni quando realizzò la sua prima rappresentazione
sacra. E seguiva il padre, che montava la sua cassarmonica nei paesi della Calabria, della Basilicata, della Puglia. Poi il chiosco lo fece in scala di 85 centimetri.






FRANCO PRESICCI




Mancano pochi giorni a Natale. La gente ovunque si prepara ad erigere l’albero di Natale o ad allestire il presepe o entrambi, affollando i negozi per fornirsi di palle colorate, nastri argentei, pacchettini ornamentali, luci, statuine di ogni dimensione, granelli verdi o bianchi che simulano la neve o l’erba, alberelli, casette, pezzi di sughero o sacchettini di gesso… Noi ogni anno andiamo a cercare i fabbricanti professionisti non soltanto per immergerci nell’atmosfera della festa.
La chiesa del Carmine in mostra

E ci vengono inevitabilmente in mente i tempi di una volta, quando la nonna friggeva in cucina le pettole, mentre il mio papà collocava carta di giornale impregnata di argilla quasi liquida per ricoprire lo scheletro di legno del presepe e il nonno, a noi nipoti seduti con lui attorno al braciere, raccontava storie della Befana, che già allora era vecchia e stanca; e di Gesù Bambino, che stava per nascere come da tradizione in una grotta spoglia e gelida, fra pastori e pecorelle, uomini genuflessi con il berretto in mano, qualche zampognaro e più in là il guardastelle.
Queste riflessioni le ho confessate a Luciano Mazzarano, figlio del cavalier Antonio, deceduto a 105 nel 2016. Padre di sei figli, era famoso e apprezzato anche fuori i limiti di Taranto come autore di eccellenti rappresentazioni sacre. Me lo fece conoscere – avevo vent’anni – il professor Raffaele D’Addario, un gentiluomo che dopo aver lavorato come scenografo a Cinecittà era tornato nella Bimare ad insegnare disegno nelle scuole, credo alla “Maria Pia” di via Dante, angolo via Aristosseno. Anche D’Addario faceva presepi, che metteva in vetrina nel negozio del padre in via D’Aquino, quasi all’angolo con piazza Maria Immacolata e di fronte al negozio il cui titolate aveva il figlio che recitava con Emma Gramatica.
“Vieni, ti voglio far conoscere una persona che ti piacerà”. Ed eccomi in via Principe Amedeo vicino al Palazzo del Governo, di fronte a un signore dall’espressione severa, che suscitava un po’ di imbarazzo. Ci mostrò un presepe già pronto per essere trasferito in una casa privata e caverne, casette con i tetti innevati, strutture da completare. Quell’uomo mi rimase impresso e sulla via del ritorno, quasi sotto casa di Raffaele in via Cataldo Nitti, mi venne l’idea di cimentarmi con un paesaggio così ricco di elementi. ma ritenni che fosse impresa difficile per un giovane volenteroso ma inesperto. Il presepe è arte, magia, spettacolo, scenografia, bellezza, luce disposta convenientemente. Il presepe emana fascino, incanta, trascina. Ne ho visti, al Museo di Dalmine e li ho visti a Taranto, a Napoli, a Lecce, a Cantù in cascine in miniatura con pomodori appesi alle ringhiere e braccianti al lavoro.
La chiesa di San Domenico

Comunque D’Addario, uomo generoso e disponibile, che aveva una stanza tutta adibita alla sua passione, mi regalò qualche prezioso consiglio, utile per il mio lavoro di cronista alle prime armi, di navigatore curioso nel mondo incantato dei presepi. E mi fece assistere alla trasformazione di una scatola di cartone in presepe con lo sfondo ricavato da un ritaglio di carta celeste a mo’ di cielo.
Torno indietro da Luciano Mazzarano, 81 anni, pronto a inondarmi di aneddoti che hanno costellato la sua biografia: realizzò la sua prima opera quando di anni ne aveva 15. Quel lavoro non era un presepe ma una cassarmonica in scala di 85 centimetri, illuminata e con gli orchestrali nell’atto di dar fiato agli strumenti. Questo chiosco Luciano lo conosceva bene, perché all’epoca il padre ne possedeva uno vero, che con il suo aiuto e quello degli altri figli, smontava e rimontava alle feste in Calabria, Basilicata e nella stessa Puglia. “A quei tempi stavano i ‘traìni’ tirati dai cavalli”, aggiunge Luciano, che seguiva il padre provvedendo all’illuminazione, fatta collocando sotto la cassarmonica i gasometri alimentati con il carburo e il gas che usciva dagli ugelli…”.
Nel 1948 il negozio era nella città vecchia, in via Duomo, allora ricca di esercizi di ogni tipo (il vecchio orologiaio, il salumiere, il merciaio, il figulo che vendeva “perdùne”, trulli, piccoli arredi presepiali…). Poi, negli anni 60, traslocò in via Principe Amedeo, nel borgo nuovo. E lì i tarantini, e non solo loro, appena si cominciava a respirare aria di Natale, andavano ad acquistare ciò che serviva per mettere su il presepe, compreso sughero, figure di due centimetri di altezza, prevalentemente donne in tunica bianca, angeli.... E anche botti, sedili rustici, vasi in terracotta. C’era chi i fichidindia se li confezionava da sé con i semi di zucca (“le spassatìembe” nel nostro vernacolo) e i chicchi di riso pitturati in rosso, giallo, bianco.
Particolare della chiesa di San Domenico

Quando giravano per i paesi ad innalzare la cassarmonica nelle piazze presero a dedicarsi ai presepi e ad esporli alle gare del settore, riscuotendo premi. Luciano costruiva anche le casette e le illuminava in modo che da ogni finestra, da ogni porta uscisse la luce, era un maestro. E tra altre opere riprodusse la Torre Eiffel, un vascello e tutto ciò che gli veniva in mente. Intanto diventava grande e nelle ore non giocava più in strada a “mauè’ zò zò” a “’u cinq’e mmìenze” e a “levòrie”, gioco in uso anche tra i giovani di Taranto vecchia, come mostrano alcune preziose foto d’epoca della collezione di Nicola Giudetti.
Stimolo Luciano a indicarmi anche altri aspetti della sua attività e lui mi descrive la chiesa del Carmine, da dove escono i Misteri a Pasqua e quella di San Domenico, da cui confratelli, “nazzecanne”, portano fuori l’Addolorata., “Andavo a scuola il mattino e il pomeriggio facevo il garzone nell’officina di un fabbro, che anziché pargarmi si faceva pagare.”, aggiunge allegramente Luciano, che ama i dettagli che fanno risaltare meglio ciò che dice. Nel ‘59 entrò all’Italsider, perché era caduto due volte dalla cupola della cassarmonica e voleva evitare altri pericoli. Nell’acciaieria era addetto alle riparazioni e da elettricista ed elettromeccanico veniva chiamato ovunque occorresse la sua esperienza; ed era talmente bravo che fu nominato capoturno.
Ancora i presepi. “Non avevo smesso di farli: preparavamo lo scheletro di legno, lo rivestivamo con la carta roccia e il sughero, arricchendolo con le cascate, i ponti, i luoghi del lavoro, la lavandaia, perché il presepe è splendore. acqua, fuoco, elementi che hanno tutti un significato. Abbiano creato presepi nell’ingresso del Palazzo di Città, a San Pasquale e in altri templi”. Mazzarano Michele, suo zio, faceva l’addobbo nelle chiese.
La cassarmonica

La cassarmonica sotto la campana di vetro 

In casa tutti i fratelli e la mamma seguivano Antonio alla novena: avevano il Bambino a grandezza naturale, che prima fu portato nella chiesa della Sanità , a Tàrde vècchie”, e poi nella chiesa del Carmine. Gli domando: “Il giorno di Natale a pranzo nascondevate la letterina sotto il piatto di papà?”. “Sìne, ma nog’ère ‘na lèttere, ma ‘nu fuègghie accum’era ère”.
Luciano è simpatico: anche perché con gli amici e i parenti parla il dialetto, con gli estranei no. Il suo è un dialetto naturale, con tutte le sue armonie, i suoi toni e chi ama il dialetto come me lo ascolta con piacere. E’ l’unico della famiglia che parla il dialetto. Beato lui! Come posso parlarlo io, che vivo tra i meneghini orgogliosi di esserlo. Ma quando posso mi lascio andare, perché, come dissi una volta a Francesco Lenoci, il dialetto “jè ‘a zòche ca me tène strìtt’a Tarde”. Nelle mie rimpatriate, per dovere e per amore, vado a far visita a Mar Piccolo e ad ascoltare parole come “sannacchiutere”, “iavatùne”, “travàggjie”, “’mbòte”, “ficchetemmìenze” come escono dalle labbra screpolàte de le pesciauèle”. Lo dico a Luciano, ma la lontananza fa perdere la voce nel telefono.
Luciano è nato in via De Cesare 57, dove una volta c’era la libreria del cavalier Antonio Mandese, che riceveva Riccardo Bacchelli, Raphael Alberti e tante altre personalità. Oggi abita in periferia al quinto piano di un palazzo che gli consente di vedere e ammirare i paesi del circondario. Tiene a dire che sta ad est, dove sorge il sole. Fa ancora presepi? “No, mi limito a realizzare casette da cui la luce filtra da ogni apertura…”.
Riproduzione del ponte girevole

Ecco la storia di un uomo che ha trascorso la vita lavorando: allestendo la cassarmonica, riproducendola in scala, facendo il garzone da un fabbro, costruendo presepi anche con effetti speciali, con anfore e boccali, rustici con stalle, fienili, mulini, scale, pagliai, taverne, tegole, sentieri in discesa, ringhiere di legno con panni sparsi al sole. E Gesù, San Giuseppe, la Madonna, il bue e l’asinello al gelo in una grotta.
Mi viene la tentazione di chiedergli un po’ di storia del presepe, come e quando è nato a Taranto e nei paesi vicini, dove il Natale è ancora molto sentito e onorato. Ma si è fatto tardi. E non posso neppure chiedergli che cosa pensi delle rappresentazioni di carta o cartone eseguiti negli ultimi anni da Raffaele D’Addario, grande estimatore della dinastia dei Mazzarano.