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mercoledì 24 settembre 2025

Taranto, luoghi, personaggi, panorami


LA BELLEZZA DI UNA CITTA’ RACCONTATA CON AMORE

 

 



via D'Aquino (coll. De Florio)
I tramonti, il mare, le barche, i vicoli, piazza Fontana, via D’Aquino, il Ponte Girevole, il Castello Aragonese, la via di Mezzo, la ringhiera: gioielli che su un piatto d’argento offre la città.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FRANCO PRESICCI
 
 
 
Lo scrittore Giacinto Peluso insegnava lingua francese all’Istituto Magistrale Livio Andronico, in corso Umberto, quando cominciai a frequentarlo.
Giacinto Peluso e Nicola Mandese

A scuola era severo e implacabile, ma nella vita quotidiana tutt’altro. La severità era un suo metodo educativo: in aula non bisogna solo far conoscere Dante e ”Apollinaire”, ma formare, far crescere, insegnare agli allievi la vita. Lo incontravo spesso alla Libreria Filippi, in piazza Maria Immacolata, di fianco al portone dell’abitazione di Alfredo Nunziato Maiorano. A volte era in compagnia di Piero Mandrillo, il pulsanese ribattezzato tarantino.
Un giorno su un pullman, affollatissimo, quindi tutti stretti come olive in un barattolo, mi sentii chiamare con una voce perentoria, mi voltai e vidi emergere appena una specie di melone, poi un volto. Trinciai la folla, mi avvicinai, osservai una persona che mi parlava, ma non riuscivo a capire chi fosse. Mi disse “Io ti leggo sul ‘Giorno’, bravo” e io continuavo a farmi domande. Dandomi la mano, mi domandò: “Tu mi leggi sul ‘Corriere del Giorno?”. E allora avrei voluto abbracciarlo: lo avevo finalmente riconosciuto.
Ero già in pensione, ma ancora presente nelle pagine del mio giornale: una pagina intera settimanale sul gioco del lotto dal punto di vista demologico: superstizioni, sogni, “assistiti”, figure che Luciano De Crescenzo ha delineato molto bene e in modo divertente, in “Così parlò Bellavista”. Volevo raccontare il gioco del lotto a Taranto e domandai aiuto a Peluso. Presto fatto: “Pubblicai un libro trent’anni anni fa, te lo presto e quando sarà uscita, fra qualche mese, la nuova edizione, te la manderò”.
Il Ponte Girevole

Divorai il suo testo, che in un capitolo soddisfaceva le mie curiosità, compresa la sede del gioco, i ragazzi che il sabato si sparpagliavano per la città distribuendo foglietti con le combinazioni vincenti, gli atteggiamenti al botteghino e tanti altri particolari, compreso il bancolotto della città vecchia, a un passo dalla chiesa di San Giuseppe.
Era una fonte inesauribile, Giacinto. Ha scritto tanto su Taranto: luoghi, personaggi curiosi, come don Catavete e donna Pernice, Pezzechicchio e Cuppulone; personalità di alto livello, sacrari di cultura come la biblioteca Acclavio…
A Milano continuavo a seguirlo, perché Carlo Maria Lomartire, presidente della società editrice, in cambio della mia collaborazione con “Il Corriere”, mi faceva mandare il quotidiano in omaggio. Per questo potevo leggere le notizie della mia città; le cronache dal Palazzo di Giustizia di Roberto Raschillà; l’intervista del direttore Riccardo Catacchio a Foggia al nuovo arcivescovo, Papa, che stava per trasferirsi nella Bimare…
Il giorno in cui presi il treno per Milano nella valigia avevo tutto quello che serve e copie del “Corriere”. Ricordo i nomi dei colleghi che vi lavoravano, da Domenico Casulli, poi diventato notaio, a Ventrella, a Pasquale Scardillo, esperto di sport; da Di Battista a Franco De Gennaro; da Vincenzo Petrocelli a Livio De Luca, a Mario Ligonzo... Tani Curi lo ritrovai nella veste di caporedattore in via Fava, la vecchia sede del mio giornale.
Giovanni Acquaviva e il pittore Antonio Rolla

Nei ritorni non mancavo mai di fare un salto in redazione, prima in via Mazzini, poi in via Di Palma, ai Beni Stabili, in piazza Maria Immacolata, al primo piano del palazzo che ospitava il famoso “Cin cin bar”. Per la verità in quest’ultima sede, in cui era direttore Dino Salvaggio, ci sono andato poche volte, ma perché soggiornando a Martina Franca, non avevo sempre un’auto a disposizione.
Anche “Il Corriere del Giorno” fa dunque parte dei miei ricordi più assidui. Ci entrai per la prima volta quando non avevo ancora diciotto anni: “Il Corriere” ha cullato il mio sogno di diventare giornalista. Allora veniva confezionato in piazza Garibaldi, di fianco all’ingresso del Palazzo che ospitava il Tribunale, l’istituto per geometri e ragioneri, e dall’altro ingresso, di fronte al monumento ai Caduti, il Liceo Classico “Archita “. Ricordo le cronache dei grandi processi nella Corte d’Assise riunita a Taranto, con principi del foro come Alfredo De Marsico e nei banchi riservati alla stampa, Gennarini, corrispondente della “Gazzetta del Mezzogiorno”, e il professor Angarano, del “Giornale d’Italia”, genero del titolare della Sem, Messinese, che accendeva i saloni al piano superiore, per le danze, le conferenze, i convegni ed altre attività.
via Garibaldi

A pochi passi c’era l’ufficio di corrispondenza del “Messaggero” guidato da Lippolis, che abitava qualche piano sopra, e di fronte la caserma dei carabinieri. Alcuni ricordi m’intristiscono ancora. Per esempio, quello del colonnello Giovanni Carrino, a scuola sempre 9 e 10, poi ingeneria, sempre con ottimi risultati, poi la marina e vice-comandante di un sommergibile, in cui un giorno si sprigionarono le fiamme, Carrino accorse da casa e ci lasciò la vita. Io ero al “Giorno” e lessi la notizia in tipografia, con gli occhi umidi: Carrino era mio amico.
Del “Giorno” mi seguono nel pensiero i colleghi più cari e il profumo del piombo, poi sostituito dalle nuove tecnologie. Mi vengono in mente anche i fotografi, che avevano il laboratorio al decimo piano; tra questi Lorenzo Pizzamiglio, che tutte le sere veniva a sedersi a un tavolo della cronaca e leggeva i quotidiani; e se arrivava la notizia, risaliva come un fulmine i piani, si attrezzava e sostava in portineria in attesa del cronista.
Una notizia la captai proprio stando a Martina, scorrendo le pagine del “Corriere del Giorno”: gli ori di Taranto in partenza per una mostra a Milano. Erano già esplose le polemiche e l’idea di un referendum. Protestò anche Nicola Caputo, grande storico della Bimare, perché si temeva che dal capoluogo lombardo gli ori non sarebbero più tornati o sarebbero tornati rovinati. Corsi a Taranto, contattai il presidente dell’Ente per il Turismo, Costa, il vicedirettore del Museo e altri. Il giorno dopo uscì sul “Giorno” un titolo su otto colonne, confezionato dal vice-direttore Enzo Catania: un vulcano.
Antonio De Florio a piazza Fontana

Sono molto legato a Taranto. E nei miei rientri trovo sempre novità, cambiamenti, persone che non vedevo da 40 anni. Anni fa mi venne incontro sotto casa mia il poeta Diego Fedele; un’altra volta incontrai Claudio De Cuia e ancora Nicola Caputo in via Mignogna, nel punto in cui si apriva la Galleria d’arte di Mario Ligonzo, e poi Umberto Vernaglione, campione italiano di pugilato, che abitava in via Giusi. Una bravissima persona e un grande sportivo.
Ancora oggi amo fare un pellegrinaggio fra i luoghi che avevo frequentato di più, soprattutto via Garibaldi, nella città vecchia, dove la vista “d’u mare peccerjdde”, m’incanta. Il mare che ispirò poeti e pittori e ad Alfredo Lucifero Petrosillo il poema “U travàgghie d’u màre”, il mare che s’infuria, si placa, emette una musica dolce che fa sognare; il mare che si riempie di stelle quando è illuminato dalla luna; il mare che si sposa con un altro mare, il Grande, padrino il canale navigabile: il mare di Taranto, la città che mi ha dato i natali, il mare a cui torno per amore; Il mare di Alfredo Nunziato Maiorano, autore di “Tàrde vècchie mjie”, dove lui tornava per ascoltare il dialetto dalla voce dei pescatori: “schife”, “’mbòte”, “stangachiàzze”, “sciabulone”…
Il mare visitato costantemente da Antonio De Florio anche per realizzare i suoi video eccezionali; il mare sognato dai tarantini trasmigrati nel capoluogo lombardo; il mare di Nicola Giudetti, il “re” del borgo antico”; di Nicola Cardellicchio, che vanno ad ammirarlo tutte le volte che possono e poco ci manca che vi si genuflettino. Mare Picce è sacro. Su quella riva conobbi, quasi settant’anni fa, i venditori di frutti di mare e vidi le prime volte le barche colme di mitili, “còzze gnòre”, ancora attaccate “a le zòche”.
Giuseppe Francobandiera

Quante volte ne ho parlato con Filippo Alto, il grande pittore barese che nella sua casa milanese e in quella di Figazzano ritraeva la Puglia anche per la rivista “Qui Touring”, di Mario Oriani, e la celebrava con le sue mostre anche oltreconfine. Nella Bimare venni anche per assistere a una commedia di Eduardo recitata dal figlio Luca, nell’ambito di una grande iniziativa di Giuseppe Francobandiera, direttore del Circolo Italsider: il “Teatro sull’erba”. Francobandiera! Quante idee, quanti progetti, quante invenzioni. Fu il primo a pubblicare con l’Italsider un libro sugli ori di Taranto. Realizzava senza rumori, con umiltà: esposizioni, conferenze tenute da grandi nomi (Morando Morandini, Gianni Brera...), concerti nelle chiese… Eh, Peppino, strappato troppo presto a questa città, che aveva bisogno di lui. Generoso, sincero, grande intellettuale, come affermava anche Piero Mandrillo, che mi parlò molto di lui durante un pranzo a casa mia a Milano. Giuseppe veniva dalla Lucania, che vuol dire luce. Quante volte ci siamo incontrati alle feste che Filippo Alto, il vichingo, organizzava a Figazzano (una volta c’erano anche il ministro Vernola, il critico d’arte Raffaele De Grada arrivato da Milano, Giuseppe Giacovazzo e altre personalità). Ho letto i suoi libri, li ho riletti. E ricordo le parole di Franco Zoppo: “Sarebbe stato un ottimo sindaco”.

 

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