Nicola Martinucci |
IL TENORE NICOLA MARTINUCCI
DETTO L’EREDE DI TITO SCHIPA
Nella sua città natale sospirava il
Teatro lirico, ma le promesse a
volte sono come farfalle. Il primo
a pronosticargli un bell’avvenire
fu il tenore Mario Del Monaco,
altro colosso di ieri, dalla figura
imponente.
Franco Presicci
Un critico lo definì l’erede di Tito Schipa. Ma già era “l’usignolo di Lecce”, il cui talento musicale era stato avvertito fin dalla scuola elementare, dove era detto “Titù”, piccoletto. Tito Schipa, il cui nome era esploso con il “Don Giovanni” e il “Barbiere di Sibilia”, era considerato uno dei maggiori cantanti del secolo scorso; e Nicola Martinucci, sentendosi esaltare così, quasi era in imbarazzo, dato il suo carattere semplice e timido.
Giuseppe Zecchillo |
Di lui il baritono Giuseppe Zecchillo, che non aveva peli sulla lingua, mi aveva detto che Nicola Martinucci era un vero grande artista, meritevole del successo che andava ottenendo ovunque si esibisse, in Italia e all’estero. Zecchillo era un personaggio molto noto, per la sua brillante carriera, per le sue proteste dal loggione della Scala e per le strade di Milano, che occupavano ampio spazio in tutti i giornali, dato il personaggio, che tra l’altro aveva fondato il sindacato della categoria. Faceva anche suggestivi quadri con la pasta ripassata con la porporina, che lui definiva quadri in oro Zecchillo ed era informato di tutto. Io andavo a trovarlo spesso nel suo studio in via Fiori Chiari, a Brera (che fu del suo amico Piero Manzoni, l’artista che aveva anticipato l’arte povera concettuale) e lo ascoltavo mentre parlava anche al telefono di teatro lirico e di pittori. Non parlava mai a vuoto, non si lasciava mai andare a facili giudizi, nel bene e nel male. Per cui, se affermava la sua stima per Nicola Martinucci si poteva mettere la mano sul fuoco. Mi fece domande su Martinucci anche la sera in cui decise di concedere il proprio studio per la mostra di un graffitaio importante, e allo scopo fece liberare il locale del piano terra. A un certo punto mi invitò a seguirlo al bar dell’angolo, che frequentava quotidianamente per offrire un caffè o una bibita agli amici che andavano a fargli visita.
Nicola Martinucci |
“Tu lo hai conosciuto Martinucci?” Risposi di sì. “Lo sai che è tuo concittadino?”. “Sì, so che è nato a Taranto e che è una persona alla mano. Ti dirò di più: a Taranto va spesso e a Milano abita in una villa in viale Lunigiana, quasi addossata alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde”. “E non vi siete mai incontrati?”. “Sì, una volta, per pochi minuti”. E siccome Giuseppe era una persona curiosa, mi domandò se ne sapessi di più. Non sapevo altro, solo che era amico del vicequestore Filippo Ninno, di Taranto anche lui, poliziotto acuto, indagatore tenace, apprezzato anche per aver liberato dalla droga la zona che gli era stata affidata (per la cronaca, lo avevano soprannominato “ispettore Callaghan) e, da capo della squadra mobile, risolto delitti clamorosi. Il caso poi mi fece nuovamente incontrare Nicola a Taranto, dove mi parlò di una sua “tournèe” in Spagna. Un agosto venne a trovarmi nella mia casa di Martina, nel centro storico, dove le case sono fondali di teatro e i vicoli luoghi di conversazione tra le donne che stando sulla soglia del proprio basso lavorano a maglia o sorvegliano un banchetto di fichi da seccare al sole (di solito lo si fa in campagna), e mi porto nella sua splendida villa che guarda il mare.
Filippo Ninni |
La turista e il pescatore |
Quando aveva pochi anni, tornando a casa dalla scuola, si sedeva sul marciapiede di fronte a una villetta, dove un melomane ascoltava per ore, ad alto volume, la voce di Beniamino Gigli, altro grande tenore del secolo. Nicola rimaneva incantato, memorizzando tutte quelle arie, che poi canticchiava, meravigliando amici, parenti e conoscenti. A casa lo aspettavano per il pranzo, ma non si davano pensiero, sapendo dove andarlo a cercare. “Bella la tua storia, ancora più bella per il modo con cui la racconti”, gli dissi. E lui continuava, come fosse un nonno intento a intrattenere il nipotino con i piedi sulla pedana del braciere nelle fredde giornate della Taranto di una volta (oggi i termosifoni hanno liquefatto il romanticismo). “Mio padre e miei fratelli avevano un’officina all’Hotel Delfino in viale Virgilio (adesso è in viale Magna Grecia) e sembrava che anch’io dovessi per sempre battere il martello sull’incudine o tenere il ferro sul fuoco, limitandomi ad ascoltare le opere o a cantarle in un piccolo teatro di periferia, nel tempo libero”.
Chiesa di San Domenico |
Mar Piccolo |
Il Palazzo del Governo |
Il Ponte |
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