BUFFALO
BILL FECE RIVIVERE
L’EPOPEA
DEL GRANDE WEST
Il
suo circo fece il giro del mondo.
Vi
si esibivano Toro Seduto, capo
dei
Sioux, coraggioso e dotato di
intelligenza
politica; Alce Nero;
Calamity
Jane e Annie Oaklei,
infallibile
tiratrice; cow-boys,
indiani,
cavalli, diligenze assaltate
da
banditi spietati. Fu a Milano e
a
Verona.
< FOTO DEL DOTTOR PEPPINO BRUNO>
"Medaglia per l'Expo nell'anno in cui si esibì
Cody a Milano (Coll. Peppino Bruno-dentista e fotografo)
Franco Presicci
“Buffalo Bill a Milano? Bah!.Quando? In che anno?
Ogni tanto ne sento una nuova. Buffalo Bill a Milano… Sarà venuto come turista, come tanti, ma all’epoca si viaggiava a bordo di piroscafi, o bastimenti, e ci volevano mesi per concludere il percorso”. Captai questo frammento di conversazione tanti anni fa, mentre passavo davanti alla saletta dei telefonisti, al secondo piano del mio giornale, il giorno della strage di Moncucco (otto persone ammazzate, di cui sette perché possibili testimoni). William Frederick Cody a Milano c’era stato per davvero, con il suo spettacolo “Buffalo Bill West Show”, e si era esibito all’Arena riportando un successo clamoroso.
Il pubblico si scatenò, il boato degli applausi
arrivò verosimilmente sino a via Rovello, vicino al Teatro Strehler,
e oltre. Se ne parlò per mesi e anche di più, con strascichi negli
anni seguenti. Su una parete esterna dell’Arena campeggiò il
manifesto che coglieva Buffalo Bill a cavallo fin quando la pioggia e
il vento non lo ridussero a una bandiera di carta lacera e con i
pezzi sventolanti. Alcune vecchie cronache riferiscono che spesso si
notavano cittadini fermi davanti all’entrata e confessavano
d’immaginare lo spettacolo che non avevano potuto vedere per il
prezzo, per loro troppo caro, del biglietto. Per
i meneghini Buffalo Bill divenne “l’eroe di Milano”. Per ben
due volte (1890 e 1906) lo videro all’Arena compiere “mirabilia”
in sella al suo cavallo, con il suo pizzetto alla Napoleone III:
dominatore della scena, con 600 elementi, tra cui indiani e cow-boys
veri, cosacchi, destrieri della prateria, alci… registrando per
sette giorni il tutto esaurito.
Sul suo elegante quadrupede, di nome
Brigham, un tenace e spedito Appaoolosa, galoppava a briglia sciolta,
eseguiva volteggi, piroettava, sparava anche a testa in giù
rasentando il terreno con il suo fucile, uno “Springfield calibro
50 da lui battezzato “Lucrezia Borgia”. Uno spettacolo che
eccitava, entusiasmava, emozionava con brani di battaglie famose:
quella di Little Big Horn, per esempio, si proprio quella (1876), in
cui perse la vita il generale George Armstrong Custer, che capiva gli
indiani – ha scritto Stanley Vestal – perché come loro amava la
gloria. Ecco un altro conflitto, con soldati, sioux, cheyenne,
apache, pellirosse. Chi stava sugli spalti s’immedesimava,
gesticolava, incitava, magari infastidendo il vicino, più attento,
ma moderato. Sfilava
il vecchio West, con le diligenze assaltate dalle bande e le
postazioni militari assediate, gli scontri, le cavalcate, le
imboscate, le sparatorie, gli scalpi mostrati con orgoglio e con
gridi di vittoria, rodei, parate di animali, corse di pony express
(all’età di 18 anni Cody era stato uno dei corrieri a cavallo
della categoria). Tutto questo andava in scena dal !883, grazie,
ripeto, a Buffalo Bill, che lo portò in giro per il mondo.
In Omaha,
impresario Barnum, era stato reclutato anche Alce Nero, guerriero,
taumaturgo e profondamente religioso; Calamity Iane; l’infallibile
tiratrice Annie Oakley; Toro Seduto, Tatanka Yotanka, il grande capo,
il campione dei Sioux Huntpapa e dei Cheyenne, nato nel 1831 nel
Nord Dakota in una famiglia di guerrieri, capo valoroso e
carismatico, dotato di intelligenza, di capacità politiche… nel
’70 alla testa con Cavallo Pazzo della lotta indiana contro i
bianchi lanciati alla conquista dei giacimenti auriferi sulle Colline
Nere; protagonista di grandi successi e poi obiettivo di critiche
partigiane, che lo accusarono tra l’altro di ostacolare il processo
di civilizzazione (perché difendeva la sua terra in cui vivevano
anche donne e bambini sotto i tipì). Catturato, fu ucciso. I
ragazzi – riferisce anche Alberto Lorenzi - tempo dopo, ogni
settimana affollavano le edicole chiedendo le dispense sulle imprese
del mitico cacciatore di bisonti, oltre che staffetta della
cavalleria, illustrate da Tancredi Scarpelli e date alle stampe della
casa editrice Nerbini. Qualche adulto s’incaponì ad imitare la
bravura di Buffalo Bill e nel 1894 s’impegnò in un’accanita gara
al Trotter, dalle parti della cascina Pozzobonella, in via Doria,
dalle parti della stazione Centrale. Suo avversario, Romolo Bruni, un
ragioniere soprannominato il “diavolo nero” per le sue volate e
per la maglia che indossava. La competizione, tre ore per tre giorni,
imponeva una condizione iniqua: attribuiva al cosiddetto Buffalo Bill
il privilegio di cambiare cavalcatura (e fece ben dieci volte,
aiutato da un brumista travestito da comanche, che gli teneva pronti
i quadrupedi) e quindi l’altro, in bicicletta, correva
svantaggiato.
Vinse la furbizia (e vinse anche in altre edizioni). Con
il passare degli anni si scoprì che quel Cody era un sosia: quello
vero, che tante pubblicazioni diffuse in America al costo di 10 cent
esaltavano come “re della frontiera”, in quei giorni era
accampato con il suo tendone a Brooklyn, all’Ambrose Park”. Fiorirono
anche le leggende. Secondo una di queste, Buffalo Bill a Milano
s’invaghì di una fanciulla, e per questa passione vi soggiornò
vari mesi, progettando l’apertura di una trattoria a Niguarda, zona
tranquilla che, qua e là, ha ancora oggi angoli di totale
tranquillità, come via Cicerone, piazza Belloveso, via Passerini,
via Pallanzone… Il personaggio non era Cody, ma semplicemente un
cow-boy del suo “cast”. Le
“tournèe” negli Stati Uniti, in Europa, compresa quella di
Milano, a Wlliam Frederick Cody fecero guadagnare molto denaro.
Gliene arrivò anche dalle 11 stagioni delle rappresentazioni
teatrali: “Sout of the Plains”, dove ebbe anche Wild Bill Hichok,
il principe dei pistoleri. Morì in misera nel 1917. Era nato in una
fattoria delll’Jowa, a Le Claire, nel 26 febbraio 1846. Era
diventato famoso dopo uno scontro con il capo indiano ”Mano
gialla”. Nel 1863 si era arruolato nel 7° Cavalleggeri del Kansas,
prendendo parte alla Guerra di successione americana. Divenne Buffalo
Bill dopo aver vinto una gara per la cacia al bisonte. Ricevette la
medaglia d’oro del Congresso, il più prestigioso riconoscimento
militare degli Stati Uniti. La
prima tappa del circo nel nostro Paese era stata Verona.
Nella città
dei Montecchi e dei Capuleti, di Romeo e Giulietta, Cody si era
esibito la prima volta nel 1890, avendo come ammiratore un
personaggio d’eccezione: Emilio Salgari, il notissimo autore di
tanti romanzi d’avventura (“I pirati della Malesia”, “il
Corsaro Nero”…), veronese del 1863, che, allora molto giovane,
scriveva come collaboratore sul quotidiano del luogo, l’”Arena”,
ancora oggi degnamente in edicola. Anche
su questa tappa c’è molto da dire, soprattutto a proposito di
Emilio Salgari, il quale per tutta la permanenza del colonnello Bill
Cody in città non lo perse mai di vista: lo seguiva ovunque, contava
i passi, annotava gli incontri, le parole, i gesti, con tutti i
dettagli.
Cronista scrupoloso, attento. Tra i due si stabilì una
certa familiarità, tanto che l’ex postiglione di diligenze e
corriere del Pony express, cacciatore di bisonti per fornire carne ai
lavoratori che costruivano le ferrovie del West, guida dell’esercito
americano nelle guerre contro gli indiani divenuto circense, gli
consentì, in una scena, di viaggiare nella diligenza inseguita da
bellicosi pellirosse che scoccavano frecce da tutte le parti, creando
“suspence” fra il pubblico assiepato nell’anfiteatro.
Simulazioni bene architettate come quelle che oggi vediamo nei film
con John Wayne, al secolo Marion Robert Morrison. Lo
spettacolo non era al livello di un kolossal di Cecil de Mille, ma i
giornali ne parlavano non soltanto come una novità. Lo stesso
Salgari apprezzava talmente Cody, che lo inserì nel suo romanzo “La
regina del campo d’oro”. Dello show di Cody scrisse che era uno
spettacolo vero, reale raffigurante i quadri più interessanti della
vita selvaggia del grande Ovest, con gli usi e costumi di quelle
popolazioni. Ovunque si esibisse, Cody calamitava un grande
apprezzamento da parte degli spettatori, che lo consideravano un
mito. Il suo circo, con tutti quei numeri che evocavano pagine di
storia, faceva sognare. E forse nessuno in quel sogno vedeva le
ingiustizie perpetrate contro pellirosse, sioux, navajo, capo
Giuseppe e i Nez Perce…Il
circo di Buffalo Bill anche a Verona arrivò con un treno di cinque
vagoni lungo quasi un chilometro, e nell’Arena, in grado di
ospitare 12 mila persone. in poche ore gli addetti innalzarono il
tendone.
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