Franco Presicci, Martino Montanaro e Francesco Lenoci |
L’ANTICO PANIFICIO SAN MARTINO
In quel tratto di strada così
frequentato turisti e martinesi in
coda per entrare nel negozio che
da decine di anni fa pane, taralli,
focacce, friselle, dolci tipici e
panettoni.
I clienti vengono anche da Taranto.
Franco Presicci
Per Ippocrate, il più celebre medico dell’antichità, iI pane ha origini nella mitologia. In nessun archivio esiste un documento che attesti l’anno in cui la prelibatezza abbia fatto la sua comparsa sulle mense, ricche o povere. Si conosce il tempo in cui l’uomo, cominciando a triturare il grano fra due pietre, ne ricavò una farina sia pure non raffinata. Secolari dunque i primi passi compiuti per la fattura del prezioso alimento. La Roma dei Cesari prese dimestichezza con il pane quando ebbe contatti con la Grecia. E fiorirono i primi forni. In seguito i panificatori si modernizzarono e si associarono; e verso il XVIII secolo si orientarono verso il nuovo, che il progresso consentiva. Il pane divenne anche oggetto di riti e gesti, osservati da molti ancora oggi. Lontanissima e oscura dunque la data di nascita del pane. E antichi la passione, l’arte, il sacrificio, l’entusiasmo di chi lo prepara.
Il pane a trullo |
Martino Montanaro |
La giornata di MartinoMontanaro, titolare dell’Antico Panificio San Martino nella splendida, solare, ridente città di Martina Franca, comincia alle 3 del mattino. Apre il suo regno, oggi in via Mercadante, indossa il suo camice e impasta la farina, la plasma come il ceramista la creta. Mestiere d’arte, quella del panificatore, anche per le forme, a volte scultoree, che gli artigiani sanno dare a questo cibo. Martino manda nelle case anche il pane con la sagoma a trullo e addirittura il panettone. Non era ancora nato quando mio zio Dionigi, che con moglie e figli villeggiava in una casa incappucciata sul Chiancaro, poi ereditata dalla sua famiglia, mandava uno dei suoi tre ragazzi a prendere proprio il pane a trullo (che piaceva tanto anche al più piccolo, Enio, scrive la figlia Grazia su Facebook) da quel forno, che troneggiava nel punto in cui la stradina, svirgolando dalla nota e lunga Mercadante, prosegue in discesa, biforcandosi. Quando glielo consegnavano, lo zio lo odorava e ne ammirava l’aspetto. “Manca soltanto la palla sulla cuspide”, commentava. Un esemplare lo avrebbe messo in bacheca a futura memoria, potendo. Martino, ora cinquantatreenne, aveva 7 anni quando entrò nel forno la prima volta, al seguito del padre, Carlo (all’epoca commesso di fiducia dell’opificio), con l’intenzione di avviarlo al mestiere. Ma lui poteva solo fare da maestro, al ragazzino, che,, sveglio e ben disposto, quel mestiere ce l’aveva nel sangue.
Via Mercadante |
Con il passar del tempo anch’io, avendo casa in via Vittorio Alfieri, ma non soltanto per questa vicinanza, comperavo il pane e le frise nell’Antico Panificio San Martino. Se stavo in campagna, cinque chilometri dal paese su via Mottola, non cambiavo l’abitudine. E durante il percorso pensavo a zio Dionigi, uomo di notevoli virtù., scomparso da tantissimo tempo, a Taranto, la sua culla. Dello storico panificio, mi sono incontrato giorni fa con il titolare, Martino Montanaro, che aveva gli zii, miei amici di una vita, proprio nel tratturo in cui passo le estati. Uno dei due era Giovanni, deceduto mesi fa, a cui mi legava un affetto solido e schietto. Adesso, in quei trulli, bianchi come il latte, è rimasto soltanto il figlio, Natuzzo, un bravissimo ragazzo, che quando parla fai quasi fatica a sentirlo. Martino è gioviale, basso, in carne, gli occhi come olive di Gaeta, loquace. Conversando con lui, mi è venuto in mente il professor Francesco Lenoci, docente all’Università Cattolica di Milano, conferenziere apprezzato in tutt’Italia. Tema: “Creazione di Valore”. Si è occupato anche del pane, parlando a Laterza, ad Altamura, a Matera... E gli ho telefonato. Aveva passato la giornata facendo fotografie a Bari, Molfetta, Acquaviva delle Fonti… e stava rientrando a Martina con Enzo Rocca, vicedirettore generale del Credito Valtellinese, a sua volta fotografo eccellente.
Nicola Giacobelli |
Il pane è un alimento sacro, un dono del Signore, diceva suo zio canonico penitenziere, don Martino Calianno. Farina e fuoco, acqua e la mano, il cuore dell’uomo. Ci sono stati momenti nella storia in cui i poveri mangiavano soltanto pane senza companatico. Anche di questo parlavamo con Martino Montanaro, prima che arrivassero Francesco Lenoci ed Enzo Rocca dal loro safari fotografico. Francesco ha preso la scena ed è entrato nel ruolo di pellegrino della cultura. Ascoltarlo è sempre un piacere. Parla con naturalezza, spazia in vari argomenti. Per il pane poi ha una predilezione, gli ricorda la mamma, che lo ha educato al bello e al giusto, gli ha inculcato la fede. Francesco, tra l’altro, è fervido devoto di don Tonino Bello, di cui diffonde il messaggio di pace universale. Il pane, dice, è un re.
Martino al lavoro |
E’ il primo elemento che si mette sulla tavola. Vero, Martino? “Certo che è così”, ammette questo appassionato panificatore, che ha sulla scrivania la foto che lo ritrae assieme al padre, per lui un mito, un esempio, un emblema. Stando davanti a Martino e a un suo collaboratore, non riesco a non pensare agli anni del Chiancaro, addirittura a quelli della guerra, quando i bombardamenti su Taranto ci svegliavano di soprassalto e dal piazzale di fronte al trullo guardavamo l’orizzonte che s’infiammava. Ricordi lontani, che nei vecchi come me hanno lasciato tracce che non si rimuovono. Meglio tornare a Martino, lavoratore instancabile, felice della sua opera quotidiana. Franco Cologni, già presidente mondiale di Cartier e creatore della Fondazione Mestieri d’arte, a Milano, ha sicuramente inserito nell’elenco il panificatore, accanto al vignaiolo e al tipografo. Di Martino si sono occupati giornalisti specializzati. Io do la parola a Nicola Giacobelli, saggio, versatile e intelligente, concreto, che può dire la sua sull’Antico Panificio San Martino. Abitava in via Gioberti, sotto l’arco “d’a Porte Strazzàte” e la mamma, Giuseppina, “a Fagianella”, perché di Faggiano, si alzava alle 6 di mattina per andare a comperare un chilo di pane per la famiglia e il filone per Nicola, oggi ancora un bel ragazzo di 54 anni, capelli ricci, lavoratore stakanovista. A casa lo farciva per bene e lo incartava. A mezzogiorno il ragazzo lo mangiava seduto sui blocchetti della ditta della zona industriale, dove lavorava.
Luca Dimarco |
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