UN SERBATOIO DI RICORDI
LA “ACANFORA”, IN VIA DANTE
Scuola "Acanfora" |
Carrozzo, dolce, paziente, brava,
che non accettava i miei capelli
lunghi con i buccoli. Che fatica
convincere mia madre a farmi
potare. Gli scherzi degli scolari e
qualche bacchettata sulle mani.
La pernacchia dello scolaro che
risuonò in tutta la scuola.
Franco Presicci
Non ho mai più messo piede nella scuola “Acanfora”, dove frequentai le elementari avendo come maestra la signora Carrozzo. Una maestra che adoravo: paziente, comprensiva, sempre calma, dolce.
Uno scolaro |
Pennini di una volta |
Ma neppure quelle piccole sbarre, che dovevano essere precise, nette, senza sbavature, compromisero il mio affetto per la signora Carrozzo. Quando raggiunsi i sedici anni, la incontrai per strada; e dopo una breve conversazione anche sul mio comportamento scolastico, mi invitò a casa sua, credo in corso Umberto; e, avendole detto che sapevo fare il presepe, mi sollecitò ad architettarne uno anche da lei. Il giorno dopo ero già all’opera; e mentre costruivo grotte e sentieri, il marito, che mi stava vicino per curiosità, mi corresse: “Non si dice ‘Gl’italiani’: l’apostrofo è inopportuno, quindi si deve dire Gli italiani”.
Anche lui era una gran brava persona. Terminata la scenografia, non li vidi più. Davanti alla scuola “Acanfora” dovevo passare, sorgendo nel punto in cui via Dante incontra a destra via Nettuno, che era quella in cui abitavo. Vedevo entrare gli scolari, e i genitori o i fratelli più grandi che li aspettavano all’uscita; il custode Antonio, che sembrava dirigere il traffico e chiudeva il portone quando le scolaresche si erano sciolte; ma non mi sono mai soffermato per rivedermi ragazzino con il grembiule, davanti alla maestra che pregava mia madre di tagliarmi i capelli con i buccoli, che mi avevano procurato il soprannome “Rezzetìedde”.
La chiesa di via Dante |
Disegno di Lotito |
La resistenza della signora Lina, mia madre, la costrinse a minacciare, sempre con voce pacata e serena, di non accettarmi più in classe con quella foresta sul capo. La signora Lina, sia pure con sofferenza, cedette, ma dal barbitonsore mi mandò da solo. Non voleva assistere alla tosatura. E al mio ritorno a casa, vedendomi pelato come un’anguria, perché io, seduto sulla poltrona girevole, avevo deciso che, dato che c’ero, potevo fare piazza pulita sulla mia zucca, pianse. E anche la maestra, quando entrai nell’aula, diretto al mio posto, in seconda fila, di fronte a quello scempio, rimase di stucco. Del resto non poteva prevedere che io mi sarei fatto pelare come le pecore fra le mani dei pastori.
Pennini e penna |
La signora Carrozzo fu la mia insegnante fino alla terza e mi vennero gli occhi lucidi quando seppi che non si sarebbe più seduta su quella cattedra. Ricordo l’ultima domanda che mi fece: “Che cos’è un fungo?”. “Un genere di piante di varie dimensioni, tipi, colore, forma. Alcuni hanno una sagoma ad ombrello, altri a tamburo, altri a mazza da “baseball”. E avrei continuato, se lei non mi avesse fermato, perché soddisfatta. Ci aveva inculcato anche l’amore per la natura e il rispetto che le si deve. Nutrivo molto affetto anche per il direttore, di nome Suglia. Era delicato, paterno, mai uno sbuffo di autoritarismo, che emergeva invece in una delle bidelle, che non sopportava i ragazzi indisciplinati; tanto che per imporsi spesso bloccava i pugni sui fianchi come le anse di una giara, in dialetto tarantino capasone. Un giorno uno di quegli atteggiamenti seguiti da un “Basta!” urlato come i comandi del caporale a un addestramento di reclute provocò una pernacchia, che, autore uno di quinta, non sarebbe riuscita meglio neppure al marchese del Grillo. L’interessata digrignò i denti e girò gli occhi di fuoco verso destra e sinistra, e anche la testa, senza centrare l’obiettivo. Per la verità, quel rumore sonoro che nei teatri o nei comizi sottolinea una battuta riuscita male o un discorso non condiviso lo avrei fatto volentieri anch’io, che se non ero un Giamburrasca poco ci mancava.
Presicci sfida il caldo per un "gràtta-gràtte” |
E ancora oggi mi pento del biglietto con la scritta: “Maestro, lei mi è antipatico”, che, per spirito di patate, gli infilai nella tasca della giacca appesa all’attaccapanni e rimasto inevaso. E restarono impuniti, per la difficoltà di individuare i colpevoli, il piccolo strato di colla sparso sul posto del mio compagno di banco, che si ritrovò con i pantaloni sporchi; la mano ignota che infilò nella cartella del primo della classe un disegno raffigurante un asino; e quella che rovesciò il mio calamaio. Marachelle che per alcuni non potevano essere liquidate con uno scappellotto o un colpetto di verga: I monelli andavano rimodellati. E il cosiddetto monello dell’ultima impresa sbirciò il maestro, la mazza posata sulla cattedra gli sembrò ergersi verso l’alto, oscillare come un pendolo, lanciando un segnale sgradito. Il maestro aspettò che l’autore si rivelasse, ma l’attesa e il silenzio naufragarono nel suono dalla campanella, che quella volta sembrò più forte e più lungo.
Via Dante Alighieri |
La scuola “Acanfora” è un serbatoio di ricordi. Qualcuno pallido, qualche altro vivo. ben delineato nei suoi contorni. Quando torno da Milano, d’inverno o d’estate, mi fermo all’angolo di via Nettuno con via Dante e la guardo, la fotografo per immortalarla nella mia ricca raccolta d’immagini. E mi viene un po’ di malinconia alla vista della facciata un po’ trascurata, con i manifesti elettorali incollati sulla facciata, qualcuno sventolante nello sforzo di staccarsi per fare pulizia. E non sono andato mai più a vederla dall’ingresso di via Oberdan, dove le scale sono fiancheggiate da due…scivoli, che da ragazzo praticavo con un po’ di timore a testa in giù, come fanno ancora oggi i bambini nei parchi-gioco. Ricordo tutto di quella scuola: la disposizione delle aule, quella adibita ad abitazione del custode, a sinistra rispetto all’entrata, l’ufficio del direttore; e ricordo il maestro supplente (credo si chiamasse Calderone) al quale raccontai una storia che mi ero inventata e lui mi promise che l’avrebbe riferita a un regista di sua conoscenza per ricavarne un film.
La Concattedrale in viale Magna Grecia |
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