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Piero Colaprico |
“REPUBBLICA” NOMINATO DIRETTORE
DEL “GEROLAMO”.
Nel ’59 l’incarico fu assegnato a Carletto
Colombo, animatore della Compagnia del
Teatro Stabile Milanese, traduttore, regista,
giornalista. Nel ’58 il teatro fu rimodernato
per volere di Paolo Grassi e aperto ad attori,
cantanti, tra cui Dario Fo e Milly. Per decenni
quella ribalta è stata dominata da un grande:
Piero Mazzarella.
Franco Presicci
Quando Piero Colaprico nel ’76 scese dal treno, in quel ventre di balena che è la Centrale, si trovò un po’ disorientato.
A Putignano, la sua città di origine. lo scalo è quasi un modellino, con pochi binari e un paio di vagoni parcheggiati su rotaie con i respingenti, in attesa di essere accodati a un convoglio. Era capitato anche a me, e a tantissimi altri, osservare la tettoia della stazione di Milano, alta quanto un grattacielo e con tutta quella gente in attesa di un parente in arrivo o di una partenza, e rimanerne smarrito.

Adesso, lasciata “Repubblica”, concordando una collaborazione, lo ritrovo direttore del Teatro Gerolamo, incarico che avevano tenuto, dal ’59 al ’78, Carletto Colombo, e dal ’79 Umberto Simonetta. Colombo era animatore della Compagnia del teatro stabile dialettale milanese, di cui ha scritto la storia, autore, traduttore, regista, direttore de “L’Avanti”, consigliere alla Scala, amico e assistente di Paolo Grassi. Umberto Simonetta compose testi di canzoni per Giorgio Gaber (per esempio, “La ballata del Cerutti”); e da uno dei suoi romanzi, “I viaggiatori della sera”, fu ricavato un film di Ugo Tognazzi. Al “Gerolamo” portò in scena “Mi voleva Strehler”, interpretata da Maurizio Micheli.
Colaprico ha scritto una decina di volumi, i primi tre con Piero Valpreda. Per me è un piacere enorme sapere Piero su quella poltrona prestigiosa”, in quel luogo che un tempo era definito “il piccolo salotto di Milano”. Il suo palcoscenico fu per lungo tempo regno delle marionette, comprese quelle dei Colla; e nel 1815 per la prima volta comparve, nell’opera “Il mostro turchino”, il personaggio di Gerolamo (da cui l’attuale nome del teatro), un burattino con i fili tirati dall’abilissimo Fiando, che ogni sera riscuoteva un caloroso successo. I gestori del teatro sollecitavano l’autorizzazione a far salire alla ribalta attori in carne ed ossa in commedie e opere buffe, ma s’imbatterono in oppositori alleati e ostinati e il progetto s’impantanò in una foresta di dinieghi, da cui uscirono nel 1816 con una commedia giocosa interpretata da cantanti e danzatori.
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Colaprico con il prof. Lenoci al Piccolo di Milano |
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Piero Mazzarella e Franco Presicci |
Il“Gerolamo” è un gioiellino. ”il teatro della nostra infanzia”, dice Alberto Lorenzi in “Milano, un secolo”, e accenna a Piero Mazzarella, che al “Gerolamo” portò Edoardo Ferravilla, il più grande comico del teatro meneghino. Andava a vederlo persino la mala, che seguiva i suoi spettacoli in devoto silenzio e con attenzione rapita. Al “Gerolamo” Mazzarella rinverdì quelle atmosfere, interpretando “Tecoppa”, che il pubblico adorava. Anche Lorenzi applaudì quella figura (che Cletto Arrighi bollò come “teppista indurito nel vizio e nell’infingardaggine”) nella versione di Mazarella. Il teatro lo trovava ancora più bello, brillanti di vernice tutti gli stucchi, le lunghe trombe incrociate…”. In tempi meno lontani il “Gerolamo” ha ospitato artisti celebri: Juliètte Grèco, Dario Fo, I Gufi, Edoardo De Filippo, Milly, oltre, ripeto, a Piero Mazzarella, che, nato, a Vercelli nel’28, intraprese la via del teatro dialettale, interpretando fra tanti altri il personaggio del brumista “Peppon” nel “Nost Milan” di Bertolazzi, rendendolo famosissimo. Di Mazzarella ho tanti ricordi. Uno in particolare. Appena giunto a Milano, nel settembre del ’62, fui reclutato come “free-lance” al quotidiano “L’Italia”, attuale “Avvenire”, e Graziano Motta, trentenne capo degli Spettacoli, mi mandò al “Gerolamo” ad assistere alla commedia “El zio matt”, con Mazzarella.
E’ stato chiamato dunque a guidare il “Gerolamo”, dove era andato in scena un suo spettacolo: “Qui, città di M”, e aveva avuto una valanga di consensi. Poi era toccato ad un altro suo testo, “Una valigia più ligera”, con canzoni in milanese, comprendenti anche quelle della malandra. Per chi non lo sapesse, la “ligera” era una conventicola di giovani che ai primi del ‘900 sfioravano o sconfinavano nel codice penale per reati come il borseggio e avevano sempre alle calcagna un cacciatore instancabile, una sorta di Joe Petrosino soprannominato “el Dondina” per il modo di camminare ondeggiante che agli stessi appartenenti alla banda ispirò una canzone burlesca, che intonavano appena lo vedevano spuntare. Da cronista ottimamente collaudato, Piero Colaprico la conosce bene, la “ligera” (come conosce la teppa, la scopola, i “locc”, consorterie che sono venute prima o dopo, frequentando la taverna del Bernini in via dei Guast) al punto da portarla in palcoscenico. Un palcoscenico che ora gestisce lui con un programma più che interessante. Ma come mai – gli ho domandato – hai fatto questo salto, dalla carta stampata a quel trono? Presto detto. La direttrice generale del “Gerolamo”, Chitose Asano, una signora giapponese che ha rinnovato il teatro, gli aveva detto che una volta scaduto il suo tempo lavorativo, gli avrebbe affidato questo impegno.
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