‘U “CURRUCHELE” CON LE “AZZUGNATE”
VALEVA DI PIU’ DI QUELLO INTEGRO
![]() |
Viale Magna Grecia |
Erano
il segno delle sconfitte, ma anche
delle volte che aveva combattuto. Le aveva
anche date e le tracce le portava l’avversario.
Quanti ricordi fluivano al mercatino nei pressi
di viale Magna Grecia. Tanti ne scorrono
anche oggi.
Franco Presicci
La prima volta che andai alla Salinella cercavo delle chiavi vecchie: soprattutto quelle con il buco dietro, che, durante la mia adolescenza, riempivamo di teste di fiammiferi a legno, lasciando lo spazio per un chiodo da conficcarvi, legavamo uno spago alle due estremità, reggendolo, spingevano il congegno contro un muro e provocavamo uno scoppio. Un gioco che facevo quando difettava la sorveglianza della nonna, che di solito sferruzzava stando alla finestra. “E’ pericoloso”, cantilenava; e io facevo orecchio da mercante. Quando, ormai grande ed emigrato al Nord, seppi che alla Salinella la domenica si svolgeva un meratino delle pulci, durante i miei soggiorni a Taranto, ci andavo.
![]() |
'a levòrie |
Un giorno acquistai una decina di chiavi di ogni dimensione da aggiungere, nel box, alle altre cose di fronte alle quali mi soffermo con nostalgia quando sto per sedermi in macchina. L’oggetto che mi interessava più di ogni altro era però la “livoria”. Ispezionai ogni bancarella e non trovandovene traccia, interpellavo i venditori sperando che la potessero reperire. “Na’, e ci l’hà’ viste cchiù, ‘a levòrie?”. Ce stè’ arruccàte ‘mbra le zazzarèddere de ‘ngorchedune jè ‘nu meràcle; e no nge t’a dè’: pùre pe’ ijdde jè ‘nu recuèrde. Mìttete l’arne ‘mbàce, sìnd’a mmè?”. Un vecchietto basso, un po’ ricurvo, quasi calvo, mi si avvicinò guardingo e mi sussurrò: “Je sàcce addò pòzze acchiàrle e sàcce pure ca còste armène cìend’èure”. E promise che me l’avrebbe portata la settimana successiva. “Ne ‘ngundràm’acquà stèsse”. Ma dovetti ripartire e detti l’incarico a un mio parente, descrivendogli il tipo della persona e il luogo convenuto. Ricevetti promesse aleatorie e capii che dovevo rinunciare. Soprattutto le grosse sfere d’acciaio erano merce rara. Nel dopoguerra era più facile trovarle, perché venivano, mi dissero, dai cuscinetti delle ruote dei camion americani; ma oggi tutt’al più da un meccanico puoi ottenere palle di metallo molto, ma molto più piccole. E ne ho un bel po’. Spesso osservo le foto che compaiono su Facebook, con persone sui cinquant’anni o giù di lì e giovanotti con le la paletta di legno in mano pronti a lanciare la propria palla contro quella avversaria o verso “’a schìgghie”, tra le reti e le barche della città vecchia.
![]() |
Taranto di notte |
![]() |
All'ombra degli alberi, a Taranto |
![]() |
Concattedrale |
“Il mercatino? Quale? Ah, quello della Salinella. Sono anni che non c’è più. Non mi domandare il motivo perché lo ignoro. Anch’io lo frequentavo, perché mi piacciono le ‘cipolle’, quegli orologi che i nostri nonni portavano sul gilet fra un taschino e l’altro: ne ho una piccola collezione, di scarso valore, di quelli che vendono gli extracomunitari. Qualcuno è fermo e non ho voglia di cambiare la batteria. Li ho comperati tutti lì, alla Salinella”. Mi è dispiaciuto. Ero attirato anche dall’ambiente pittoresco, dalla parlata dialettale…
![]() |
Taranto |
![]() |
Via Dante |
Per me, che ero diventato forestiero (almeno così considerano gli emigrati alcuni tarantini), arrivarci era complicato: sostavo in viale Magna Grecia e da lì avevo bisogno della guida: mi sentivo sperduto, nella città che mi aveva visto nascere. Che amarezza! Pensavo: “Lo vedi? Questa non è più casa tua. Hai bisogno di essere portato per mano”. Sì, avevo bisogno di un cicerone.
![]() |
Taranto-via D'Alò Alfieri |
La cercai più volte; poi me la indicò un pastore che portava a spasso il gregge. Mi veniva da piangere. E’ cambiata in bellezza, la mia cittภma io ho perso tante strade, tanti luoghi dell’anima, della memoria. Del resto lo meritavo: dovevo pagare lo scotto per essermene andato via oltre mezzo secolo fa. Andare alla Salinella per me non era soltanto cercare, come un maniaco, cose che mi ricordassero giorni lontanissimi o soltanto vederle, e vedere le persone, le facce da cui risalire a un compagno di scuola, di giochi, di passeggiate. E mi veniva in mente “’a buàtte” messa capovolta nella terra con un pezzetto di carburo dentro, che facevamo scoppiare avvicinando un fiammifero al forellino praticato sopra. Andare alla Salinella era per me la ricerca di un mondo antico. “Zazzarèddere”, d’accordo, ma tra gli oggetti e la persona si crea un rapporto. “’U currùchele”, per esempio, anche se ammaccato per le “azzugnàte” che ha ricevuto, ti suscita ricordi, nostalgie. Quelle “azzugnàte” fanno anche pensare a quelle più forti, più profonde, più devastanti che moti prendono nella vita. I colpi di una palla contro l’altra nel gioco della “livoria”, gli spintoni, le gomitate, l’animosità tra chi corre per la carriera. “Recuèrde ‘u currùchele? Accussì’ me send’je”, mi disse un giorno un amico che sul lavoro veniva fatto girare a vuoto. Per alcune persone i giochi che si facevano un tempo sono paragonati a ciò che succede loro nella vita reale. “Erano altri tempi”, si dice. Alla Salinella sembra che io cercassi quei tempi soffiati dal vento.
Nessun commento:
Posta un commento