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Opera della Casa del presepe di Taranto |
DOMINA
IL NORDICO ALBERO A PUNTA?
MA NO, SONO IN MOLTI A FARE IL PRESEPE
Anche una volta si giocava a
tombola; si andava a Messa a
mezzanotte e poi si gustava la
“Barbajada”.
I doni li portava Babbo Natale, come oggi, e fioccava la neve.
C’erano gli zampognari nelle strade e gli spazzacamini.
Franco Presicci
Erano gli anni 70 quando scoprii vicolo dei Lavandai, a Milano; e lo studio del pittore Guido Bertuzzi, uomo buono, generoso, disponibile, grande conoscitore della terra del Porta. Avevo una gran voglia di “entrare” nella città, di esplorare le sue strade, scoprire i vecchi mestieri, la vita di una volta.
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Bertuzzi in vicolo dei Lavandai |
E lui, paziente e attento, rispondeva ogni volta alle mie curiosità. Una mattina gli chiesi: “Com’era da queste parti tanti anni fa il Natale, Guido?”. Lui aprì un cassetto e mi regalò un opuscolo sulla festa più bella dell’anno sul Naviglio Grande e una sua acquaforte raffigurante una grotta. E cominciò a parlare dell’argomento, tenendo tra le mani il libretto, scritto dal poeta Armando Bocchieri e da Giorgio Saini (edizione Rekord) negli anni 60. “In quel Natale c’era più poesia; i bambini lo aspettavano con ansia e credevano che i giocattoli li portasse davvero Babbo Natale. Le nonne e le mamme preparavano i dolci¸ i forni ardevano, e il Pinocchio di legno, la trottola, il monopattino, la farfalla e il trenino di latta erano allineati sulle mensole del negozietto vicino, mentre i genitori più ricchi si attardavano davanti alle vetrine della Rinascente, dove il treno in miniatura correva grazie al motorino elettrico. L’uomo con la pancia sporgente, la barba bianca, l’abito rosso, il cappellino con una pallina bianca sulla punta ricadente sulle spalle faceva la figura di avervi provveduto lui.
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Casa di ringhiera (2) |
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Casa di ringhiera |
E c’era la neve, proprio come recita la bella canzone ‘Bianco Natale’, che ha come tema la coltre bianca che porta gioia e serenità”: una fortuna per gli spalatori, che, togliendola dalle strade, facevano anche loro una buona festa. “Da tempo – continuò Guido – la poesia è decaduta e il mistero di Babbo Natale si è sciolto, diventando una sagoma decorativa”.
Oggi la maggior parte della gente passa la giornata al ristorante, preferibilmente fuori porta”. Ah! C’erano i grammofoni, alcuni a tromba, che spandevano le note di “Tu scendi dalle stelle”, che i piccoli imparavano a scuola interpretandole con le maestre, mentre non era ancora stata inventata “A Natale puoi”. In questi giorni Ho ritrovato nella mia libreria l’opuscolo datomi da Bertuzzi. Era stato presentato appena uscito nella Galleria di un'altra figura imponente del vicolo, Angelo Cottino, a un passo dall’atelier del pittore, in vicolo dei Lavandai 4. Il testo voleva far rivivere una tradizione ambrosiana “che i tempi non hanno offuscato: quella della celebrazione del Natale a Milano, che ha conservato intatta la freschezza, la spontaneità, la partecipazione, che sono state sempre fondamentali caratteristiche del popolo milanese, soprattutto quando la celebrazione vede come protagonista la gente del Naviglio”. Non mi sfugge una poesia di Brocchieri, preparatissimo sugli usi, i costumi, le tradizioni … di Milano: “Forza Celest ch’el fiocca!/ stavolta chi la tacca/ Na sciarpa de poarett/ incrosada sott la giacca/ la beretta con i alett/ e su ’n spalla la bajra/ el primm tram l’è drè ch’el riva;/ gh’è el Tognin manovrador…”. Il tram arriva, guidato dal Tognin. E subito dopo un dipinto di M. Dondi.
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Bertuzzi nel suo studio |
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Gli zampognari |
Poi un gruppo di suonatori andava nel vicolo dei Lavandai a portare la serenata alle famiglie. Anche allora il Natale suscitava ricordi. Anche allora si rimpiangeva il Natale di una volta e si raccontavano storie di pastori che a suo tempo smaltivano la notte all’addiaccio per controllare il gregge, mentre qualcuno di loro preferiva zampognare. I pastori, con strumento musicale o no, sono elementi essenziali del presepe. Siano in adorazione o in cammino con un seguito di pecore, con doni o senza. A quell’epoca lavoravano gli spazzacamini, di cui si erano perse le tracce sino a qualche tempo fa e che adesso stanno ricomparendo. Torneranno forse di moda, perché con la crisi che stiamo attraversando chi ha un camino lo accenderà di sicuro per scaldarsi e quindi all’occorrenza dovrà farlo pulire. Quegli spazzacamini provenivano dalla Val d’Ossola, dalla Valtellina, dalla Val d’Intragna e facevano una vita grama, resa meno grama da alcuni benefattori “inscì bei, inscì grand, inscì sciur”: così belli, così alti, così signori, dicevano grati i milanesi. Per intendersi tra loro, senza farsi capire dagli estranei, gli spazzacamini, come anche gli ombrellai, avevano inventato uno dialetto chiamato “tarusc”. Un opuscolo interessante, questo. Informava con stile semplice e scorrevole, Bertuzzi, senza pretendere di aver detto tutto sulla festa di quei giorni così lontani nel tempo.
Naviglio Grande |
Sul Naviglio Grande – parola di Brocchieri e Siani – non si usava preparare il cenone della Vigilia. Si usava invece riunirsi dopo la Messa di mezzanotte e assaporare la gustosa “barbajada”, bibita di latte o panna e cioccolata, caffè tutto poi frullato fino a quando non faceva la schiuma: inventata dal napoletano Domenico Barbaja, impresario teatrale, morto a Milano nel 1841. La servì quando inaugurò il suo “Caffè dei virtuosi” nella odierna via Verdi, un locale molto tranquillo frequentato prevalentemente, come riferisce Sandro Piantanida, da artisti e giornalisti e da clienti che si ostinavano a indossare il cappello a tricorno con il codino e il tupè. II mattino dopo al suono delle campane, urli di gioia di grandi e piccini. All’ora di pranzo tutti a tavola. Menù: antipasto di salami, ravioli in brodo ristretto, contorno di spinaci, sottaceti, mostarde di Cremona, tacchino arrosto ripieno, formaggi, frutta secca e bianco di Valpolicella, il dolce, il caffè… La sera bastavano gli avanzi. I ragazzini non riuscivano a stare a tavola sino alla conclusione del rito, preferendo correre a giocare con i doni ricevuti. I grandi sistemavano sul tavolo le cartelle della tombola; e chi aveva una bella voce andava in chiesa a cantere per il vespro. Il giorno di Santo Stefano nessun rito. Il pranzo doveva essere consumato velocemente perché alle 15,30 nell’oratorio di San Giovanni Nepomuceno, sulla Riva, la compagnia del Borsi si presentava alla ribalta. Si ricorda ancora uno dei testi, “La pianeta perduta nella neve”, con musica eseguita dall’orchestrina ”Gaetano Donizetti”.
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Presepe |
Quei Natali ci sembrano remoti, come remoti gli anni in cui nelle case sul Naviglio abitavano soprattutto i meridionali, forse approfittando del basso costo degli affitti, e abbondavano i laboratori degli artigiani. Il Naviglio, che ancora oggi durante le feste si riempie di luci e di fiori, è stato celebrato da scrittori, pittori, poeti, giornalisti: da Alfonso Gatto a Carlo Castellaneta, a Gaetano Afeltra. Nel suo libro “Navigli” Castellaneta ha scritto che il presepe è morto.
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La tettoia di vicolo Lavandai |
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Gigi Pedroli |
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