LA VITA, LE PENE E I TRIONFI
DELLA DIVA ANNA FOUGEZ
Nata
a Taranto, non dimenticò
mai la sua città, in particolare
il Mar Piccolo. Deposta nella
Ruota, venne affidata
a una famiglia della città vecchia,
che se la vide portar via quando
la bimba aveva 8 anni.
Franco Presicci
Cataldo Sferra la prende alla lontana. E il lettore lo segue con interesse e piacere. Crea le atmosfere; descrive i piatti da mettere in tavola, gli impegni di ogni giorno, le amarezze, le preoccupazioni… (paste cu le cìcere, ‘u rise c’u burre, ‘na cocchie d’ove sbattute tùtte frìtte, le bandecidde pescate da Ciccille, i pensieri che non mancano mai: ’u marite, ca tèn’u sckifaridde ca stè face acque e l’a da fa vede’ d’o calafatare, le lacreme chiangiute p’a figghia nata morte, e poi le comari, gli amici ca trasene e jèssene, le ‘ndrattine de le peccine c’a mamme ha sciute d’o napuletame a fa’ ‘a spese…).
Stazione ferroviaria di Taranto |
Cataldo Sferra narra con delicatezza, cura dei dettagli; descrive gli ambienti, scolpisce i personaggi che vedi agire, muoversi, progettare, entrare e uscire da casa, spignattare; li senti conversare in un dialetto godibile, pieno di suoni, con termini sonori.
Cataldo Sferra e la signora Irene |
Questo gioiello contiene anche alcune curiosità. “…Arrevò ‘u marìte Andonie e purtàve ‘nu mìenze prulare de cozze e me ne dese ‘na bbèdda chjoppe. Bbèdde, Cusemì, allattamàte e cchiène a pambanèdde, ca quànne l’aprìve spetterràve ‘u frutte da indr’o sckuèrce, tutte fèmene jèvene le cozze…”. “Femene? -chiede Cosimina – e com’è fàtte a vedè’ ca le cozze èrene femmene?”. “Le fèmmene tenene ‘u frutte russe, le màschele vianghe. Certe cozze nàscene màschele e addevendene fèmmene e fànne russe”.
Cataldo non trascura nulla, dipinge anche figure secondarie ma simpatiche e divertenti, come Vicinze Liccasapòne, ca face do mestìere, ‘u pustine e’u varvìere, conosce tante barzellette e sa recitarle.
Copertina del libro |
Per scrivere queste pagine ha fatto ricerche e ascoltato memorie, ha sfogliato carte e documenti in archivi pubblici e privati, ha appreso particolari dalle labbra di parenti attendibili, che hanno vissuto personalmente le vicende della protagonista. Insomma si è trasformato in investigatore acuto e solerte e ha trasfuso le sue informazioni in questa bella commedia cosparsa di gemme. L’armonia tra Cosimina e Ciccillo commuove. Ciccille: “Scè durmime ca dumane jè ‘n’otre giurne”, e Cosimina lo segue, mentre con un sottofondo musicale e un buio assoluto cala il sipario sul primo atto. E aspetti con ansia il secondo.
Quella Taranto non c’è più da tempo. Sono scomparsi i modi di vivere, di pensare, di agire, di esprimersi. Sono venuti meno in gran parte la solidarietà, i rapporti umani di quei tempi. Il mondo cambia, s’arrevòte”, perde i valori, le prospettive. Non sono più i tempi tradotti in versi da Diego Fedele e dagli altri grandi poeti, da Marturano a Petrosillo. L’egoismo domina, il menefreghismo pure, le città sono diventate caotiche, le campagne sono attraversate da attrezzature tecnologiche, i bambini crescono più in fretta, i genitori sono più disposti alle concessioni, le strade sono insicure, la frequenza dei fatti di sangue è allarmante.
Via D'Aquino |
In un mondo dunque assai diverso da questo si verifica l’evento al quale ci stiamo avvicinando. Giulia confida a Cosimina di aver visto un uomo con uno scialle ‘ndurtegghiate ‘mbàcce, che si accosta alla Ruota e vi depone un borsone con dentro una bambina appena nata; suona il campanello della casa della donna addetta al servizio e sparisce nel buio e nel silenzio. Cosimina ha lo slancio di andare a prenderla, quella piccolina sfortunata. Non solo: la vuole addirittura adottare. Deve parlarne con Ciccillo, ma non può affrontare il discorso in modo diretto. E così dice e non dice, si rassicura che ascoltandola il marito non si alteri e quando si convince che tutto filerà liscio glielo dice chiaro e tondo, tanto non sono poche le persone che pur avendo figli propri, vanno a scegliersi quelli abbandonati. E loro non ne hanno, di figli. Ciccillo, medita, tituba, la scoraggia, poi cede e confessa che anche lui ha voglia di avere in casa un neonato che li chiami papà e mamma. Cosimina lo abbraccia e gli dichiara tutto il proprio amore. Ancora sottofondo musicale, si spengono le luci e giù il sipario.
Collezione Sferra |
Via Garibaldi |
Cosimina se la porta a casa, le dà il benvenuto, si brinda, si pensa al giorno del Battesimo e Giulia pretende di essere lei ad assumere il ruolo di comare, essendo stata lei a rivelare a Cosimina la scena dell’uomo che deponeva il “fagottino” nella Ruota. Quindi è a lei che spetta l’onore e il piacere. Il compare sarà Angelo Capriulo, commerciante. Si recano alla Chiesa di San Cataldo, da don Gesèppe Mannavòle, per accordarsi sulla data della cerimonia al fonte battesimale.
Dopo due anni Cosimina mette al mondo un bel bambino, a cui danno il nome di Gaetano. Poi Annina compie sette anni e frequenta “na maestre”, che sa allevare bene i bambini. Annina è diligente, ama cantare, ballare e recitare e ogni giorno si rivela sempre più brava nell’arte del teatro. Nella ricorrenza del settimo anno il padre le dà in regalo un corso di danza tenuto da una insegnante privata. Un giorno Annina esce da una stanza indossando un maglione lungo e una sciarpa di Cosimina intorno al collo. Canta, fa passi ritmici: sembra una regina della ribalta. Ha già dentro il teatro.
Il Ponte |
Ma dietro la porta di ognuno c’è spesso una sorpresa amara. E a quella di Francesco Trisciuzzi e di Cosimina Murianni picchia un vigile urbano: “Lei e la signora il 10 luglio de1894 avete preso in affidamento dalla routiera Rosa Bergamo la piccola Maria Annita Licata, vero?”. Un fulmine, un uragano di sentimenti, disperazione. Loro Annina l’hanno accolta come una figlia vera, quale affidamento a tempo determinato? Ma sui documenti che ha in mano l’uomo in divisa non risulta: Annina non è stata adottata. Non hanno seguito la procedura. Cosimina non sa a che santo rivolgersi, ma i santi non hanno autorità nel mondo del diritto. Presenti sono gli zii di Annina, che pretendono la consegna. La stessa Annina piange, si lancia sulle ginocchia della madre, si rifiuta di seguire il vigile e quei parenti. Si rasenta l’aggressione, Angelo blocca l’arma impropria che compare nel clou della scena, Cosimina urla. La commozione avvince il lettore, che partecipa al dramma. Ciccille si dà la colpa di essere affabbète, di non aver fatto leggere le carte a chi ha dimestichezza con le parole scritte.
Sferra, De Florio, Presicci e Giudetti |
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