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Maria Carmela Ricci e l'editore Giacovelli |
UN “BOUQUET” DI
SCRITTORI
E L’OMAGGIO A
MILANO
Maria Carmela Ricci
ha declamato a
memoria due sue poesie, in
dialetto
martinese come ha voluto il folto
pubblico. Ha poi accennato al suo
libro “Quella
nevicata del ’56 in valle
d’Itria”, editore Giacovelli.
Franco Presicci
A Milano non fa freddo”, “Mal di Galleria”: titoli di due libri di Giuseppe Marotta, indimenticabile scrittore, che, nato in un vicolo della vecchia Napoli, si trasferì nel ’25 a Milano, e se ne innamorò.
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Il Libraccio |
Dopo una lunga e brillante come critico cinematografico dell’”Europeo”, elzevirista del “Corriere della Sera… tornò a casa pur continuando ad amare la terra del Porta. Si riteneva un terrone prestato a Milano, come dice Carlo Castellaneta nel suo dizionario. Milano dal cuore in mano; Milano accogliente; Milano che ha tutto; Milano che non distingue tra meneghini e meridionali; Milano laboriosa; Milano creativa; Milano che sa valorizzare l’intelligenza e la voglia di fare… Se si viene a Milano, non si ha più voglia di tornare indietro.
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Il Naviglio Grande |
A Milano molti pugliesi si mimetizzano sotto la lingua del luogo, adorano Meneghin e Cecca, conservano il ricordo di Piero Mazzarella, del “Barbapedana”, ammirano il Naviglio Grande, sulle sponde del quale negli anni ’50 molti “terroni” come me trovarono alloggio: si possono ritrovare nelle composizioni del cantautore e acquafortista Gigi Pedroli, con i tanti artigiani che si sono trasferiti o hanno abbassato la saracinesca. Chi viene a Milano continua a sentire nostalgia del paese, ma resiste al suo richiamo. Il manzoniano Francesco Lenoci dice “Com’è bello il cielo di Lombardia quand’è bello”. Queste voci si sono succedute durante il Book City giovedì sera al Libraccio dell’alzaia Naviglio Grande, dove un bel “bouquet” di artisti della penna (oggetto ormai rimpiazzato da telefonini e computer), hanno glorificato Milano, città ricca di sogni realizzati e di speranze. Milena Vaccaro non viene neppure sfiorata dall’idea di lasciare il suo locale in corso San Gottardo, l’antico borgo dei formaggiai, al Ticinese, dove un tempo nelle case di ringhiera la gente conversava sui ballatoi o da un ballatoio all’altro, dava una mano al vicino, se aveva bisogno, teneva d’occhio i bambini che giocavano nel cortile.
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Il pont de preja, oggi Alda Merini |
Roberto Vitale ha raccontato un incontro in piazza Duomo con una donna venuta da Lima e passeggiando nel primo pomeriggio di un giorno qualunque e lei gli confida che gli è piaciuta molto quella storia d’amore del Manzoni, “mentre alle mie amiche italiane meno, chissà perché”.… Tutti gli autori, una ventina, che si sono alternati sono legati a Milano come l’edera a un tronco d’albero o a una parete. E sono tutti presenti nel volume fresco di stampa edito da Giacovelli: “Milano, città di passaggio o di nuove radici?”. Maria Ardizzone ha presentato Erminio, il topo di Milano.
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Luci si specchiano nel naviglio |
Ne so qualcosa: quando era ancora scoperto il naviglio Martesana, che oggi attraversa in parte sottopelle via Melchiorre Gioia, ne vedevo tanti grossi e veloci scorrazzare sulle sponde come conigli sulla pista del circo in attesa degli applausi del pubblico. La serata è stata aperta da un martinese e una martinese l’ha conclusa. Il professor Francesco Lenoci, che ha il dono dell’ubiquità, ha conciliato una sua lezione alla Cattolica con la sua presenza in questa sala ricca di libri, e ha parlato per pochi minuti della Puglia agganciata a Milano attraverso il Festival della Valle d’Itria, che ogni anno viene illustrato al Piccolo Teatro fondato da Paolo Grassi e da Giorgio Streheler; del caffè leccese e altre storie… ed è andato via di corsa.
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Maria Ricci in prima fila |
Con la bravissima scrittrice Maria Carmela Ricci la libreria si è trasformata in teatro: l’ex professoressa di matematica, che ha sempre attraversato anche il mondo della letteratura, ha trasformato “Il libraccio” in teatro, recitando a memoria due sue bellissime poesie in vernacolo, incluse nelle ultime pagine del suo libro: “Quella nevicata del ’56 in Valle d’Itria”, editore Giacovelli. Lo ha fatto da attrice con lunga esperienza della ribalta: la gestualità, le espressioni del volto, la modulazione armonica, l’accento sulle espressioni onomatopeiche hanno colpito tutti e provocato scrosci di applaudi. Incoraggiata dal calore della platea, che l’ha invitata a declamare il testo originale, Maria Carmela deve essersi sentita davvero sul palcoscenico e forse si è meravigliata lei stessa. Quindi ha accennato alla “Nevicata del ‘56”. “La mia famiglia – ha detto – visse la nevicata chiusa per giorni e giorni nei trulli. Io ero bambina, avevo cinque anni, e nel libro sono Nina, la voce narrante.
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Bancarelle lungo il naviglio |
La neve creò un mondo incantato, mi sembrava di vivere una favola”. Tutto coperto da quella sterminata panna montata, le gambe vi affondavano, ed era complicato andare da un punto all’altro intorno alla casa a cono di gelato. I giorni erano faticosi, più di quanto non siano normalmente. E ha abbozzato le condizioni dei contadini assediati dai sacrifici, dal lavoro duro, su cui prevaleva l’amore per la terra… Per un attimo la mia mente è andata a Rocco Scotellaro: “La vigna non era stata ancora zappata…Scesi tra le viti, è una scala questa vigna, ripidissima, a terrazze, fino giù alla linea di alianti sull’ultima fabbrica. Si arriva alla casetta che guarda in giù coperta di lamiere tenute ferme da grosse pietre… Tra le viti e gli alberi sono attento ai piccoli rumori: le foglie delle canne, lo sventolio sui rami, un sasso che rotola, uno scarabeo che si arrampica, le lucertole…”. Un momento solo è durata la deviazione verso “L’uva puttanella”, dove rivive il mondo contadino tra i suoi dolori e la sua miseria. Maria Carmela la descrive con efficacia e distacco, apparente. “I contadini parlano in dialetto e io ho voluto trasmettere ai lettori la storia e la cultura di un popolo, la sua evoluzione, le sue radici… Un popolo senza radici è un popolo malato e non ha futuro... Il popolo contadino comunica valori importanti: profondo rispetto della famiglia, del lavoro, la solidarietà, la vita secondo natura, le cui leggi sono sacre, mentre l’uomo di oggi tende a stravolgerle”.
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Aria di Natale |
Ho seguito Maria Carmela con molta attenzione e così ha fatto il pubblico, senza perdere una virgola del suo discorso. Maria Carmela sa toccare il cuore di chi l’ascolta. Coinvolge, trascina, affascina. Ha proseguito raccontando l’”Accademia “d’a cutìzze” di Martina, della quale lei e il marito, il tenore Gianni Nasti (quando tuona emoziona), fanno parte. Ma questa volta ha dovuto spiegare, tradurre: ‘A cutìzze è la roccia, la pietra, quella dei muri a secco che delimita i tratturi, che forma le specchie, ha innalzato i trulli; la pietra dei vignali, gobbe sparse nel terreno. All’Accademia “d’a cutìzze” si snocciolano storie, in vernacolo e non, si cantano brani ispirati alla vita quotidiana della città (Giovanni Nardelli fra i tanti ne ha scritto uno sulla polpetta), si declamano poesie, si recita. Insomma Maria Carmela ha portato brani di Martina Franca, un gioiello, a Milano. Iniziata alle 18, la serata si è conclusa alle 19,30. Il Naviglio Grande, caro al poeta Alfonso Gatto, scorreva placido e silenzioso. Le luci delle bancarelle, primo assaggio del Natale, si riflettevano nella sua acqua.
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Ponte Alda Merini |
La ripa e l’alzaia formicolavano di giovani ed anziani; e anche il “pont de preja”, oggi dedicato alla poetessa del naviglio, Alda Merini, era affollato. Il ponte congiunge l’una e l’altra riva proprio davanti al Libraccio, dove si esaltava Milano. Molti indugiavano davanti agli oggetti proposti dalle bancarelle; altri passeggiavano, magari come me pensando ad Alonso Gatto: “I navigli con la loro cerchia restano strade: strade d’acqua silente, con odore di terra, di carreggiate, di verdura: scomparsi si ricordano ancora per la luce rimasta sulle case prima specchiate ed oggi tremule di quella vecchia penombra, per dei vuoti attoniti ed irreali cinti dalle spalliere…”. Una manifestazione come quella andata in onda al Libraccio non poteva avere una cornice più adeguata. Vi avrei visto volentieri il grande giornalista amico di Indro Montanelli, Gaetano Afeltra, direttore prima del “Corriere d’Informazione” e poi de “Il Giorno”, che appena arrivato a Milano dalla sua Amalfi, nel ’39, andò a vivere in una pensione affacciata sul tombòn de Sant March, tratto del Naviglio Martesana che tagliava l’attuale via San Marco. Afeltra amava Milano più di tanti meneghini; più di quelli che sentenziano che Milano è brutta, mentre è una città discreta, che non ha voglia – come afferma Guido Piovene nel suo volume “Viaggio in Italia” - di mostrare a tutti la sua bellezza. Fate quattro passi in Galleria o in via Bigli, dove visse il Premio Nobel Eugenio Montale, o in via Morone, dove ebbe il salotto la contessa Clara Maffei o in Corsia dei Servi, della quale spesso scriveva Stendhal come principio del corso delle carrozze che arrivava ai bastioni di Porta Orientale, o in corso Venezia che vanta facciate Liberty, e poi emettete la vostra sentenza.
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