A MILANO OGNI STRADA
UN BRICIOLO DI CULTURA
Caffè Biffi in Galleria Vittorio Emanuele |
palazzo Castiglioni, del 1901,
costruito in stile Liberty: in via
degli Omenoni, cariatidi enormi
incastonate nell’architettura. Le
cascine, i Caffè, i monumenti.
Franco Presicci
Non si contano le strade che a Milano raccontano condensati di storia. Tantissimi anni fa Raffaele Bagnoli li raccolse in cinque volumi, allineando arterie e percorsi di periferia, da via Cesare Correnti alla via Cascina Barocco, detta così perchè a suo tempo conteneva tante strutture rurali, in massima parte scomparse, lasciando il ricordo sulle targhe di marmo incassate negli angoli, in alto.
Sono passati molti anni da quando per motivi di lavoro entrai in via Cascina Barocco, all’estremo limite della città: il titolare di un’officina meccanica della zona, portando una sera a spasso il cane, su uno spazio spettinato con mucchi di rifiuti notò una grossa bambola che bruciava; al ritorno guardò meglio e si accorse che era il corpo di una donna., probabilmente uccisa altrove e gettata lì come un sacco di juta. Arrivai verso le 22 e cercai di mietere il maggior numero possibile di particolari sull’accaduto e non badai ad informarmi sull’origine del nome di quella specie di sentiero. Mi proposi di farlo in un momento più tranquillo. Da tempo m’impegnavo nella lettura di “Strade di Milano” di Bagnoli, scrittore prolifico e avvincente, che faceva parte della Famiglia Meneghina. Quei cinque volumi erano una sorta di pozzo di san Patrizio di informazioni sulle vie, le loro caratteristiche, la storia, le curiosità, le preziosità architettoniche, le trasformazioni subite, le demolizioni, che hanno riguardato anche le cascine.
Il piccone, per fare spazio a edifici moderni, ha inferto li suoi colpi, per esempio, alla Cascina Merlata, dove, nei boschi, durante la dominazione spagnola, imperversavano i briganti, i cui capi, Giacomo Leporino e Battista Scorlino, vennero poi catturati e condannati alla forca.
Non tutte le strutture rurali hanno fatto la stessa fine: ecco la Cascina Bellaria e la Cascina dei Pomi, questa in via Melchiorre Gioia, a qualche metro di distanza dal punto in cui la Martesana smette di scorrere allo scoperto e si tuffa in un lungo tunnel. Resiste il fabbricato, sia pure pieno di rughe, dove una volta i milanesi andavano a riposarsi e a rifocillarsi, quando facevano le loro gite fuori porta o per recarsi a Monza a piedi, in carrozza, in bicicletta o con i barchetti. C’è stato anche Carlo Porta, di cui sono noti i brindisi.
In via Cesare Corrente, nome di un personaggio che nato a Messina e trasferitosi a Milano nel 1811, prese casa in via della Spiga, alimentò le riunioni segrete che si conclusero con i moti del ‘48; inviò un proclama che sollecitava il governo austriaco a prendere decisioni liberali.
Nominato senatore nell’86, ebbe anche incarichi ministeriali. In questa via sorgeva la Pusterla dei Fabbri, che dava ispirazione a molti pittori. Sull’arco campeggiava una scultura che si pensava rappresentasse il dio protettore dei nubendi, e per questo gli veniva tributato omaggio dagli sposi. La decisione di cancellare dal tessuto urbano la Pusterla scatenò molte proteste in Consiglio comunale, ma il destino era ormai segnato e ai primi del 900 venne abbattuta.
Milano ha sempre avuto il bisogno di rinnovarsi, nel bene e nel male. Come oggi tante belle donne si sottopongono a interventi chirurgici, qualche volte addirittura dannosi, nell’ansia di correggersi il naso o le labbra…
A volte la ruspa è stata necessaria, per eliminare qualche bruttezza, come il Bottonuto, via squallida e malfamata, in cui tra l’altro si esercitavano affari di sesso.
Il Savini in Galleria |
Sono passati molti anni da quando per motivi di lavoro entrai in via Cascina Barocco, all’estremo limite della città: il titolare di un’officina meccanica della zona, portando una sera a spasso il cane, su uno spazio spettinato con mucchi di rifiuti notò una grossa bambola che bruciava; al ritorno guardò meglio e si accorse che era il corpo di una donna., probabilmente uccisa altrove e gettata lì come un sacco di juta. Arrivai verso le 22 e cercai di mietere il maggior numero possibile di particolari sull’accaduto e non badai ad informarmi sull’origine del nome di quella specie di sentiero. Mi proposi di farlo in un momento più tranquillo. Da tempo m’impegnavo nella lettura di “Strade di Milano” di Bagnoli, scrittore prolifico e avvincente, che faceva parte della Famiglia Meneghina. Quei cinque volumi erano una sorta di pozzo di san Patrizio di informazioni sulle vie, le loro caratteristiche, la storia, le curiosità, le preziosità architettoniche, le trasformazioni subite, le demolizioni, che hanno riguardato anche le cascine.
Il piccone, per fare spazio a edifici moderni, ha inferto li suoi colpi, per esempio, alla Cascina Merlata, dove, nei boschi, durante la dominazione spagnola, imperversavano i briganti, i cui capi, Giacomo Leporino e Battista Scorlino, vennero poi catturati e condannati alla forca.
Piazza Cavour |
Non tutte le strutture rurali hanno fatto la stessa fine: ecco la Cascina Bellaria e la Cascina dei Pomi, questa in via Melchiorre Gioia, a qualche metro di distanza dal punto in cui la Martesana smette di scorrere allo scoperto e si tuffa in un lungo tunnel. Resiste il fabbricato, sia pure pieno di rughe, dove una volta i milanesi andavano a riposarsi e a rifocillarsi, quando facevano le loro gite fuori porta o per recarsi a Monza a piedi, in carrozza, in bicicletta o con i barchetti. C’è stato anche Carlo Porta, di cui sono noti i brindisi.
In via Cesare Corrente, nome di un personaggio che nato a Messina e trasferitosi a Milano nel 1811, prese casa in via della Spiga, alimentò le riunioni segrete che si conclusero con i moti del ‘48; inviò un proclama che sollecitava il governo austriaco a prendere decisioni liberali.
via Della Spiga |
Nominato senatore nell’86, ebbe anche incarichi ministeriali. In questa via sorgeva la Pusterla dei Fabbri, che dava ispirazione a molti pittori. Sull’arco campeggiava una scultura che si pensava rappresentasse il dio protettore dei nubendi, e per questo gli veniva tributato omaggio dagli sposi. La decisione di cancellare dal tessuto urbano la Pusterla scatenò molte proteste in Consiglio comunale, ma il destino era ormai segnato e ai primi del 900 venne abbattuta.
Milano ha sempre avuto il bisogno di rinnovarsi, nel bene e nel male. Come oggi tante belle donne si sottopongono a interventi chirurgici, qualche volte addirittura dannosi, nell’ansia di correggersi il naso o le labbra…
A volte la ruspa è stata necessaria, per eliminare qualche bruttezza, come il Bottonuto, via squallida e malfamata, in cui tra l’altro si esercitavano affari di sesso.
Via Dante |
La città – affermava Carlo Romussi in “Milano che sfugge” del 1899 … è famosa per le sue vie: il sindaco Belinzaghi soleva anzi dire a questo proposito che al proverbio di raddrizzar le gambe ai cani si poteva sostituire quello di raddrizzar le vie di Milano. Ma è la nostra storia che vuol così: perché Milano tante volte distrutta risorse sempre dalle rovine…”. . Anche Vittore e Claudio Buzzi hanno scritto un bel libro, “Le vie di Milano”, molto interessante, perché racconta le vie, la loro storia, i personaggi che hanno dato lustro alla città, la vita quotidiana, i mestieri che si esercitavano.... Piazza Vetra, a Porta Ticinese, per esempio, è famosa perché in essa venivano giustiziati i condannati che non appartenevano alla nobiltà; via dei Fontanili prende il nome dalle sorgenti di acqua di falda che irrorava i campi; via Della Spiga, che va da corso Venezia in via Manzoni, si chiama così per un’antica insegna a forma di spiga di un’osteria; piazza Belgioioso, celebrata per la sua armonia come la piazza più bella di Milano, ricorda i sospiri d’amore di Stendhal per Matilde Dembowscki Viscontini; corso San Gottardo (da piazza XXIV Maggio a via Meda), le cui case hanno cortili simili a vicoli che sfociano in via Ascanio Sforza, lungo il Naviglio Pavese, viene ricordato come luogo in cui ai primi del ‘900 si custodivano 200.000 “ruote” di formaggio (“Ghe n’è de forma tonda/ quadra e guzza/ Che n’è che sa de bon/ ghe n’è che spuzza...” .
Queste pagine sono un racconto lunghissimo, che comprende i monumenti, le chiese, le attività commerciali, i caffè, dove non si beveva soltanto, ma si trascorrevano ore di spensieratezza, conversando, facendo pettegolezzi, discutendo a volte in modo acceso dei fatti accaduti, di politica, di costume, argomenti che calamitavano gruppi di avventori di ogni lignaggio. “La Ca’ de la comaa” apparteneva a una non meglio identificata Caterina de Padroni, che vendeva paglia e fieno ai proprietari di quadrupedi, ma faceva anche la levatrice. Forse perché stanca di fare l’uno e l’altro mestiere, anziché escluderne uno cedette il locale ad Antonio Cova, che dette al locale ben altra dignità e brillantezza, attirando una clientela di altissimo iivello anche per il suo panettone speciale e i gelati insuperabili.
Caffè, teatri, signorili luoghi di ritrovo. Ecco il Caffè Teatro della Scala, frequentato da artisti e uomini politici; il “Gambrinus” in Galleria; il Caffè Greco, di fronte al Duomo, meta di Petro Verri; il Caffè Campari, aperto in Galleria Vittorio Emanuele; il Caffè dell’Accademia, luogo di riunione di critici musicali e artisti; il Caffè dei Servi nell’omonima corsia; il Caffè del Duomo, dai milanesi denominato Caffè dei muti, perchè le parole non dovevano distrarre i lettori di giornali.
I Caffè possiamo ammirarli anche nell’arte. In principio erano aristocratici, poi divennero borghesi e infine proletari. Tutte le città più importanti, Napoli, Torino, Roma, oltre a Milano, hanno avuto i loro Caffè famosi, frequentati da celebrità, dalla Callas a Toscanini, da D’Annunzio a Eduardo De Filippo a Totò.
E’ lunghissima la serie dei Caffè di Milano, ognuno con le sue vicende. Al “Caffè dei Pompieri”, secondo gli esperti, nacque la famosa “Barbaiata”, inventata dal proprietario, che si chiamava appunto Barbaia.
Andrei ancora oggi, potendo, in giro per Milano con il naso all’in su per leggere i contenuti delle targhe e scoprire per esempio che via Della Palla, nei pressi di via Torino, fu battezzata con questo nome, perché a quanto parte vi si praticava un gioco molto in voga nel XVI secolo; che in via degli Armorari, la figlia di un artigiano si vedeva uscire dalla casa di un feudatario, che la sedusse e l’abbandonò togliendole la figlia e lasciandola a piangere e cantare “vezzeggiando” una bambola; (parola di Romussi); che via Olmetto faceva parte di un’antica contrada in cui sorgeva un olmo secolare; che via Caminadella fu battezzata così per un’abitazione munita di camino, allora privilegio esclusivo e diventato comune nel XIII secolo.
In corso Venezia si possono ammirare facciate di palazzi affascinanti in stile Liberty, come quella di palazzo Castiglioni; via Sant’Andrea come altre arterie vanta magnifici cortili con aiuole policrome, semiarchi, fontane, sculture, pozzi... Ed ecco via degli Omenoni, nei pressi di piazza Belgioioso, così denominata per le grandi cariatidi, giganti incastonati nell’architettura di uno stabile, costruito dall’artista Leoni Leone ((1509-1590) e obiettivo dei fogli satirici dell’800, che li immaginavano in divertenti colloqui con il “sciur Carera”, l’”omm de preja”, l’uomo di pietra, al quale venivano appiccicati le proteste, le polemiche, le indignazioni, gli sberleffi dei cittadino contro il potere: il Pasquino meneghino. Insomma a Milano ogni strada, a voler guardare bene e avendo tempo e voglia, contiene indicazioni che ci arricchiscono.
Piazza Belgioioso |
Queste pagine sono un racconto lunghissimo, che comprende i monumenti, le chiese, le attività commerciali, i caffè, dove non si beveva soltanto, ma si trascorrevano ore di spensieratezza, conversando, facendo pettegolezzi, discutendo a volte in modo acceso dei fatti accaduti, di politica, di costume, argomenti che calamitavano gruppi di avventori di ogni lignaggio. “La Ca’ de la comaa” apparteneva a una non meglio identificata Caterina de Padroni, che vendeva paglia e fieno ai proprietari di quadrupedi, ma faceva anche la levatrice. Forse perché stanca di fare l’uno e l’altro mestiere, anziché escluderne uno cedette il locale ad Antonio Cova, che dette al locale ben altra dignità e brillantezza, attirando una clientela di altissimo iivello anche per il suo panettone speciale e i gelati insuperabili.
Caffè, teatri, signorili luoghi di ritrovo. Ecco il Caffè Teatro della Scala, frequentato da artisti e uomini politici; il “Gambrinus” in Galleria; il Caffè Greco, di fronte al Duomo, meta di Petro Verri; il Caffè Campari, aperto in Galleria Vittorio Emanuele; il Caffè dell’Accademia, luogo di riunione di critici musicali e artisti; il Caffè dei Servi nell’omonima corsia; il Caffè del Duomo, dai milanesi denominato Caffè dei muti, perchè le parole non dovevano distrarre i lettori di giornali.
I Caffè possiamo ammirarli anche nell’arte. In principio erano aristocratici, poi divennero borghesi e infine proletari. Tutte le città più importanti, Napoli, Torino, Roma, oltre a Milano, hanno avuto i loro Caffè famosi, frequentati da celebrità, dalla Callas a Toscanini, da D’Annunzio a Eduardo De Filippo a Totò.
E’ lunghissima la serie dei Caffè di Milano, ognuno con le sue vicende. Al “Caffè dei Pompieri”, secondo gli esperti, nacque la famosa “Barbaiata”, inventata dal proprietario, che si chiamava appunto Barbaia.
Andrei ancora oggi, potendo, in giro per Milano con il naso all’in su per leggere i contenuti delle targhe e scoprire per esempio che via Della Palla, nei pressi di via Torino, fu battezzata con questo nome, perché a quanto parte vi si praticava un gioco molto in voga nel XVI secolo; che in via degli Armorari, la figlia di un artigiano si vedeva uscire dalla casa di un feudatario, che la sedusse e l’abbandonò togliendole la figlia e lasciandola a piangere e cantare “vezzeggiando” una bambola; (parola di Romussi); che via Olmetto faceva parte di un’antica contrada in cui sorgeva un olmo secolare; che via Caminadella fu battezzata così per un’abitazione munita di camino, allora privilegio esclusivo e diventato comune nel XIII secolo.
Corso Venezia |
In corso Venezia si possono ammirare facciate di palazzi affascinanti in stile Liberty, come quella di palazzo Castiglioni; via Sant’Andrea come altre arterie vanta magnifici cortili con aiuole policrome, semiarchi, fontane, sculture, pozzi... Ed ecco via degli Omenoni, nei pressi di piazza Belgioioso, così denominata per le grandi cariatidi, giganti incastonati nell’architettura di uno stabile, costruito dall’artista Leoni Leone ((1509-1590) e obiettivo dei fogli satirici dell’800, che li immaginavano in divertenti colloqui con il “sciur Carera”, l’”omm de preja”, l’uomo di pietra, al quale venivano appiccicati le proteste, le polemiche, le indignazioni, gli sberleffi dei cittadino contro il potere: il Pasquino meneghino. Insomma a Milano ogni strada, a voler guardare bene e avendo tempo e voglia, contiene indicazioni che ci arricchiscono.
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