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mercoledì 19 marzo 2025

Un libro fatto di titoli di giornali

UN LAVORO DA CERTOSINO DEL BRIGADIERE MELONI 

 

 


Copertina del libro
E’ come una storia della “nera” dai rapimenti alle
rapine, alle grandi operazioni, agli arresti, ai pezzi da 90 confinati al Nord, ai conflitti a fuoco tra malacarne e forze dell’ordine. Che fatica!

 

 

 

 

 

 

 

FRANCO PRESICCI

 

 



Il giaguaro è un animale di bell’aspetto che non ha nulla da invidiare al leone: è forte, riservato, capace di adattarsi all’ambiente, sa mascherarsi, e sa come e dove colpire chi gli capita a tiro. I carabinieri non potevano scegliere simbolo più appropriato per la loro squadra che si occupava di sequestri di persona, di estorsione e poi di antiterrorismo...
I giaguari. Secondo a sin. Meloni
Una squadra affiatata e ben collaudata. Giaguaro 1 era il comandante e poi, a mano a mano che si scendeva di grado 2, 3… Il nome d’arte era usato quando il gruppo doveva comunicare con la centrale operativa di via Moscova, dove sono insediati non felini che vivono soprattutto in Amazzonia, ma uomini decisi a tutto pur di riportare a casa una persona sottratta ai propri affetti, magari sorprendendo i banditi nel momento della riscossione del riscatto o irrompendo nel covo protetto da sentinelle. Per un carabiniere essere un giaguaro era un onore.
Ne ho uno di fronte, dai modi gentili, dai toni pacati, dai gesti discreti, dallo sguardo vivace. Ha appena pubblicato un libro che si apre con una decina di righe del compiano generale di brigata Tommaso Vitagliano, che fu per tanti anni al Nucleo Operativo di via Moscova, a Milano. Titolo di queste righe dell’ufficiale che tra l’altro indagò sul delitto dell’Olgiata a Roma: “L’urlo del giaguaro”. “Eccoli, una schiera variopinta di uomini che sostano su un ampio piazzale e mi guardano sorridenti. Un grande striscione li sovrasta, al centro un giaguaro ruggente e vittorioso”.
il brigadiere Massimo Meloni

Certo il ruggito del giaguaro come quello del leone incute paura, ma i giaguari di via Moscova non ruggivano, attaccavano veloci e senza esitazione. Anche Massimo Ceccherini - che cambiò mestiere andando a dirigere la sicurezza a Mediaset, dopo aver scoperto il covo di un grosso bandito che faceva affari con la droga e dopo aver messo le manette con i suoi uomini ad un altro malacarne al “Lady Anna” di Sirmione – ha scritto un bell’articolo, lungo e lucido, scorrevole come acqua di fiume, articolo che si conclude con la fierezza di essere stato il comandante del reparto. Seguono pagine del generale di Brigata Eugenio Morini e un interessante, appassionante intervento di Cesare Giuzzi, un ghepardo del “Corriere della Sera”, che morde la notizia e sa come spolparla. “In via Moscova – annota - ho incontrato parecchi dei migliori investigatori che abbia mai incontrato sulla mia strada. I giornalisti vivono di notizie, ma crescono quando incontrano chi, con pazienza e rara intelligenza, ha la capacità di aiutarli a capire”. Anche lui, dunque, si è cibato in via Moscova e sulla strada, consumando scarpe come facevano una volta i cronisti del livello di Fabio Mantica, Arnaldo Giuliani, Patrizio Fusar…
Nel libro Meloni snocciola anche curiosità: per esempio quella del carabiniere, altro segugio di strada, che il giorno della memorabile nevicata dell’85 si presentò al Nucleo investigativo venendo a piedi da Pieve Emanuele, macinando ben 16 chilometri di coltre bianca. Lo ricorda Massimo Pisa di “Repubblica” fra centinaia di titoli ricavati dal “Corriere della Sera”. Tra i primi, quello della rapina di via Osoppo, compiuta dalla banda delle tute blu la matina alle 9,15 del 27 febbraio del 1958. E poi rapimenti, omicidi, mafiosi confinati in Lombardia o finiti al “gabbio”, l’assalto, con mitra e pistole, all’oreficeria di via Montenapoleone;
Quarta di copertina
il boss indesiderato negli Stati Uniti e rispedito in Italia, a Milano, dove per non stare con le mani in mano progettava un controfestival di Sanremo; la “banda del buco” acciuffata con le mani nel sacco; l’orrenda strage di piazza Fontana; le imprese del bandito baldanzoso e quelle del “solista del mitra” che in carcere divenne pittore; gli scontri tra malandra e polizia; l’assassinio del commissario Luigi Calabresi; il luogotenente di un pezzo da 90 assassinato in piazza Napoli e altri due in piazzale Susa… Un lavoro di archivio da certosino.
Centosessantaquattro rapimenti, centoquattordici bande criminali specializzate in omicidi e furti ricordati in 230 pagine fitte di occhielli e sommari rilevati dal quotidiano di via Solferino. Una lunga storia della criminalità raccolta dal brigadiere capo Massimo Meloni, 65 anni, in pensione, nato a Uta, in provincia di Cagliari.
Eccolo, accanto alla mia scrivania, questo graduato paziente, educato, rispettoso; e non posso non approfittare dell’occasione per conoscerlo meglio. Alla domanda sul motivo che lo spinse ad entrare nell’Arma è rimasto un po’ indeciso. Avrebbe potuto rispondere che a esortarlo era stata la passione e invece ha ammesso che dietro la sua scelta c’era la fame. 
i generali Battista e La Forgia
Il padre, Giovanni, oggi novantacinquenne, faceva il contadino, la mamma, Fabrizia, la casalinga, cinque figli da sfamare. Per un po’ lui ha dato una mano nella cura della terra, condividendo i sacrifici, la fatica, il sudore che quella comporta. “La terra a volte è avara e il vento e la grandine non hanno pietà. Vedevo la disperazione di mio padre, quindi ho pensato al posto sicuro”. Si guardò intorno e decise: “Faccio il carabiniere”. La passione venne con il passare del tempo, un passione forte, profonda, “perché l’Arma è una famiglia, che ti fa sentire l’orgoglio di farne parte”.
Meloni entrò nel corpo nel ‘79, a 19 anni. “Non ti dico il fascino che la divisa cominciò a suscitare in seguito su di me. Quando mi presentai alla stazione di Uta, e alla stessa domanda detti la stessa risposta, cioè che a sollecitarmi erano stati gli stimoli dello stomaco, il comandante mi elogiò per la schiettezza”. A Milano Massimo Meloni giunse nell’84, assegnato al Nucleo operativo, dove allora agivano il colonnello Alfonso Martorana, il capitano Paolo Laforgia, il maggiore Raggetti, il colonnello Emanuele Garelli, il compianto colonnello Tommaso Vitagliano (promossi generali), il capitano Massimo Ceccherini,… Meloni proveniva dal Battaglione carabinieri paracadutisti Tuscania di Livorno.
A sinistra il generale Vitagliano con un altro ufficiale
Erano quelli i tempi in cui in via Moscova da cronista del quotidiano “Il Giorno”, andavo anch’io ogni giorno a piluccare notizie, dopo il saluto all’appuntato Pino Lato, oggi maresciallo in pensione, una persona cortese, disponibile, che diceva “comandi” almeno 100 volte al giorno ai superiori che entravano o uscivano. “L’Arma è l’Arma e il rispetto una regola fondamentale. L’Arma fa crescere i suoi uomini, li educa. La disciplina con consente eccezioni”.
Massimo Meloni non si vanta della sua attività fra i giaguari, e dei 9 mesi all’Antiterrorismo con il colonnello Umberto Bonaventura... non manifesta l’orgoglio, che pure nutre; e ripercorre quegli anni senza enfasi., quasi con imbarazzo, data l’insistenza dell’interlocutore. Ma il cronista è curioso, intraprendente, indiscreto, indagatore e vuole scavare. E Meloni racconta superficialmente il sequestro dei “clichè di numerosi di buoni del tesoro perfettamente realizzati e allora di moda in Svizzera.
il generale Vitagliano e il cronista Laccabò

Sgominammo la banda fatta di sei persone, alle quali arrivammo seguendo una pista che si rivelò subito quella giusta. Mettemmo i sigilli alla tipografia e continuammo a sondare. Scoprimmo in seguito una raffineria di cocaina sintetica, facemmo investigazioni che ci portarono a mucchi di dollari falsi, arrestammo manipoli di estorsori...”.
Nelle indagini ci sono sempre dei rischi, soprattutto nel momento del pagamento di un riscatto; e allora occorre essere davvero giaguari, con il passo felpato e tutta l’abilità, il tatto del felino, per non tornare al Nucleo a mani vuote. Meloni, incalzato, ricorda le notti passate sulla strada, con la paura dei familiari quando non si rientrava perché ad un’esigenza di servizio se ne aggiungeva subito un’altra. Vita dura, quella dei carabinieri e dei poliziotti. Vite sempre esposte all’agguato criminale. Molte divise sono state macchiate di sangue.
Oggi Massimo Meloni si dedica alla fattura di libri fotografici. Nel 2015 ha pubblicato: “Lourdes, le forze multinazionali e la fede”, partito da una sua mostra. E in una esposizione finirà un altro suo libro in fase di elaborazione sui sequestri di persona. Di mostre ne ha fatte tante e quasi tutte su temi specifici. Il suo libro che ho sotto gli occhi ha in copertina il logo “Gruppo Carabinieri, Nucleo Operativo, Milano 1, dal 1964 al 2020”. E’ dedicato all’Arma, che è sempre presente nell’esistenza di chi l’ha vissuta.

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