DABBRESCIA E VILLORESI MAESTRI DELLA FOTOGRAFIA

Mimmo Dabbrescia
Organizzata dalla Fondazione Villoresi-Poggi al Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” a Milano, in collaborazione con il Museo di Roma.
Titolo: “Lo sguardo dentro, lo sguardo fuori, lo sguardo… dove”. Visitiamola.

FRANCO PRESICCI
E’ stato in 22 Paesi, sempre con la macchina fotografica a portata di mano. Ha conosciuto paesaggi e persone, saltando su aerei, treni, taxi, facendo maratone. Con il suo obiettivo ha fatto la cronaca di avvenimenti mondiali, ha colto personalità del cinema, del teatro, della pittura.
Venendo a Milano da Barletta, la città che conserva gelosamente le sue tracce antiche, Mimmo Dabbrescia ha masticato polvere e pane, che lo hanno arricchito di esperienze e di valori. Nella città del bel porto, la mattina a scuola e il pomeriggio a bottega, come si usava nelle famiglie perbene. Una mattina gli capitò sotto gli occhi un manifesto che chi ha 87 anni come lui forse ricorda: “Vieni in Marina, imparerai un mestiere e girerai il mondo”. Un invito allettante, quel cartellone proponeva un sogno e un avvenire. Mimmo approfittò dell’occasione, andò a scuola per entrare al Nautico, ma i suoi si trasferirono a Milano e dovette seguirli. Era il ‘53, l’anno in cui il sindaco Ferrari incaricò l’ingegner Belloni di elaborare il progetto della prima linea del metrò.
Mimmo si mise subito a cercare lavoro. Aveva intelligenza, voglia di fare, capacità. Era ingegnoso. Intercettò un cartello su una vetrina: “Cercasi un fattorino con bicicletta”. Lui la bici ce l’aveva, non fiammante, ma funzionante; e cominciò a correre per le vie della città, esplorandola tra una consegna e l’altra; e correndo notò un biglietto su una vetrina al Ticinese con le foto di Farabola. Si fece avanti, gli risposero che lo avrebbero chiamato, ma non si fecero mai sentire. Succedeva, è successo a molti, suscitando ansie e delusioni, voglia di mollare.
Dabbrescia non perdeva mai la speranza. Si rimise in sella, andando da via Torino a piazzale Loreto, da piazza San Babila al Lorenteggio, fino ai margini della città e magari oltre. Un cartello dietro l’altro e vide quello di un’agenzia fotografica che aveva bisogno di un apprendista fotografo. Era quella del padre di Oliviero Toscani. E lì cominciò ad occuparsi di cronaca.
Era il ‘57. Questa era Milano con il cuore in mano. Se un giovane voleva costruirsi un avvenire, doveva tirarsi su le maniche.
Dabbrescia era tenace, intelligente, intraprendente e si tuffò nel mondo dei “reporters” con entusiasmo e passione. Virtù che non possono mancare a chi affronta questo mestiere. La cronaca affascina, coinvolge e chiede sacrifici. Uno come lui non poteva fermarsi, doveva andare avanti.
Quella era soltanto una tappa. La seconda fu “Il Corriere della Sera”, via Solferino, il sacrario del giornalismo, l’aspirazione di tutti. O quasi. Vi rimase fino al ‘63, entrando nei cortili patrizi, nei palazzi delle istituzioni, fotografando uomini di primissimo piano dell’industria, della cultura, della televisione. Entrò nella stanza di Dino Buzzati, lo sorprese alla scrivania, lo ritrasse, divenne suo amico e dopo la morte del giornalista e scrittore continuò ad essere amico della moglie Almerina. Al “Corriere” lavorava anche Eligio Possenti, critico teatrale e drammaturgo e direttore della “Domenica del Corriere” dal ‘29 al ‘64. Poi Mimmo incontrò Giorgio Pisanò, che con il fratello aveva un piccolo gruppo editoriale e per lui andò in Spagna.
Nel ‘61 alla Fenice di Venezia puntò l’obiettivo su Salvador Dalì. Mimmo non si faceva mettere in imbarazzo dal livello dei personaggi, come dev’essere un giornalista con il taccuino o con l’occhio magico.
Dopo qualche anno andò a cercare Salvador Dalì, e al custode disse di avere un appuntamento; quello si assentò e ritornò rispondendo che l’artista non si ricordava di averne uno. “Ci siamo conosciuti a Venezia ed è lì che abbiamo fissato l’incontro”. La porta si aprì e il maestro posò per 34 foto. Ed eccolo con il suo sguardo sbarrato e il suoi baffi come virgole capovolte. Poi comparve la moglie e decretò la conclusione degli scatti con una voce perentoria: “Il maestro si stanca”. Dabbrescia ci aveva provato e aveva riempito il carniere. In questo mestiere bisogna provare, allettare e a volte mentire per poter aprire un varco.
Ne ha fatti di scatti, nel tempo, Mimmo Dabbrescia. De Chirico, Guttuso, Salvatore Fiume con il quale fu a Papete un mese per un libro e un film. Ha fotografato la Cardinale, la Lollobrogida, De Andrè, Dorelli, Katerine Spaak, la Vanoni, Fellini, Clint Eastwood, Montale…
Fondò la rivista “Prospettive d’arte”, dove scriveva anche la moglie Bruna, pubblicando articoli informati su Attilio Alfieri, Ibrahim Kodra, Ernesto Treccani, Remo Brindisi e tanti altri. Dopo la rivista la Galleria d’arte in via Carlo Torre, dalle parti del Naviglio Grande. Insegna: “Prospettive d’arte”, dove hanno esposto grandi nomi, compresi quelli che apparivano sul giornale che si confezionava in via Gentilino, al Ticinese. A “Prospettive” si rivelò come pittore Don Lurio, il famoso coreografo di Rai Uno, di origini newyorchesi.
Un vulcano, una fucina di idee, Dabbrescia. Un’iniziativa dietro l’altra. Alla Galleria vennero presentati libri prestigiosi, come i “Navigli di Milano”, con firme famose come Gaetano Afeltra, Empio Malara…; un volume sulla storia del calcio Bari, presenti due calciatori e l’amministratore delegato della compagine pugliese e al tavolo dei relatori Giovanni Lodetti, già campione del Milan, centrocampista campione d’Europa; e lo storico Guido Lopez.
Serate memorabili anche per l’affluenza e il tipo di pubblico. Una manifestazione fu dedicata a Giuseppe Francobandiera, scrittore dallo stile affascinante e direttore del circolo culturale Italsider di Taranto. In quella sede, insediata alla masseria Vaccarella, sviluppò programmi di altissimo livello, tra le quali il Teatro sull’erba, dove recitarono anche Luca De Filippo, figlio di Eduardo, di fonte a migliaia di spettatori. Francobandiera invitò anche esponenti celebri della letteratura, del teatro e della pittura, come Morando Moradini, Gianni Brera…
Quella sera a “Prospettive d’arte” c’erano anche Vito Plantone e Achille Serra, il primo questore di Palermo; il secondo di Milano. Per motivi di sicurezza le forze dell’ordine chiusero la strada.
Mimmo è uno di quei figli della Puglia che hanno onorato la loro città e Milano. Su di lui la dottoressa Laura Lorusso ha fatto una tesi di laurea.
Ora eccolo con Manlio Villoresi, un altro artista dell’immagine, in una grande mostra al Museo della Scienza e della Tecnologia del capoluogo lombardo. Titolo “Lo guardo dentro, lo sguardo fuori, lo sguardo… dove?”. Fotografi a confronto, a cura di Andrea Ciresola e Carola Annoni , postfazione in catalogo di Giovanna Calvenzi. “Ed ora consideriamo lo sguardo nomade che il soggetto colloca in nessun luogo preciso”. Non è facile intercettare l’itinerario che uno sguardo compie, dov’è diretto. Attraverso lo sguardo si può anche penetrare nell’anima, nel pensiero, si possono cogliere i desideri, le ansie, le attese. Queste foto inducono a riflettere: non sono fotografie, ma opere d’arte emozionanti, che prendono chi osserva e lo inducono a meditare, suscitando ricordi; sguardi che parlano, sguardi brillanti, pensosi, carezzevoli, dolci, limpidi, comunicativi. Gli sguardi di Fabrizio de Andrè fra le gambe di due fanciulle, a Genova nel ‘69, ripreso da Dabbrescia; in una sequenza di quadretti Mina in concerto ad Alessandria nel 1970; Francis Bacon, 1977 a Parigi Galerie Claude Bernard.
Segue un giovane Vittorio Gassman 1945-1950, colto da Manlio Villoresi, che poi rapisce lo sguardo di Anna Magnani e poi ancora... Sfogliare questo elegante catalogo è come sfogliare il tempo.
Le persone ritratte non posano, sono presi di sorpresa. Così il Premio Nobel Eugenio Montale sorridente, due dita sulla fronte e uno su una guancia come se assistesse a una scena divertente, “clic” di Dabbrescia; Eldo Di Lazzaro in atteggiamento da attore drammatico superbamente “catturato” da Manlio Villoresi, nel ‘30-40… Lo sguardo dove? In piazza Duomo un colombo plana sul palmo della mano di Clint Eastwood per beccare il pasto (Dabbrescia nel 1971). Una personalità ha visto in quella foto un messaggio di pace rivolto al mondo. Salvador Dalì con gli occhiali chiusi in mano, posizione rilassata, punta lo sguardo verso qualcosa non vicina a lui, tra ciuffi d’albero e il mare (Dabbrescia); e Massimo Girotti, capelli neri, un po’ ondulati, un sorriso ammaliante (40-42), immortalato da Manlio Villoresi...
Quante personalità! Giorgio De Chirico, la divina Eleonora Duse, Franca Faldini, Buzzati, nel ‘63, quando frequentava la Galleria “Apollinaire” dell’amico Guido Le Noci.
No, non si può solo sfogliarlo, questo catalogo. Ogni pagina richiede una sosta, un pensiero, una riflessione. Mi soffermo su mister Volare: Domenico Modugno, di Polignano a Mare, nome che appartiene al mondo. Qui ha la chitarra in mano, è pensieroso. Siano negli ‘58-’60. E’ un po’ spettinato. L’obiettivo di Villoresi lo ha preso alla sprovvista. Dabbrescia capta un momento di Valentino mentre fuma stando in poltrona; e Manlio Villoresi Gigi Villoresi con un sorriso dolce e gli occhi che brillano.
Queste pagine raccolgono dunque volti, atteggiamenti, espressioni. Chi può farlo va oltre l’apparenza, si cala nel soggetto, interpreta lo stato d’animo, intercetta il carattere. Sono immagini preziose. Villoresi vive a Roma; Dabbrescia a Milano.
Questa mostra, ottimamente organizzata dalla Fondazione Villoresi-Poggi in collaborazione con il Museo di Roma, ha anche il significato di un incontro fra due maestri della fotografia.
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| Dino Buzzati di Dabbrescia |
Mimmo si mise subito a cercare lavoro. Aveva intelligenza, voglia di fare, capacità. Era ingegnoso. Intercettò un cartello su una vetrina: “Cercasi un fattorino con bicicletta”. Lui la bici ce l’aveva, non fiammante, ma funzionante; e cominciò a correre per le vie della città, esplorandola tra una consegna e l’altra; e correndo notò un biglietto su una vetrina al Ticinese con le foto di Farabola. Si fece avanti, gli risposero che lo avrebbero chiamato, ma non si fecero mai sentire. Succedeva, è successo a molti, suscitando ansie e delusioni, voglia di mollare.
Dabbrescia non perdeva mai la speranza. Si rimise in sella, andando da via Torino a piazzale Loreto, da piazza San Babila al Lorenteggio, fino ai margini della città e magari oltre. Un cartello dietro l’altro e vide quello di un’agenzia fotografica che aveva bisogno di un apprendista fotografo. Era quella del padre di Oliviero Toscani. E lì cominciò ad occuparsi di cronaca.
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| De Andrè di Dabbrescia |
Dabbrescia era tenace, intelligente, intraprendente e si tuffò nel mondo dei “reporters” con entusiasmo e passione. Virtù che non possono mancare a chi affronta questo mestiere. La cronaca affascina, coinvolge e chiede sacrifici. Uno come lui non poteva fermarsi, doveva andare avanti.
Quella era soltanto una tappa. La seconda fu “Il Corriere della Sera”, via Solferino, il sacrario del giornalismo, l’aspirazione di tutti. O quasi. Vi rimase fino al ‘63, entrando nei cortili patrizi, nei palazzi delle istituzioni, fotografando uomini di primissimo piano dell’industria, della cultura, della televisione. Entrò nella stanza di Dino Buzzati, lo sorprese alla scrivania, lo ritrasse, divenne suo amico e dopo la morte del giornalista e scrittore continuò ad essere amico della moglie Almerina. Al “Corriere” lavorava anche Eligio Possenti, critico teatrale e drammaturgo e direttore della “Domenica del Corriere” dal ‘29 al ‘64. Poi Mimmo incontrò Giorgio Pisanò, che con il fratello aveva un piccolo gruppo editoriale e per lui andò in Spagna.
Nel ‘61 alla Fenice di Venezia puntò l’obiettivo su Salvador Dalì. Mimmo non si faceva mettere in imbarazzo dal livello dei personaggi, come dev’essere un giornalista con il taccuino o con l’occhio magico.
Dopo qualche anno andò a cercare Salvador Dalì, e al custode disse di avere un appuntamento; quello si assentò e ritornò rispondendo che l’artista non si ricordava di averne uno. “Ci siamo conosciuti a Venezia ed è lì che abbiamo fissato l’incontro”. La porta si aprì e il maestro posò per 34 foto. Ed eccolo con il suo sguardo sbarrato e il suoi baffi come virgole capovolte. Poi comparve la moglie e decretò la conclusione degli scatti con una voce perentoria: “Il maestro si stanca”. Dabbrescia ci aveva provato e aveva riempito il carniere. In questo mestiere bisogna provare, allettare e a volte mentire per poter aprire un varco.
Ne ha fatti di scatti, nel tempo, Mimmo Dabbrescia. De Chirico, Guttuso, Salvatore Fiume con il quale fu a Papete un mese per un libro e un film. Ha fotografato la Cardinale, la Lollobrogida, De Andrè, Dorelli, Katerine Spaak, la Vanoni, Fellini, Clint Eastwood, Montale…
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| Eastewood di Dabbrescia |
Fondò la rivista “Prospettive d’arte”, dove scriveva anche la moglie Bruna, pubblicando articoli informati su Attilio Alfieri, Ibrahim Kodra, Ernesto Treccani, Remo Brindisi e tanti altri. Dopo la rivista la Galleria d’arte in via Carlo Torre, dalle parti del Naviglio Grande. Insegna: “Prospettive d’arte”, dove hanno esposto grandi nomi, compresi quelli che apparivano sul giornale che si confezionava in via Gentilino, al Ticinese. A “Prospettive” si rivelò come pittore Don Lurio, il famoso coreografo di Rai Uno, di origini newyorchesi.
Un vulcano, una fucina di idee, Dabbrescia. Un’iniziativa dietro l’altra. Alla Galleria vennero presentati libri prestigiosi, come i “Navigli di Milano”, con firme famose come Gaetano Afeltra, Empio Malara…; un volume sulla storia del calcio Bari, presenti due calciatori e l’amministratore delegato della compagine pugliese e al tavolo dei relatori Giovanni Lodetti, già campione del Milan, centrocampista campione d’Europa; e lo storico Guido Lopez.
Serate memorabili anche per l’affluenza e il tipo di pubblico. Una manifestazione fu dedicata a Giuseppe Francobandiera, scrittore dallo stile affascinante e direttore del circolo culturale Italsider di Taranto. In quella sede, insediata alla masseria Vaccarella, sviluppò programmi di altissimo livello, tra le quali il Teatro sull’erba, dove recitarono anche Luca De Filippo, figlio di Eduardo, di fonte a migliaia di spettatori. Francobandiera invitò anche esponenti celebri della letteratura, del teatro e della pittura, come Morando Moradini, Gianni Brera…
Quella sera a “Prospettive d’arte” c’erano anche Vito Plantone e Achille Serra, il primo questore di Palermo; il secondo di Milano. Per motivi di sicurezza le forze dell’ordine chiusero la strada.
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| Franca Faldini, di Villoresi |
Mimmo è uno di quei figli della Puglia che hanno onorato la loro città e Milano. Su di lui la dottoressa Laura Lorusso ha fatto una tesi di laurea.
Ora eccolo con Manlio Villoresi, un altro artista dell’immagine, in una grande mostra al Museo della Scienza e della Tecnologia del capoluogo lombardo. Titolo “Lo guardo dentro, lo sguardo fuori, lo sguardo… dove?”. Fotografi a confronto, a cura di Andrea Ciresola e Carola Annoni , postfazione in catalogo di Giovanna Calvenzi. “Ed ora consideriamo lo sguardo nomade che il soggetto colloca in nessun luogo preciso”. Non è facile intercettare l’itinerario che uno sguardo compie, dov’è diretto. Attraverso lo sguardo si può anche penetrare nell’anima, nel pensiero, si possono cogliere i desideri, le ansie, le attese. Queste foto inducono a riflettere: non sono fotografie, ma opere d’arte emozionanti, che prendono chi osserva e lo inducono a meditare, suscitando ricordi; sguardi che parlano, sguardi brillanti, pensosi, carezzevoli, dolci, limpidi, comunicativi. Gli sguardi di Fabrizio de Andrè fra le gambe di due fanciulle, a Genova nel ‘69, ripreso da Dabbrescia; in una sequenza di quadretti Mina in concerto ad Alessandria nel 1970; Francis Bacon, 1977 a Parigi Galerie Claude Bernard.
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| Isa Barzizza, di Villoresi |
Segue un giovane Vittorio Gassman 1945-1950, colto da Manlio Villoresi, che poi rapisce lo sguardo di Anna Magnani e poi ancora... Sfogliare questo elegante catalogo è come sfogliare il tempo.
Le persone ritratte non posano, sono presi di sorpresa. Così il Premio Nobel Eugenio Montale sorridente, due dita sulla fronte e uno su una guancia come se assistesse a una scena divertente, “clic” di Dabbrescia; Eldo Di Lazzaro in atteggiamento da attore drammatico superbamente “catturato” da Manlio Villoresi, nel ‘30-40… Lo sguardo dove? In piazza Duomo un colombo plana sul palmo della mano di Clint Eastwood per beccare il pasto (Dabbrescia nel 1971). Una personalità ha visto in quella foto un messaggio di pace rivolto al mondo. Salvador Dalì con gli occhiali chiusi in mano, posizione rilassata, punta lo sguardo verso qualcosa non vicina a lui, tra ciuffi d’albero e il mare (Dabbrescia); e Massimo Girotti, capelli neri, un po’ ondulati, un sorriso ammaliante (40-42), immortalato da Manlio Villoresi...
Quante personalità! Giorgio De Chirico, la divina Eleonora Duse, Franca Faldini, Buzzati, nel ‘63, quando frequentava la Galleria “Apollinaire” dell’amico Guido Le Noci.
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| Gigi Villoresi, di Villoresi |
No, non si può solo sfogliarlo, questo catalogo. Ogni pagina richiede una sosta, un pensiero, una riflessione. Mi soffermo su mister Volare: Domenico Modugno, di Polignano a Mare, nome che appartiene al mondo. Qui ha la chitarra in mano, è pensieroso. Siano negli ‘58-’60. E’ un po’ spettinato. L’obiettivo di Villoresi lo ha preso alla sprovvista. Dabbrescia capta un momento di Valentino mentre fuma stando in poltrona; e Manlio Villoresi Gigi Villoresi con un sorriso dolce e gli occhi che brillano.
Queste pagine raccolgono dunque volti, atteggiamenti, espressioni. Chi può farlo va oltre l’apparenza, si cala nel soggetto, interpreta lo stato d’animo, intercetta il carattere. Sono immagini preziose. Villoresi vive a Roma; Dabbrescia a Milano.
Questa mostra, ottimamente organizzata dalla Fondazione Villoresi-Poggi in collaborazione con il Museo di Roma, ha anche il significato di un incontro fra due maestri della fotografia.






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