DA
SEMPRE IL SUO MOTTO
“LA
POLIZIA TRA LA GENTE”
“Dobbiamo
essere vicini al
cittadino;
le volanti devono
pattugliare
sistematicamente
serenità
e sicurezza”. Era un
uomo
colto, simpatico, umano.
Pedalava
con la bici ereditata
dal
padre maresciallo.
Franco
Presicci
Allora, questore Fariello, fra una settimana ti insedi a Milano; sei contento del trasferimento? “A suo tempo vi ho lavorato, avuto collaboratori validi, ho amici, anche se qui a Torino non mi sono certo trovavo male”.
Anzi la gente gli voleva molto bene, grazie anche ai rapporti che aveva saputo tessere senza guardare ai gradi e alle condizioni sociali.
Il questore Antonio Fariello |
Era il maggio dell’85, e appena seppi che il nuovo pilota della questura di Milano era lui, 54 anni, mi precipitai nel suo ufficio, ampio quanto una piazza d’armi, della questura torinese in via Vinzaglio, e prima ancora che m’invitasse a sedere mi offrì uno dei suoi “Avana Wilde”, che usava spegnere a metà. Era simpatico, ospitale, spiritoso, e non stava mai fermo. Si alzava, misurava la stanza a passi brevi, chiamava il segretario per consegnargli un documento, si sedeva sul bordo di una poltrona, si rialzava, tornava alla sua scrivania, afferrava un fermacarte e lo gingillava. Mi offrì un secondo sigaro scherzando: “Quelli che fumi tu non li sopporto: i toscanelli sono roba da vecchietti”. “Sia i tuoi che i miei fanno male alla salute, e io sto lottando per non passare più le giornate tra nuvole di fumo”. Queste le prime battute con Antonio Fariello, che faceva cose che non avevo visto fare ad altri. “Durante gli anni di piombo andavo in bicicletta anche per rassicurare la gente. Se il questore pedalava voleva dire che si poteva stare tranquilli. Non lo facevo apposta. Ho sempre pedalato. Ho cominciato con la due ruote d’ordinanza di papà, che era maresciallo di polizia”. Antonio aveva preso un’altra strada. Frequentava l’università e faceva il carabiniere. Per quattro anni indossò la divisa dell’Arma. “Studiavo quando potevo”. Dal ’51 al ’53 era nel battaglione sottufficiali di Moncalieri. Poi fu trasferito a Bari, dove si occupò di abigeati e rapine in tabaccherie. Nel ’55 vinse il concorso in polizia e fu destinato a Firenze come vicecommissario. E cominciò così la sua felicissima carriera, che lo avrebbe portato in mezzo mondo con l’incarico di responsabile della sezione italiana dell’Interpol. A 44 anni, già questore di Sassari, il più giovane d’Italia. Ricordava: “Mio padre, che percorreva le vie di Napoli in bicicletta, quando Napoli non era una città violenta, mi portava negli uffici del commissariato, dove imparai a battere a macchina, una vecchia Remington 22. La prima parola che comparve sul mio foglio fu fonogramma.
A.Fariello con il giudice Abruzzo |
Mario Nardone |
Il presid.trib.civile Alessi e A. Fariello |
Antonio Fariello |
Arrivava in ufficio alle 5 del mattino. “Dottore, così presto?, dicevo. E lui: “Non è mai troppo presto per chi vuole imparare”. “E’ intelligente, umano, sa valorizzare le persone, sa riconoscere a ciascuno i propri meriti, non si attribuisce quelli degli altri”, concluse il sottufficiale di ferro.
All’epoca Fariello era con Mario Nardone alla Criminalpol, ma veniva impiegato anche in operazioni della squadra mobile. “A Milano giunsi nel ’66 – raccontò Antonio - Il capo della polizia riteneva che io dovessi conoscere la malavita del Nord e quella del Sud. Quindi, prima fui affiancato a Nardone, successivamente venni spedito a Palermo, quindi rientrai a Milano.
Erano anni roventi. Quelli, per esempio, della banda Cavallero, neutralizzata il 25 settembre ’67 nella tragica rapina di Milano, che provocò morti e feriti in una sparatoria senza risparmio di colpi tra forze dell’ordine e banditi. Scene da Chicago anni ’30. A Torino aveva agito anche la cosiddetta banda dei ‘bravi ragazzi di Angera“, altrimenti detta “banda del lunedì, sgominata nel marzo del ‘65”. Quando furono acciuffati il vicinato si meravigliò: “Sembravano persone per bene, impiegati di banca o rappresentanti di commercio.
Fariello (al centro)al Giorno con Presicci a dx |
Uscivano di casa ben vestiti, sempre alla stessa ora, con le ventiquattrore appese alle mani, educati”. Il signor questore parlava e giocava con la penna, scarabocchiava su un foglio, mi fissava con uno sguardo penetrante, incrociava le dita e raccontava. “Il mio primo incarico nell’interpol fu la lotta ai mafiosi espulsi dagli Usa, che in Italia portarono una nuova mentalità: per loro contava soltanto l’organizzazione, la ‘gerarchia’. Fecero del nostro Paese un canale attraverso il quale portare la droga in America. E alle Nazioni Unite ci accusarono di essere portaerei di sostanze stupefacenti”. Fariello aveva fatto la spola tra Londra, Washington, Los Angeles... Aveva frequentato corsi a Scotland Yard, alla Police national di Parigi, aveva avuto rapporti con l’Fbi, e studiato con altre polizie. Conosceva l’inglese, il francese alla perfezione.
I questori Enzo Caracciolo e Mario Nardone-foto del '69 |
Si era cimentato con l’arabo; aveva partecipato attivamente alla cattura di un evaso dall’Isola d’Elba. Dal ’67 al ’76, come capo della sezione italiana dell’Interpool, aveva preso parte a tutte le operazioni internazionali. Era uno studioso; nel tempo libero, nella sua abitazione in questura, ingresso da via Mombello, divorava libri soprattutto di storia. Gli piaceva giocare a scopone e prendere per il naso il compagno maldestro definendolo, quando incassava una scopa, giocatore d’attacco per non dire che era una schiappa. Le feste del corpo le faceva svolgere sotto l’insegna “Polizia tra la gente”; e non alla caserma “Annarumma”, nascosta in fondo a viale Suzzani, verso Bresso, ma in piazza Duomo. “Noi dobbiamo essere vicini ai cittadini, che devono sentirsi parte di noi, avere fiducia nell’uomo in divisa.
Insegna della Volante |
Le volanti devono pattugliare sistematicamente il territorio, in modo da suscitare senso di protezione e spirito di collaborazione”. Nel giugno del 1986 Antonio Fariello promosse e curò un volume bellissimo: “Milano, una città, una questura “, con presentazioni del sindaco Carlo Tognoli, del prefetto Enzo Vicari. Un libro ricco di immagini e di fatti: la mafia e i colletti bianchi, il terrorismo, i caduti della polizia, la nuova delinquenza, la sede della questura in piazza San Fedele sbriciolata dai bombardamenti del 16 agosto del ’43, i “teddy boys” e la violenza giovanile, gli omicidi dei giudici Alessandrini e Galli, il triplice, barbaro, vile assassinio dei tre poliziotti del commissariato Ticinese, Tatulli, Cestari e Santoro. Nel suo intervento scrisse: “Sono trascorsi 127 anni da quando, nel lontano 1859 , il re Vittorio Emanuele II istituì il primo questore di Milano affidandogli il compito di vegliare e provvedere preventivamente all’ordine e all’osservanza delle leggi nell’interesse sia pubblico che privato…Cinquantadue questori si sono, fino ad oggi, succeduti in via Fatebenefratelli, in circostanze storiche spesso difficili o drammatiche; e anche quando follia e irrazionalità sembravano dilagare, hanno sempre saputo interpretare le giuste aspirazioni della città alla sicurezza e alla civile convivenza…”. Anche quando lasciò la questura di via Fatebenefratelli furono in molti ad esserne addolorati. Consideravano Antonio Fariello un grande poliziotto e un uomo dotato di profonda di umanità.
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