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mercoledì 4 aprile 2018

ALBERTO LORENZI, UNA PENNA IRONICA E GARBATA


 
NEI SUOI LIBRI RIVIVE LA MILANO SPARITA

CON I SUOI PERSONAGGI E LA SUA ANIMA

In un suo volume ha raccontato il mondo
 
del varietà, con le sue luci e le sue figure

più celebri, da Anna Fougèz a Isa Bluette,

a Milly, a Piero Mazzarella, ai De Filippo…
 
con profonda competenza.

E in “Milano un secolo”, i teatri, i caffè

letterari noti, gli artisti, i divertimenti,

le passeggiate e tantissimo altro.





Franco Presicci

La libreria di Nicola Partipilo, in viale Tunisia al 4, a Milano, un tiro di schioppo dai locali in cui durante la seconda guerra mondiale Sandro Pertini aveva l’ufficio,
Nicola Partipilo
era affollata più del solito; e il titolare correva su e giù perché tra l’altro mancava un commesso, quello che più di ogni altro sapeva dove pescare senza esitazione il titolo richiesto. Seduto a gambe incrociate in un angolo appartato, vicino alla macchinetta dalla quale gocciolava il caffè, un signore di una certa età, ben vestito, una borsa di pelle fra le mani, lo sguardo fisso alla strada inquadrata dalla vetrina di fronte, quel poco che di essa si poteva vedere, dati i libri allineati o collocati uno sull’altro a mo’ di fisarmonica. Quando la siepe si sfoltì, Partipilo mi presentò l’ospite, che si alzò quasi di scatto e mi strinse la mano quasi in una morsa, mentre gli lampeggiava un sorriso largo e dolce.
Era Alberto Lorenzi, lo scrittore della Milano che non c’è più: case di ringhiera dall’aria di borgo antico, come in corso San Gottardo o in via Borsieri; la Pusterla dei Fabbri, che ai primi del ‘900 fu sacrificata al cambiamento fra accese polemiche in consiglio comunale; il gelataio con il carrettino con il muso a forma d’aquila sormontato da una tenda dai bordi fatti a onde... Quella Milano Alberto Lorenzi l’ha descritta nei suoi libri, come “Milano un secolo”, Bramante editrice, ottobre 1965,, un libro da leggere ma anche da vedere: “l’oste delle polpette” in un’illustrazione del Gonin; un’opera di Emilio Longoni; “La piscinina”, proveniente dalla Raccolta Guenzani di Gallarate; di Romano di Massa, “Verdi al Caffè Cova” attorniato da gentiluomini con “papillon” e signore con il cappello adornato con piume di cigno; di Angelo Inganni Piazza del Duomo con qualche banchetto carico di merce da vendere; la bella figura di Anselmo Ronchetti, calzolaio dantista, che riceveva nel suo laboratorio tutti i letterati più noti del suo tempo, che se dovevano protestare per un ritardo nella consegna delle calzature lo facevano in poesia, imitando Carlo Porta.
Quel giorno, anno 1988, era in uscita “I segreti del varietà”, in cui Lorenzi ripercorreva la storia di questa forma di spettacolo, con i suoi momenti spumeggianti, gli “sketches” frizzanti, le ballerine con gonne vaporose e cappelli come code di scoiattolo, i rappresentanti più famosi, come Guido e Giorgio De Rege, Walter Chiari, Totò, Renato Rascel, Josehine Baker, Ciccio Ingrassia e Franco Franchi con Daniela Goggi, Macario, Petrolini, Silvana Pampanini, Gennaro Pasquariello, Elvira Donnarumma, che cominciò a spiegare la sua voce nei locali di Napoli con un successo poi coltivato e intensificato all’Olimpia di Roma…E Edoardo Ferravilla, il comico più acclamato del teatro meneghino, amato persino dalla mala pronta a servirgli la bibita quando lo intercettavano nei suoi giri notturni. Padre dell’applauditissima maschera di Tecoppa, così ribattezzata dagli appassionati in virtù del suo intercalare: ”Dio te coppa!”, tradotto “Dio ti fulmini!”, suscitava un vero spasso e ovazioni in platea. Lessi il volume con interesse, divertendomi e ammirando, oltre allo stile dell’autore, tutte le curiosità e le stelle sparse nelle 172 pagine.
Anna Fougez
E mi ritrovai di fronte alla memorabile figura di Anna Fougez, che per 40 anni fu la regina della ribalta italiana. Grandissima Anna. Nata a Taranto, all’anagrafe Anna Pappacena Laganà, famiglia nota e ricca, il papà con la passione dell’archeologia, brillò per la prima volta sul palco a 8 anni e a 15 a fianco di Petrolini. Amica di Mistinguette e di Trilussa, ballava il bolero con Dapporto. Capelli scuri, asciutta, elegantissima, superba, si presentava con un bracciale d’oro con la sagoma di una vipera. Non aveva rivali: né Isa Bluette né Lydia Johnson; teneva testa alla Wandissima e a Milly. Legata alla sua città, vi tornava ogni anno per esibirsi al Teatro Orfeo; e a Taranto volle essere sepolta. Si spense nel settembre del ’66. Recensii il libro sul quotidiano “Il Giorno”, e Lorenzi per gratitudine volle regalarmi a tutt’i costi una perla rara, “Vecchie osterie milanesi” di Luigi Medici, primo volume di rievocazioni di questi ritrovi, successivamente ridato alle stampe dalla Libreria Milanese. Lo incontrai ancora, sempre da Partipilo (libraio fornitissimo e uomo disponibile, generoso, intelligente, patito di Milano nonostante le sue origini baresi). Scrittore delicato, dai modi gentili, rispettosissimo, galantuomo autentico, ogni volta che veniva sollecitavo, Lorenzi descriveva vita e opere dei mattatori più eminenti, tra cui Gino Bramieri o Piero Mazzarella, che riscosse i suoi primi successi al Gerolamo, luogo sacro del teatro dialettale meneghino, che la sera del 9 aprile del ’58 ospitò l’Opera del Pupo” con Eduardo De Filippo e “Pulcinella” con lo stesso Eduardo nei panni della celeberrima maschera.
Dina Galli e Ferravilla (Nino Besozzi)
La Centrale di Milano nel 1906
Eduardo poi ripercorse un po’ la sua carriera di attore e autore sin dai i tempi in cui era in Compagnia con i fratelli Peppino e Titina.
Il Gerolamo mi era molto caro, anche perchè nel ’63 vi avevo ammirato per la prima volta Mazzarella nella commedia “El zio matt”, e sentito cantare “Milly”, che nel ’25 aveva cominciato nell’avanspettacolo e nella rivista, quindi era stata soubrette con Odoardo Spadaro, Isa Bluette, e recitato con i fratelli De Filippo; aveva avuto successo negli Stati Uniti, e, rientrata in Italia, brillò in “Opera da tre soldi” al Piccolo Teatro di via Rovello; e poi con Enzo Jannacci e Tino Carraro…. Ricordo tante pagine di Lorenzi: sulle feste da ballo di una volta; sui cinema, sulle cartoline a colori della serie “Se a Milano ci fosse il mare”; sui “tranway”; sui biglietti d’invito strettamente personali inviati a reverendissimi signori alla fine dell’800 e all’alba del ‘900 per le celebrazioni al circolo “Promessi Sposi”; su certe stradine storiche, come via Lanzone e via Caminadella; sulla Pasticceria Marchesi in corso Magenta, dove il feldmaresciallo Radetzky andava a comperare i “bignè”; sui Caffè ottocenteschi, “della Peppina” o il “Cova” o il “Cambiasi”, dove sulla soglia alcuni sconsiderati si presero gioco di un monaco che li gelò senza scomporsi: “Il governo ci lascia vivere per poter accompagnare i giovani scapestrati alla ghigliottina”.
Piazza Scala nel 1850 circa (Raccolta Bertarelli)
Pagine ricche di dettagli e di garbata ironia”. Ricordo le riscoperte che Lorenzi faceva della vecchia piazza d’Armi, dove “el Granida” vendeva bibite e organizzava gare ciclistiche con ripetute corse intorno al vasto slargo che serviva per le esercitazioni militari; della banda del Tirazza che suonava in via Passerella o nelle taverne; degli aerostati che nel 1900 si alzavano dall’Arena; del “banchin del lott”, che stava in via Montenapoleone; della famosa grandinata del 13 giugno 1874, che alle 16,30 mandò in frantumi i vetri della Galleria Vittorio Emanuele. “A quei tempi la città contava 30 mila malfattori; numerosi evasi dal carcere, molti furti, molte rapine che sottraevano tranquillità alla gente, che temeva le combriccole criminali”, come quelli della “scopola”; o i “locch”, una lega che, pantaloni attillati, scarpe a punta e acco alto, bazzicava piazza Vetra. Ho ancora nelle orecchie i versi di una canzone che suggeriva a una bella fanciulla di non andare in sposa a un “magnan”, il pentolaio, “ch’el rangia i pignatt de tutta Milan”, facendo vita magra. Ai “magnan” era intitolata un’osteria nella via omonima, attaccata a Palazzo Marino, sempre gremita di fidanzati reduci dal municipio dove si erano scambiati il consenso con il seguito di testimoni. Alberto Lorenzi, già Conservatore alle Raccolte d’arte del Comune di Milano, era molto stimato per la profonda cultura, la puntualità, l’impegno, l’amore per Milano sparita, di cui andava rispolverando fatti, figure, luoghi, storie. Di quella Milano era innamorato anche Orio Vergani, grandissimo giornalista che a soli 26 anni era stato chiamato da Ugo Ojetti al “Corriere della Sera“, tempio in cui per anni lavorò anche il figlio Guido, nutrito a sua volta di una profonda, vera passione per la città di Carlo Porta.











3 commenti:

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