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mercoledì 8 agosto 2018

“Gaffe” nel carnevale dell’81


LINGUACCIUTA D’ACCORDO MA BACUCCA PROPRIO NO


Carnevale pugliese
Per offesa ricevuta, le “sabette”
 
organizzarono un sit-in sotto la
 
sede de “Il Giorno” pretendendo
 
le scuse. A risolvere il problema
 
fu la promessa di un mercoledì da

trascorrere con loro in allegria

da un cronista in una sala

di Radio Meneghina, in via Monte

di Pietà, a Milano.





Franco Presicci

Per il dizionario milanese-italiano di Cletto Arrighi la sabetta è una pettegola; e aggiunge “ona casa piènna de sabett”, traducendo, in senso buono, un cianaio. E giacchè questa è la caratteristica della signora, lei non se la prende se la si definisce così. Ma se si dice che è vecchia, oltre che linguacciuta, esplode. Nell’81 una giovanissima e carina praticante giornalista, venticinquenne, venne incaricata dal capocronista di comporre un articoletto di appoggio sul corteo del carnevale; e lei, senza alcuna malizia, si lasciò andare sostenendo che a chiudere in piazza del Duomo la fila di maschere e figure stravaganti fonti di coriandoli e stelle filanti erano le vecchie e ciarliere sabette della Pucci.

Piazza Duomo
Non l’avesse mai fatto. All’ingresso del quotidiano si presentò una delegazione di quarantenni graziose, che in quattro e quattr’otto organizzarono un sit-in, per protestare contro l’offesa ricevuta. La più decisa urlava: “Chiacchierone va bene: è una vita che ci assegnano questa etichetta, e magari anche legittima, ma bacucche no”. E spiegava chi erano le sabette di Maria Pia Arcangelli, la brillante attrice del film “La vita agra” con Ugo Tognazzi; da anni pilastro della trasmissione radiofonica “”Ciciarem un cicinin”, con Liliana Feldmann ed Evelina Sironi”; interprete al Piccolo Teatro con Piero Mazzarella…; e guida delle sabette, gruppo creato da Radio Meneghina nell’ambito del Circolo Ambrosiano. Avvertito il movimento dal quarto piano, dov’era la cronaca de “il Giorno, in via Fava 20, Palazzo dell’Eni, scesi giù nel cortile e cercai di spegnere il fuoco. Ma loro erano decise a continuare la lotta.
Allora promisi che sarei andato un mercoledì, giorno in cui si riunivano in un salone di Radio Meneghina, fondata dal giornalista e scrittore Tullio Barbato (già caporedattore del quotidiano del pomeriggio “La Notte”, in via Monte di Pietà); e la Pucci permettendo, mi sarei intrattenuto piacevolmente con loro, raccontando poi l’incontro sul giornale. La proposta fu accettata e il campo sgombrato. Un paio di settimane dopo una del gruppo mi telefonò e mi fissò l’appuntamento. “Alle 14, noi ci riuniamo a quell’ora. L’aspettiamo”. E al momento stabilito bussavo alla porta. Fui accolto con applausi, qualcuna venne a stringermi la mano gridando “evviva”, qualche altra a battermi la mano sulla spalla, mentre la Pucci mi invitava sulla pedana, offrendomi il microfono, che non aveva la mia simpatia.

L'attrice Anna Maria Arcangeli
L’attrice intuì, riafferrò il …cono di gelato e cominciò a descrivere l’attività che le sabette svolgevano in quelle riunioni: commentavano gli avvenimenti quotidiani, parlavano di Milano e delle sue bellezze, della polemica suscitata dal progetto di alcuni ingegneri di aprire parcheggi sotto il Naviglio Grande (avevano anche invitato i cronisti a Ginevra per mostrare un’opera realizzata in quella città)… Poi prese il sopravvento il tema del carnevale da poco trascorso, caratterizzato dalle imprese di manipoli di bulli che avevano lanciato arance armate con lamette da barba contro i figuranti e gli spettatori. “Bene ha fatto il giornalista Tullio Barbato, che, ricevuto l’incarico dall’assessore Paride Accetti di garantire la sicurezza del carnevale, aveva affidato la vigilanza a gruppi spontanei, tra cui i “Semper alegher”, i “Brioschi”, i “Brioschini”, che animavano le feste milanesi.
I sorveglianti si erano mostrati all’altezza, tanto da inseguire due “cecchini”, bloccandoli in piazza Diaz, dove sorge il monumento raffigurante la fiamma dei carabinieri. La Pucci, ottima “vun de ca’, sostenne l’argomento, molto sentito fra le sue predilette, che erano informate anche sul piano storico. Un ricordò: “I cortei della fine del Cinquecento, che sotto gli Spagnoli si tenevano in corso di Porta Romana, con donne e uomini vestiti da nobili del tempo o da Pierrot o da Fata Morgana, non erano rischiosi e dai carri allegorici le maschere lanciavano confetti. In virtù del detto “Semel in anno licet insavire” la gente folleggiava ma senza provocare danni”.

Gianduja dal  libro de La Spiga
Piccola storia del Carnevale de La Spiga
Nelle case, anche in quelle patrizie, si aprivano le danze regolate da maestri del settore, come
Cesare de’ Negri, noto e richiesto nelle corti d’Europa.
La Società del Giardino, un circolo esclusivo ancora oggi attivo, che tra i suoi soci contava anche Carlo Porta, organizzava serate danzanti meravigliose; e folle di commedianti affluivano anche da fuori per allestire spettacoli in piazza o in baracche messe su per l’occasione. A volte esageravano in volgarità, ma niente di più. Nel 1560 prese piede la Badia dei Meneghini, che provvedeva particolarmente all’arricchimento dei carri allegorici: vi successe spiritosamente l’Accademia dei Facchini della       Val di Blenio, idea del pittore e poeta Gian Paolo Lomazzo. Alla metà del Settecento fecero la loro comparsa nel carnevale la Compagnia dei Foghetti e le maschere-ritratto. La Pucci incoraggiava la discussione, l’incrementava, l’approfondiva. Dal carnevale si passò alle barzellette, mai insulse o scontate o impudiche. La Pucci disse le sue; e alla fine riuscì a coinvolgere anche me, che di storielle avevo un serbatoio pieno. L’aria nella sala era effervescente. Le sabette erano brillanti, spiritose, con una grande voglia di trascorrere il loro mercoledì in allegria. Ascoltai volentieri quella che parlava della pavana, ballo tipico dell’età barocca molto in voga anticamente anche a Milano, che poteva costare parecchio alle “madame” che incappavano in cavalieri abili a far involare dai loro vestiti gli ornamenti d’oro. Comunque, sotto la dominazione spagnola il carnevale milanese registrò il massimò fulgore.

Palazzo Serbelloni
Meneghino
















Tutte le strade echeggiavano di schiamazzi, sotto una pioggia di coriandoli, percorse da maschere, da carri allegorici; e addirittura, per iniziativa dell’autorità, venne allargata una vietta per consentire ai carri un passaggio più agevole. All’epoca erano di moda i giochi, detti “di sorte e de fortuna”, ossia giochi di società, e giochi d’azzardo, vietati tassativamente, con pene severe per i trasgressori. Una norma recitava: “Nessuno osi e si attenti a giocare al zarro né ad alcun gioco delle tavolette o alla biscazza o alla reginetta…”. Nei secoli XII e XIII si organizzavano giostre come nei tempi precedenti. Non mancavano le esagerazioni: dai balconi e dai carri allegorici partivano uova marce, a volte riempite di liquido puzzolente. Molto atteso il veglione dei giornalisti imparentato con quello della Famiglia Artistica. Nel 1909 al Teatro di via Larga, dove la baldoria si svolgeva, i cronisti inventarono il “Veglion menabon”, per il quale poi vollero la Scala, che tra mille dispute venne concessa considerando lo scopo benefico della manifestazione gioiosa.

Una sabetta conquistò il microfono e rese onore al Meneghino, un personaggio da molti ritenuto una creatura di Carlo Maria Maggi, autore di commedie dialettali. Meneghino era un servo ingenuo, disponibile, virtuoso. Non sciocco, come qualcuno lo ha definito. In principio era “single”; successivamente gli fu data una compagna: Cecca. Una coppia affiatata, non logorata dal passare degli anni, presente in molte occasioni, non solo a carnevale (li si vede primeggiare anche a gennaio per la festa dei re Magi). Una sabetta avrebbe voluto portarla a quella riunione, ma non ci riuscì, perché Meneghin e Cecca avevano un altro impegno. Dopo alcuni mesi una domenica andai a Monte Stella, la collina di Milano alta 170 metri, fatta con le macerie delle case e degli edifici, della Galleria, dei teatri distrutti, Scala compresa, dai bombardamenti aerei durante il secondo conflitto, e popolato di alberi tra viali che consentono passeggiate salutari. Era in atto la messa a dimora di altre piante e vidi parecchie sabette che collaboravano all’evento con altri cittadini, non ignari del fatto che la montagnola porta il nome della figlia scomparsa dell’autore del progetto, l’architetto Piero Bottoni. Monte Stella fu la prima collina verde di Milano. Poi ne sono sorte altre: per esempio alla Bicocca e a San Siro, oltre a quelle meno imponenti sparse in altri punti della città.









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