Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 24 ottobre 2018

Il professor Piero Mandrillo

Mandrillo in un disegno


L’AUTOREVOLE CRITICO GRAMIGNA

ESALTO’ LA  SUA IMMENSA CULTURA


Docente di lettere, saggista, pubblicista, insegnò all’università di Wellington, in Nuova Zeland; scrisse decine di volumi anche in inglese.

Era ricco di curiosità; si occupava di arte, di storia, di costume.


Era alla mano, dialogava con tutti, gli allievi gli volevano bene.


Un suo parente, Cesare Mandrillo, ha scritto una sapiente biografia,


Franco Presicci
A volte quando Piero Mandrillo decideva di venire a Milano, e ci veniva spesso, mi telefonava da Taranto per comunicarmi il giorno e l’ora dell’arrivo. Io andavo a prenderlo alla stazione Centrale e pranzavamo a casa mia. Lo aspettavo con ansia, perché era amico da tanti anni e gli volevo bene. Tra l’altro, m’informava di tutto ciò che accadeva nella bimare e delle persone che non vedevo da tempo: chi aveva conquistato una scrivania in un giornale; chi si era sposato, chi laureato.
Mandrillo in una cerimonia a Pulsano
E mi parlava del “Corriere del Giorno”, che ogni tanto suscitava ansia in chi ci lavorava. Mi venivano in mente figure, come il giornalista Livio De Luca, trasmigrato laggiù anni prima dal capoluogo lombardo per amore; Domenico Casulli, che aveva lasciato la penna per i codici nella veste di notaio; Vincenzo Petrocelli, che curando la terza pagina ebbe l’idea di creare un periodico, “Katalogo”, avviato con un concorso letterario… Io davo a Piero notizie di Mario Ligonzo, che era invece salito al Nord chiamato dal “Corriere della Sera”, che lasciò poco dopo per il quotidiano del pomeriggio di via Solferino, perché stufo di passare le notti in redazione, nel salone nobile.

Presicci e Vincenzo Petrocelli sulla Michelangelo
Andammo a trovarlo al residence di corso Garibaldi, dove viveva, e riemersero i tempi della galleria d’arte che Mario aveva avuto in via Mignogna, e dei pittori, fra i quali il bravissimo Francesco Boniello, detto Ciccio, che vi avevano esposto. Mario era un tipo concreto, allergico alle nostalgie, e dirottò il discorso su Michele Calabrese, che in quel periodo abitava nello stesso albergo. “L’ho visto uscire. Sta facendo un giornale per le aziende. Alle 19 lo vedrai spuntare”. Ricchissimo di cultura, paziente, generoso, quasi sempre di buonumore (quando non lo era non lo dava a vedere), Piero si faceva ascoltare volentieri, qualunque fosse l’argomento. Un giorno, davanti a un piatto di orecchiette con le cime di rapa, che mia moglie aveva preparato per lui, gli chiesi: “Di che cosa ti stai occupando, adesso? ’‘Tra l’altro, sto facendo ricerche su ‘u chiùdde’: una parola del nostro dialetto che vuol dire pescatore. Ma siccome anche il destino delle parole muta, oggi sta per stupido. Secondo Giacinto Peluso forse viene da ‘ciurma’, che all’origine stava per un gruppo di rematori di una galera”. E fece tutto un discorso su questo termine, coinvolgendo il Rohlfs, l’autore della “Grammatica italiana e dei suoi dialetti”.

Mandrillo a sinistra, Baroni e Presicci
A me il nostro vernacolo è sempre piaciuto, anzi ne ero innamorato. A Milano avevo pochissime occasioni per usarlo, se non in famiglia, ogni tanto, e perciò seguivo Piero con interesse. Scrivevo filastrocche, ma non lo dicevo a nessuno, perché pensavo ai poeti veri, Diego Marturano, Alfredo Nunziato Majorano…, e temevo che, venendolo a sapere, da lassù mi avrebbero accusato di presunzione. Ma per Piero non avevo remore. Volle leggerne una, “Tarandìne furastìere”, e lo pregai di non essere severo. “Te la ricordi ‘‘a vìeremìenze’, Piero? Chissà quante volte l’hai percorsa anche per sentire i suoni della parlata di quella gente che dice “’mbòte” per tasca e “schife” per barca”; e pensavo ai versi di Majorano: “Lèrva sarvàgge e ddò’ pummedòre appìse hònne destrùtte sècule de storie”. Lui, nato a Pulsano, culla che non dimenticava, non solo conosceva la via di Mezzo, uno dei luoghi più antichi della città vecchia, ma anche vicoli e vicoletti, chiese e piazze. Parlasse di filosofia, di letteratura o di altro (quasi nessuna materia gli era estranea), erano ammirevoli la semplicità del linguaggio e la dovizia di dettagli. Non annoiava mai. Una sera, accompagnandomi a casa assieme ad un amico appassionato di storia, per tutto il tragitto parlarono di Denis Mac Smith e della sua “Storia d’Italia”. Un duello impari, ma elegante e con rispetto reciproco.
Michele Annese
Pur non abituato alle ore piccole, rischiai di fare notte; e quando mi salutarono continuarono a discutere. Piero parlava con tutti: era alla mano; non assumeva mai l’atteggiamento del professore. Il giorno dopo sorpresi l’amico davanti alla Sem. “Quel Mandrillo è un pozzo di scienza”, dichiarò. “Quando parla semina cultura, senza mettersi in cattedra”. Forse non ci saliva neppure a scuola. Insegnava dialogando con gli alunni. Ed era amato. Mi confidò che il genero, ingegnere, in macchina, lo aveva pregato di parlargli dell’anarchia; e non se lo fece dire due volte. Una mattina chiacchieravo con il poeta Diego Fedele, quando Piero spuntò da via Temenide all’altezza del Palazzo Latanza. “Sono pochi quelli che scrivono come lui. La lettura di un suo libro è come una passeggiata salutare lungo le rive del nostro mare mentre lecca la sabbia”, commentò l’autore “d’u rafanìdde”, “d’u conzagràste” e di tanti altri versi che erano galoppate in sella all’ironia. Piero si fermò pochi minuti e ci salutò scusandosi: aveva un appuntamento in piazza della Vittoria con un ex alunno, e riprese il passo con il ritmo del maratoneta. Quando non lo trovavo a casa sua, in via Di Palma, lo sorprendevo nel laboratorio di Giuseppe Barbalucca, medico pediatra e pubblicista, per un breve periodo capo della cronaca del “Corriere”, solitamente frequentata da Vincenzo Petrocelli, responsabile delle pagine letterarie dello stesso giornale, che allora era in via Mazzini, vicino al cinema Paisiello, da tempo scomparso.
Piero Mandrillo con Presicci
Spesso con Piero si discorreva degli artisti, degli intellettuali, degli imprenditori, che riuniva nei dibattiti su Tv Taranto. Nel ’79 fece una sapiente presentazione di Luigi Protopapa, autore di quadri stupendi eseguiti con gli scampoli delle pelli per le scarpe con un impeto artistico con cui “si staccava sempre più dall’olio e dal pastello…”. I suoi “collages” erano meravigliosi: “Quei ritratti di uomini (“Contadino il giorno di festa”), di donne (“La grande vecchia”)… raccolti in un elegante catalogo edito da Schena celebravano un colore che si modulava nella luce. Piero amava i frutti di mare e spesso andava a mangiare cozze pelose, ostriche, “spuènze”, capesante, ricci, noci in una pescheria aperta sotto le scale dell’ex ospedale “San Giovanni di Dio”, dove lo accoglievano con profonda simpatia. Lo accompagnavo, ma il mercoledì mi deliziavo al banco pieno di piatti copputi di un certo Miccoli lungo il Mar Piccolo. Avevo 25 o 26 anni. Nel ’64 ero a Milano, al “Giorno”. Piero saliva per andare a trovare la figlia Maria Teresa, a Monza, e giocare con il nipotino.
Raffaele Carrieri, di Mimmo Dabbrescia
E ne approfittava per intervistare grandi personalità: Il Premio Nobel Eugenio Montale nella sua casa di via Bigli; il poeta e critico d’arte tarantino Raffaele Carrieri (scriveva su “Epoca” e sul “Corriere della Sera”), che abitava in via Borgonuovo; Domenico Porzio, giornalista e scrittore, tra i fondatori di “Oggi”, nato anch’egli nel profumo dei nostri due mari. Mandrillo venne al “Giorno” per intervistare Giuliano Gramigna, grande, autorevole critico letterario passato da via Solferino in via Fava grazie a Gaetano Afeltra, direttore del quotidiano dell’Eni.
E qui accadde un episodio curioso: quando Gramigna sentì Piero esprimersi benissimo in inglese e citare Foster, Shelley e versi di Blake (“Sono andato al Giardino dell’Amore,/ e ho visto quello che non avevo visto mai:/ una Cappella era costruita lì in mezzo/ dove io giocavo sul prato…”), da intervistato si trasformò in intervistatore. Nell’articolo apparso su “Il Corriere del Giorno” da semplice accompagnatore risultai promosso a psicopompo.
Biblioteca di Pulsano
Era un uomo pieno di curiosità. Al “Giorno” volle visitare ogni angolo, dalle rotative alla tipografia, alla ribalta da cui le copie iniziavano il viaggio per le diverse parti d’Italia, alle redazioni, all’archivio, alla mensa. S’intrattenne con il proto, Stucchi, e con il suo vice, Ariberti; con l’impaginatore della prima, Strada, con il capo dei correttori, Corradi. Amante del teatro, andava a Firenze o altrove per vedere una commedia. Insegnò lingua italiana all’università di Wellington in Nuova Zelanda. Scrisse tante opere: “An english journalist in Italy”; “Carducci tra amore e poesia”; “Goldoni fuori della storia”, “Cesare Giulio Viola scrittore”; “Dieci anni di critica forsteriana”; “The noble Antipodean in Eclipse and hother essays”, edito da Schena… Amava i poeti tarantini compresi quelli di una volta. Mi recitò interi versi di “Galeso” di Armando Perotti della fine del XIX secolo: “E ancor tu guidi le sonanti e fresche/ acque, per dolce clivo, alla tranquilla/ spera del mar, tra floridi giunchetti/ fiume Galeso…”, caro a Orazio, a Virgilio, a Tommaso Niccolò D’Aquino, padre delle “Deliciae Tarentinae”… Piero Mandrillo amava l’Isola e lo sciabordìo dell’acqua contro le lampàre. E gli piaceva la poesia di Nerio Tebano, un tarantino che viveva a Roma (“Ho raccolto un po’ di sole/ lo terrò stretto tra le mani/ dono d’amore/ andrò nei vicoli/ di Taranto vecchia, schiuderò/ le mani, darò ad essi la luce…”. A Pulsano, dov’era nato il 7 ottobre del ’17, gli hanno intestato la bella, elegante, molto dotata biblioteca. E’ morto a Taranto il 7 settembre del 1989. Un suo parente, il professor Cesare Mandrillo, ha scritto una sua esauriente biografia.













Nessun commento:

Posta un commento