NICOLA SARDONE ,
DI CANOSA DI PUGLIA
PIU’ FAMOSO DI
ADRIANO CELENTANO
Così dicevano non
soltanto i suoi clienti in
al Lorenteggio, il suo quartiere di Milano. Aveva 11 anni quando
realizzò il primo paio di scarpe per il suo
nonno omonimo. Aveva le macchine moderne,
ma “’u bangarìdde” era il suo
preferito.
Franco presicci
Il deschetto del calzolaio |
Nicola Sardone |
E’ sempre
stato il calzolaio della famiglia Berlusconi (pochi giorni prima del
nostro incontro aveva ricostruito una borsetta di coccodrillo molto
cara alla mamma dell’ex presidente del Consiglio). Era orgoglioso
di questo privilegio, ma non la dava a vedere. Somministrò la
notizia mentre esaminava la sagoma di una scarpa che gli avevano
appena portato. Nella zona del Lorenteggio, dove ogni tanto esplodeva
qualche colpo di pistola o una sventagliata di mitra lasciando un o
più vittime sull’asfalto, come accadde la sera del 18 novembre
’81, quasi all’angolo con via Gelsomini, era noto e apprezzato.
Qualcuno addirittura si vantava di essere un suo cliente. Un giorno,
davanti al negozio dei cinesi, quasi di fronte, un paio di signore,
sbirciando le vetrine, parlavano di lui, descrivendolo come l’artista
delle calzature: “Una scarpa restaurata da lui sembra comperata da
poco”. “Quelle che indosso – disse l’altra – hanno cinque
anni e guarda che bellezza”.
Festa di quartiere in via Lorenteggio |
Da tempo
cercavo un calzolaio che usasse ancora il deschetto. Una trentina di
anni prima ne avevo intervistato uno che rifaceva le calzature anche
a persone importanti, come, per esempio, Walter Molino, che
illustrava le pagine della “Domenica del Corriere”. Tornai al
suo indirizzo per donargli una copia di un’antologia per la scuola
media che aveva ripreso dal “Giorno” il mio articolo, e vi trovai
un’altra insegna. Lui si era trasferito altrove o aveva cessato
l’attività. Scoprii allora che anche in quel settore era arrivato
il progresso e il banchetto era entrato nell’archivio della
memoria.
Fu per caso
che nel novembre del 2007 venni a sapere di Nicola Sardone,
settantenne, originario di Canosa, città pugliese che sovrasta la
valle dell’Ofanto ed è situata a una ventina di chilometri dal
luogo in cui nel 216 Annibale dette scacco matto all’esercito di
Roma.
Il naviglio grande in un quadro di Kodra |
Ci volle poco per farlo parlare. Simpatico, intelligente,
informato, se avesse avuto tempo, avrebbe fatto la storia della
scarpa, dalle forme primitive ai medievali “borzacchini” (sorta
di stivaletti, di feltro o pelle, alti fino al ginocchio) ai
“coturni”, indossati nell’antichità classica greca e romana,
dalle persone di alto rango e dagli attori tragici allo scopo di
elevarsi maggiormente sulla scena; alle scarpette con tacco
appuntito, che nel secolo XVIII sottolinearono l’eleganza delle
signore… Ne sapeva di cose, e una volta ingranato avrebbe
proseguito come i marciatori della Stramilano da piazza Duomo
all’Arena. Eppure la gente entrava e usciva senza sosta. “Meno
male che c’è mia nuora dietro il bancone, perché oggi è sabato e
l’andirivieni è maggiore. Il flusso calerà verso mezzogiorno”.
Poi si mise a cavallo della “cagna”, l’attrezzo che serve per
la cucitura a mano degli stivali, e aggiunse: “Possiamo parlare
tranquillamente finchè vogliano, anche se dobbiamo saltare il pasto.
Del resto non è la prima volta che diserto la tavola, costretto da
un lavoro urgente”.
A Milano dal
1954, “da 47 anni in via Lorenteggio 124: ‘Mamma, quanti 4, ad
Affari tuoi’ la trasmissione che va in onda su Rai 1, potrebbe
essere il mio numero fortunato”.
Largo Giambellino |
Da queste parti è famoso quanto
Celentano. “Chi, Nicola? E’ una pasta d’uomo. Tra l’altro
sempre puntuale ed eccellente nel suo lavoro. La scarpa più scassata
riprende vita e lucentezza, grazie alle sue mani d’oro”, commenta
un vecchietto che lo frequentava da oltre 40 anni (ancora un 4).
“L’ho vista crescere questa via – dice Nicola -, ho visto
nascere quasi tutti gli esercizi commerciali: la farmacia, il
giornalaio, il piccolo supermarket, il giocattolaio, la pescheria in
via Primaticcio dietro l’angolo, il negozio di elettrodomestici di
Furlan nella stessa via… Eravamo tutti giovani, esercenti e
avventori”. In vi Primaticcio c’erano le cosiddette case minime;
dall’altra parte di piazza Frattini negli anni 60 i prati
costellati dallee casette con i tetti di lamiera abitate dai
meridionali.
Tram 14 in via Giambellino |
Cortile di Milano |
La notorietà
di Nicola si estendeva fino al centro di Milano. Se avesse esercitato
nell’80, forse avrebbe fatto concorrenza ad Anselmo Ronchetti, che
conquistò il cuore di Napoleone regalandogli un paio di stivali
confezionato in una notte dopo aver preso le misure ad occhio mentre
il Corso attraversava corso Venezia diretto al Palazzo Serbelloni.
Glielo dissi, sorrise compiaciuto e commentò: “Mi sembra davvero
troppo, questo. Servo molti negozi di via Monte Napoleone, di via
Sant’Andrea… Mi mandano le scarpe difettate e io le correggo…”.
Uno dei commercianti che svolge l’attività nei pressi del Duomo
espresse tutta la sua stima per Nicola, mentre ritirava un paio di
mocassini nella sua bottega di via Lorenteggio. “Nicola Sardone non
si limita a rifare suole e tacchi”. Entrò un signore alto,
asciutto, capelli folti, un fazzolettino bianco che faceva capolino
dal taschino della giacca blu, due scarpe che pendevano dalla mano
destra, e come lo vide Nicola gli fece festa. “Sei sparito, sono
mesi che non ti vedo. Metti pure sul bancone, chè sto parlando con
questo giornalista del ‘Giorno’”. “Un’intervista?”.
“Un’intervista”. Se vuoi, puoi ascoltare”. E il nuovo venuto
si sedette su uno sgabello alto.
Nicola
riprese: “Nella mia famiglia facciamo i calzolai da ben sette
generazioni. La mia è una dinastia di calzolai.
Nicola Sardone |
A scuola me la
cavavo bene, ma mio padre, Giuseppe, non mi permise d’interrompere
la tradizione. Se mi fossi opposto, avrei fatto torto non soltanto a
lui, ma anche mio nonno e a quelli che avevano usato la forma e il
trincetto prima di loro. Avevo 11 anni quando realizzai il primo
paio di scarpe per il nonno mio omonimo. Ne fu contento e mi sentii
importante”. La domenica, dopo sei giorni trascorsi tra semenze e
martelli, andava ai mercati nei paesi vicini a Canosa, a vendere le
scarpe che faceva suo padre. “E i giochi?”. “Giocavo facendo
modelli di scarpe, mentre gli altri correvano sul monopattino”.
Insomma soltanto lavoro. Poi allestì una bottega nell’androne del
palazzo, nella zona di piazza Colonna, e nei giorni in cui non
spirava il favonio lavorava sul marciapiede. Seduto al deschetto,
come mest’Andonie, il vecchio scarparo, con casa e bottega di
fianco a casa mia, a Taranto (aveva un carattere ruvido come la carta
vetrata, ma un cuore d’oro). “Oggi posseggo le macchine moderne,
ma preferisco “’un bangarìdde”, come questo tavolino viene
chiamato al mio paese. Sarà la nostalgia dei tempi andati,
l’abitudine, la passione…”.
Gli dissi che
mi erano rimaste in mente le “semenzèlle”, i chiodini che
somigliano ai semi conservati per essere sparse nei campi nel periodo
della semina. E con lo sguardo passai in rassegna gli attrezzi
sparpagliati in questo piccolo ambiente, dove ci possono stare non
più di quattro o cinque persone per volta.
Il piantone |
Allora lui m’indicò il
piantone (due “colonnine” di ferro con la parte superiore a forma
di scarpa); il treppiedi, la ginocchiera a staffa, la pinza modello
Vienna per montare le tomaie, il bussetto, le lesine... Di ogni
oggetto elencò l’uso e le caratteristiche. Gli piaceva entrare nei
dettagli. L’ospite con il fazzolettino nel taschino lo salutò,
annunciandogli che sarebbe tornato la settimana successiva. La
conversazione volgeva al termine, quando Nicola mi spiattellò una
sorpresa presentandomi il suo successore: un bel ragazzo alto con
qualche filo di barba sul mento. Parlava poco, forse per timidezza.
E’ un apprendista volenteroso – mi disse Nicola Sardone – Credo
che sia di ottima stoffa”. Non so se l’erede abbia seguito la
tradizione di famiglia. Se sì, sarebbe una buona cosa, visto che gli
artigiani lamentano di non avere proseliti. Eppure il mestiere di
ciabattino ha un suo fascino. Soprattutto quello che si esercitava
stando seduti al deschetto.
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