Guido Gerosa, a destra e il direttore del Giorno Lino Rizzi
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LA FLOTTA DEI CRONISTI GALVANIZZATI
NON GUARDAVANO MAI AGLI ORARI
Quelli della “nera” non perdevano un colpo.
Quando erano su un fatto non lo mollavano se non dopo aver riempito il paniere.
Chi poi primeggiò in altri campi dopo aver lasciato il racconto dei delitti e delle rapine provava tanta nostalgia.
Franco Presicci
Palazzo del Giorno |
Sin dalla sua nascita, in via Settala, il quotidiano “Il Giorno” ha avuto firme di altissimo livello, dal critico cinematografico Pietro Bianchi a quello teatrale Roberto De Monticelli, all’investigatore d’arte Marco Valsecchi, a Gianni Brera, re dello sport, a Giancarlo Fusco, tra l’altro autore di cinque o sei libri (tra cui “Quando l’Italia tollerava” sulle persiane chiuse)…. In tutte le redazioni c’erano degli assi. Per esempio per il ciclismo Mario Fossati; per il pugilato Nando Pensa… Tra gli inviati Pier Maria Paoletti, che stazionava in Cronaca, ma era anche un esperto di musica, Mario Zoppelli, Bernardo Valli, Giorgio Bocca; Patrizio Fusar, Guido Zozzoli, che Vittorio Emiliani, altra firma autorevole, descrisse come “affabulatore straordinario che deliziava i colleghi che dovevano sorbirsi il turno di notte fino alle 4, con i suoi racconti di eccezionale vivezza: drammatici o divertenti…”). La Cronaca era nota per la sua vitalità, col tempo galvanizzata da capocronisti di grande valore, prima Enzo Macrì e poi Enzo Catania, entrambi siciliani.
Catania fra i prefetti Serra e Colucci |
Il cronista Giancarlo Rizza |
Per esempio, una sera a cena con lo “staff” della squadra mobile in un ristorante in cui i camerieri erano vestiti come monaci, annusò una notizia e fingendo di dover andare in bagno sgattaiolò verso l’uscita un minuto prima che un dirigesse simpaticamente dicesse che nessuno dei presenti doveva lasciare il tavolo per un…emergenza. Era troppo tardi quando si accorse della fuga di Giancarlo, che era corso in via Fatebenefratelli, sede della questura, per torchiare un suo “trombettiere” . E fu “scoop”. Giancarlo era un tipo che non parlava troppo, paziente, colto, amante della buona cucina, e della vela (andava in barca con il figlio Sergio, diventato un valente collega e con la moglie a giocare a bridge al circolo dell’Aeronautica.) Fra i “roditori” ce n’era uno che non aveva orari. Il giornale era per lui casa e bottega. Non avrebbe voluto fare altro nella vita se non il cronista di nera: “la nera è esaltante, appassionante, coinvolgente, anche se nel raccontare i fatti si deve mantenere un doveroso distacco”. A qualunque ora della notte ricevesse la telefonata di una fonte, chiamava Dante Federici, un mastino (come Stefano Cavicchi) titolare di un’agenzia fotografica, e scattava. Sul luogo del delitto esaminava tutto. Se la persona era stata uccisa a bordo di un’auto, infilava la testa nell’abitacolo per vedere addirittura la marca di un pacchetto di sigarette. Spigolava dappertutto. Se c’erano testimoni li spolpava; se non ce n’erano andava a cercarli. La storia della criminalità la conosceva nei minimi particolar: nomi di boss e di gregari, di mezze maniche, le loro imprese, le loro tecniche, le loro condanne, le date. A volte un amico acquartierato fra la concorrenza si rivolgeva a lui per un dato.
Tanino Gadda e Luisella Seveso |
Piero Lotito e Giorgio Guaiti |
A volte gli affidavano incarichi piacevoli, sia pure forse a malincuore (perché sottraevano una pedina dalla scacchiera). In uno doveva narrare una crociera a bordo di un’ammiraglia della Costa: partenza da Malpensa per New Jork; da lì a Miami, quindi imbarco per le Isole Vergini. Dovendo restare a Miami due giorni, ne approfittò per andare all’Evergaides, a intervistare Sonny Bill, capo della tribù indiana dei Mikkosuki. Era galvanizzato, non per quel viaggio, che raccontò in una pagina intera, descrivendo persone e luoghi. Tra i quali il supermercato del tabacco a Saint Thomas di fronte a un negozio di Laura Biagiotti e vicino a un aquario, dove, attraverso finestre a vetri molto spessi si potevano vedere pescicani che facevano il girotondo con altri grossi pesci, e Saint Jones grondante di verde, raggiunto con un battello tipo quello visto in un film di Bud Spencer). “Sì, d’accordo, mi sono divertito, ho visto anche gente che rotolava per le dimensioni e fanciulle americane splendide; ho ballato con una signora di colore il doppio della mia altezza (nel buio trafitto dalle luci dei tavoli, stando seduta, sembrava pareggiarmi); ho visto cose interessanti; l’intervista a Sonny Bill mi ha riempito di gioia; la navigazione sulla grande palude che fu la roccaforte di Osceola è stata un’esperienza irripetibile; ma volete mettere la nera?”.
Guglielmo Zucconi e Giuzzi |
Per la strage di via Palestro fu impegnato due notti e un giorno, ininterrottamente. Il giorno dopo la strage andò a trovarlo un tale che diceva di essere siciliano, di aver saputo da un suo cugino in carcere a Palermo per mafia il nome dell’autore del mandante del mandante, ma purtroppo non si fidò. Ricevette tre querele, ma si salvò come un naufrago a bordo di un motoscafo. Per un’inchiesta su un ambiente spinoso fu minacciato, ma mostrava non preoccuparsene. Merito anche dei capocronisti, Enzo Catania e poi Gino Morrone e poi ancora Giulio Giuzzi, che galvanizzavano la cronaca e davano fiducia a chi la meritava.
Ugo Ronfani |
Giuzzi, Gorio e Pertini |
Così anche i direttori Gaetano Afeltra, Guglielmo Zucconi e Lino Rizzi, oltre ai vice Angelo Rozzoni, uomo serissimo, severo, grandissimo professionista;
e Ugo Ronfani, autorevole intellettuale, critico
d’arte e già corrispondente da Parigi (aveva anche partecipato
nelle vesti di giornalista alla guerra d’Algeria). Più volte
ricevette da loro biglietti di congratulazioni. Qualche volta,
nonostante il poco tempo a disposizione (nei quotidiani si lavora “ad
horas”), riusciva a mietere ogni particolare utile, anche se sul
posto non aveva amici informatori. Non prendeva appunti, teneva tutto
a memoria. Gli altri colleghi, quelli che erano stati in squadra con
lui e poi avevano seguito altre direzioni, continuavano a
testimoniare la propria bravura la domenica o quando l’altro era in
ferie; e magari veniva coinvolto anche da lì per fatti accaduti
nelle sue vicinanze.
Per esempio, di sua iniziativa e regolarmente
autorizzato dal Comando generale, trascorse una notte su una
motovedetta della Guardia di Finanza partita da Bari a caccia di
contrabbandieri di sigarette, armi e droga. L’articolo uscì due
giorni dopo l’irruzione delle “Fiamme Gialle” sulla nave
“Boustany One” nelle acque del capoluogo pugliese. Spesso
ricordava una bellissima cronaca di Giorgio Guaiti per un delitto fra
ciò che rimaneva della vecchia sede de “La Gazzetta dello Sport”
in via Galvani (L’attacco: “Hanno ammazzato la Gianna…”); e
uno di Piero Lotito su una sparatoria in un ristorante quasi in
periferia. Insomma, cronisti di alto livello. Da non dimenticare
Maurizio Acquarone, che sotto il traliccio di Segrate disse agli
investigatori: “Se gli mettete i baffi scoprirete che è il corpo
di Feltrinelli”. Aver fatto parte di quella cronaca naturalmente
non ti consegna i galloni, ma ti dà orgoglio. E aver lavorato in
quel “Giorno” dà orgoglio a tutti: impiegati e tipografi
compresi, efficienti, preparati, solerti, collaborativi soprattutto
quando il cronista in appostamento notturno arrivava per scompaginare
il telaio per inserire una notizia dell’ultimo momento.
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