Guido Bertuzzi |
OMBRELLAI E CESTAI VENIVANO
DA LONTANI PAESI DI MONTAGNA
Si
sono spente le loro voci e anche
il ricordo si è appannato. Calderai,
venditori di cuni, di castagnaccio,
calderai, arrotini, spazzacamini
rivivono nelle poesie e nei brani
dei parolieri.
Franco Presicci
Stazione Centrale |
Lavandaie di Bertuzzi |
Interessante anche l’opuscolo di P.E.Manni da Massimo, che contiene un piccolo dizionario di quella parlata. I “fumaioli”, come di tanto in tanto venivano indicati gli spazzacamini, provenivano dalla Val d’Ossola, dalla Val d’Intragna e dalla Valtellina. E facevano una vita grama, pagati com’erano a volte – si diceva – con un bicchiere di acquarello, vino annacquato. Dormivano su letti di paglia in freddissimi locali della periferia e ricevevano premure soltanto dalle suore del Cenacolo del Monte di Pietà, oltre che da alcune persone pie che per loro allestivano il pranzo di Natale. Lo spazzacamino, di cui da tempo si sono perse le tracce (l’ultimo a vederne un paio tantissimi anni fa, già in pensione, in vicolo dei Lavandai fu il pittore Guido Bertuzzi) era molto amato, e non passava mai inosservato con l’attrezzo del mestiere e il suo giovanissimo garzone di fianco. Un mestiere antico come risulta dalle parole di Cicerone sul camino lindo e brillante citate alla fine del ‘500 da Tomaso Garzoni. I milanesi assegnarono al “fumaiolo” un soprannome: “on menafrecc”, per il fatto che si materializzava d’inverno, quando il freddo arrivava fin nelle ossa, come fossero loro a costringerli a infagottarsi.
Sediaio |
Opera di un madonnaro |
Sintetizzando, “el moletta” si vantava di non dover obbedire a nessuno, di andare dove voleva e lavorare senza osservare alcun orario”. In un altro brano dice: “Mè pader fa el moletta/ e mi foo el molettin/ quand sarà mort mè pader/ faroo el moletta mè”, nonostante i guadagni scarsi. I venditori ambulanti di castagnaccio erano originari della Toscana ed erano chiamati tutti Gigi, dal nome del primo rappresentante del settore, che aveva la sua postazione prevalente in piazza del Duomo. Figura molto amata dai milanesi, con quel dolce casareccio spalmato nella teglia. Comparve nel capoluogo lombardo ai primi del ‘900. Dopo il ’17, data funesta per l’esercito italiano umiliato a Caporetto, a questi corregionali dell’attore e “chansonnier” Odoardo Spadaro (che si esibì anche al Moulin Rouge con Mistinguett), dovettero vedersela con la concorrenza dei veneti.
Nicola Sardone |
Si fermavano in una strada molto frequentata o in una piazza o nei pressi di una scuola o di una caserma e invitavano i passanti a gustare una fetta di quella “toer de farina de sciscger o castegn de color gialdon o de color de legn”, il castagnaccio, che una volta i contadini affidavano al forno di campagna e chi non ce l’aveva alle piastre delle stufe. In un gustoso volumetto di Mario Supino (editrice Meravigli) si legge una divertente filastrocca dedicata a uno di questi girovaghi che, grembiule e cappello calato sulla testa, dalla panetteria di via Carmagnola raggiungeva via Borsieri (l’Isola Garibaldi), posteggiava sempre nello stesso luogo il suo banco con le padelle in rame e le sue delizie e rimaneva pazientemente in attesa degli avventori. Che non mancavano mai. Gigi, il cui nome di battesimo al secolo era Giacomo, a volte si commuoveva e qualche pezzetto lo dava “gratis” a chi aveva le tasche prosciugate, raccomandando di non farci l’abitudine e di accontentarsi di quel “ciccinin de roba”, quel “virgolin de gnaccia”. Anche il venditore di castagnaccio è da tempo sparito dalle vie di Milano, ma c’è chi lo ricorda. Come ricordano “quell di cuni”, anche se non hanno mai ascoltato la sua cantilena: “Bej cuni, bel maron, vardèe che firòn!”. Si piazzavano nel quartiere Ticinese se non in centro e alla fiera degli “Oh bej oh bej”. Il “cadregatt”, chi vende o impaglia sedie, non è del tutto scomparso.
La forma del calzolaio |
Il barcaiolo |
“El magnan”, il calderaio, veniva dalla Val d’Ossola e aveva anche lui la fama di dongiovanni, tanto che ancora oggi c’è chi ha memoria dei versi ”El marito apos a l’uscio/ el gh’aveva sentito tutto/ el salta foeura cont on farell in man/ e pim e pum e pum su la crapa del magnan”: una batosta memorabile, da far passare la voglia, che invece si rinnovava. Qualche anno fa a Milano si vollero ricordare tutti i mestieri del tempo perduto. In prima fila, proprio “el magnan”, seguito da “el s’ceppin, un lavoratore che, raggiunta Milano dai paesi vicini, girava per le strade alla ricerca di persone che avevano bisogno di farsi spaccare la legna. Nel corteo faceva la sua figura anche l’”alpador”, che viveva in paesini di montagna in luoghi attraversati da pastori e dal loro gregge, e venivano giù d’inverno a vendere formaggi e burro. Non mancavano l’uomo dei barconi che solcavano il Naviglio, le lavandaie, il ciabattino, che rifaceva le scarpe piegato sul deschetto.
Stazione Centrale |
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