BENVENUTO MESSIA, FOTOGRAFO E POETA
S’INEBRIA SULL’ADORATA BICICLETTA
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Benvenuto Messia |
Luisa Ranieri e altri grandi dello schermo,
Ben è molto stimato e amato nella sua
seducente città e dintorni.
“Hai bisogno di qualcosa? Ci pensa il
Messìa”, ama dire, scherzando.
Franco Presicci
“Ma dove vai, bellezza in biciletta, così di fretta, pedalando con ardor? Le gambe snelle tornite e belle/ m’hanno già messo la passione dentro il cuor…”, cantavano gli italiani nel ’51 con Silvana Pampanini. E le bellezze pedalavano allegre, sorridenti, le chiome scompigliate dal vento, le mani sul manubrio, una dietro l’altra o di fianco, ovunque si potesse senza trovare intoppi. Sui tandem si scambiavano, lui e lei, parole d’amore, ad alta voce e gioivano. Li si vedono sulle cartoline d’epoca, sui calendarietti castigati dei barbieri, sulle vecchie pagine de “La Domenica del Corriere”, lui i baffi con le punte all’insù... Immagini che fanno sognare chi le guarda o appartiene a quei tempi. Oggi quella canzone, protagonista la bici, non la canta più nessuno, anche perché molti l’hanno dimenticata e altri non l’hanno mai sentita interpretare, neppure in “techetechetè alla Tv. Ma ne sono state scritte altre: la bici non tramonta mai. Anche se hanno inventato i monopattini elettrici, che filano silenziosi sulle strade, e a volte pericolosamente, è sempre lei, la bici, la principessa.
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Ben con la figlia verso l'altare |
Molti la curano con trasporto, come fosse un oggetto prezioso. Ci va ogni giorno un mio caro amico mantovano, a Milano da una vita, anche per fare tratti brevi: all’edicola, due passi da casa, o alla Bicocca, a un tiro di schioppo, dove una collina alberata, costruita artificialmente, fa fare bella figura al quartiere, già bello di suo. Dove abito io sono in tanti a sgambare in bicicletta, bellezze e non. La bici è facile da prendere, occupa poco spazio, non ha bisogno di parcheggi, per sicurezza la incateni ad un palo e vai a bere un caffè; e quando pedali t’inebri. E’ veloce, leggera, ha una linea elegante. Sulle sponde del Naviglio Grande, un’antichissima via d’acqua, dove un tempo pescavano e facevano il bagno, il sabato e la domenica, singoli e gruppi, qualcuno con il marmocchio sul telaio, vanno a ruota libera tranquilli, spensierati, spesso con un’occhiata alle cascine, alle torri, agli orti, alle chiese, alle case con i tetti a capannone, ai comignoli. Quando a malincuore lascio quel paradiso in terra, che è la Valle d’Itria, dopo aver goduto appieno il sole, l’aria incontaminata, la pace, il silenzio della campagna, con passeggiate a piedi nel tratturo, bevendo il venticello che fa dondolare le chiome degli ulivi, dei fichi, dei ciliegi, per rientrare a Milano, vengo bombardato di domande dal virgiliano che mi dà appuntamento e dopo mezz’ora è già a casa mia, per salutarmi e portarmi un “souvenir” del luogo in cui ha trascorso la vacanza. Ma anche per ascoltare i miei racconti sulla seducente Martina, sul Festival, sulle casette incappucciate con la palla sulla cuspide. Quando, anni fa, venne a trovarmi in campagna, diretto a Lecce (è un viaggiatore curioso e mai stanco) si disse pentito di non aver portato la bici, con la quale avrebbe potuto esplorare i tratturi, tutti quelli della zona, e osservare gli asini e i cavalli a passeggio sulle distese verdi, i boschi sulla via Papa Domenico, che sfiora la chiesa della Madonna della Consolata e va a Noci. Li visitò ugualmente, ma in auto. “Quando torni mi parlerai anche di questa graziosa famiglia Argese, i cui nonni Angela e Vito t’impegnano in spassose partite a scopone in serate calde, illuminate sul piazzale del trullo, mentre cantano i grilli. E soprattutto mi parlerai di Benvenuto Messia, che chiami affettuosamente Ben”.
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Ben con Sabrina Ferilli |
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I calendari di Messia |
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Ben |
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Ben con la mascherina |
In via Ceglie c’è ancora il suo studio, che considero un sacrario. Ci va ancora, vi si ferma per un po’ e poi via sull’amata sella. Ha un archivio immenso, con paesaggi meravigliosi della città e dintorni di una volta: Martina vestita di bianco; contadini al lavoro; donne che conversano nei tratturi o sulle soglie delle loro case, bianche come il latte, nei vicoli del centro storico, riposante, silenzioso, affascinante. Ha fotografato di tutto, Ben, che spesso gioca con il cognome (“Non preoccupatevi, provvede il Messia”, oppure: “E il Messia che cosa ci sta a fare?”). E’ spiritoso, diverte con battute pronte e sapide. Benvenuto è geniale.
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Messia e Lino Banfi |
Lo ricordo vestito da prete in un film, credibile con quella tonaca addosso ai piedi di una scalinata che portava chissà dove. “Hai confessato qualcuno, nel film?”. “Ebbè, sono il Messia”). Mi disse sorridendo che quando il Giro d’Italia passa per Martina lui si accoda, naturalmente non per sentirsi parte della cordata. Ben è gioviale, disponibile, intelligente, aperto al dialogo sereno e costruttivo. Quando si esibisce rende il suo dialetto più sonoro, più piacevole, marcando i termini onomatopeici, che sono tanti. “Ben, è vero che portasti tua figlia all’altare in bici?”. “Certo che è vero”. Non lo fece per pavoneggiarsi, ma per il piacere di farlo. Neppure quel giorno festoso dunque lasciò a casa il suo mezzo di locomozione. Questo fu l’episodio che colpì il mio amico milanese una mattina che fioccava la neve e si gonfiava come panna sulle strade, nei giardini, sul davanzale della finestra. Con l’amico guardavo le falde che cadevano e parlavo di Martina, dolce, generosa, stupenda, ricca di viti nane, dove respiri l’aria pulita e ti senti rinvigorito, rinato. Martina inondata di musica, Martina che ti abbraccia, ti sorride, ti dà il benvenuto (ahi!). La rivedo con la gente imbavagliata per il vento, con lo stradone deserto o affollato nei pomeriggi di sole. L’amico ricordava il percorso da Fasano alla stazione ferroviaria, dove andai ad aspettarlo. Aspetto sempre con il fischio del treno o il suono della campanella che annuncia gli arrivi e le partenze, gli amici che vengono a trovarmi e non conoscono la strada.
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Ben in un film |
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