UN LIBRO DAVVERO AVVINCENTE
DA LEGGERE PIU’ DI UNA VOLTA
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Intervento di Francesco Lenoci |
Fatti,
personaggi, situazioni, arresti
dopo indagini lunghe, complicate
condotte magistralmente da un
capitano sotto copertura. L’autore
racconta anche amarezze, solitudine
nonostante i vari risultanti brillanti.
Un libro bellissimo, interessante.
Franco Presicci
Decisi, anni fa, di archiviare la nera e di occuparmi d’altro. E sono stato coerente.
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Copertina del libro |
Fino a quando non mi è stato consegnato questo libro, che mi ha catturato sin dalle prime pagine senza lasciarmi all’ultima, perché, arrivato lì, ho ripreso a leggerlo qua e là, proponendomi di riaprirlo prossimamente: “Un’Arma nel cuore”, di Angelo Jannone, editore O’ Gambini, coinvolge, affascina, appassiona. Ricco di fatti, di situazioni, di personaggi buoni e cattivi, criminali e cacciatori, latitanti, flussi di denaro che scorrono sotto traccia, trafficanti di droga ad altissimo livello e trappole tese da uomini coraggiosi decisi a disintegrare le organizzazioni mafiose e le loro ramificazioni. Un libro, che fra l’altro testimonia il coraggio, l’acume, la prontezza di spirito, la genialità, la determinatezza di fedeli servitori dello Stato. L’autore, all’epoca in cu scrive capitano dei carabinieri (poi promosso colonnello), si infiltra in un pianeta pericoloso che allunga i tentacoli in ogni parte del mondo. E per conquistare la fiducia, con sapienza conversa con gregari diffidenti decisi a tutto, propone progetti, suggerisce strategie, ascolta le confidenze, gli sfoghi… Lo scopo è quello di arrivare ai boss e al capo dei capi. L’investigatore punta dunque in alto. E a poco a poco intercetta, finge amicizia, fa credere di essere uno di loro, e così facendo individua ruoli, capacità, sentimenti. Sempre vigile, attento a non compiere un errore, sapendo che basta una parola sbagliata, persino uno sguardo non calcolato per tradirsi. Insomma, il protagonista con l’Arma nel cuore si sente un’altra persona, calata nel personaggio. Dietro di lui, o con lui, collaboratori preparati, tenaci, pronti a camuffarsi, dribblare gli eventuali sospetti, le diffidenze per infrangere le barriere frapposte a difesa dei pezzi da novanta.
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Angelo Jannone |
Il libro di Jannone, faccia da divo dello schermo, avvince, trasportando chi legge in un mondo che non riesce ad immaginare, rendendolo quasi spettatore degli avvenimenti, spesso carichi di “suspence”: operazioni movimentate, ad alto rischio, inseguimenti sui tetti, irruzioni nei covi, nei depositi di armi, gli uni e gli altri fortificati, mimetizzati, intercettazioni da trascrivere e spesso da interpretare; piogge di ordinanze di custodie cautelari, arresti, sequestri di tonnellate di droga. Un lavoro di grandissimo impegno, intelligenza, intuito, esperienza. Jannone viene paracadutato in Sicilia, dopo essere stato in altri luoghi del Paese e all’estero, per esempio in Brasile; e comincia studiando l’ambiente, ascoltando vecchi marescialli dell’Arma che hanno navigato in quel mare e sono quindi ricchi di ricordi, conoscenze, esperienze, saggezza. L’ufficiale annota ogni particolare, nomi, livello, biografie, attività, rapporti, parentele. Una grossa mano gliela danno i suoi fedelissimi, tra i quali Roberto Perillo, “vero esperto di pedinamenti, cresciuto con il gruppo del capitano Ultimo a Palermo” (già noto per la sua brillante bravura quando era alla Legione Carabinieri di via Moscova a Milano)”. Al racconto, denso, sempre interessante, avvincente, emozionante, si aggiunge uno stile scorrevole, accurato, che nelle pagine più esaltanti assume un ritmo galoppante.
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Pagine del libro |
Un libro bellissimo, tutto da leggere; un libro in cui Jannone sfoga anche le sue amarezze, le sue delusioni, la sua solitudine anche familiare (il lavoro e il focolare sovente non vanno d’accordo); descrive con particolari i suoi viaggi in Germania, in Colombia, in Olanda, in Brasile, i dialoghi con un “narcos”, che citava Proust, Dickens… “e quando me ne parlava io dovevo solo fingere di essere il contrabbandiere ignorante e cafone, ma mi sentivo davvero tale… gli algerini li incontrai in un ristorante nei pressi della Bocconi, il celebre ateneo milanese… in Italia giocavano in casa… Era un vero boss, il loro capo. Alto e distinto. Fuori dal ristorante, un paio di loro guardaspalle controllavano la zona. Alcuni dei miei uomini controllavano i guardaspalle che controllavano la zona, mentre altri imbottivano l’auto con targa francese, degli algerini, di microspie”. All’improvviso si materializza un fotografo, che si mette a scattare, puntando l’obiettivo su un angolo e su un altro: lui, l’infiltrato, scatena il quarantotto; il proprietario interviene per chiarire l’equivoco: il fotografo è di casa, deve solo compilare un depliant. Una sceneggiata, una “fiction” improvvisata e ben riuscita.
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Jannone in un'intervista |
Il capitano con l’Arma nel cuore è un attore collaudato. Ormai sembra uno di loro. Ottocento chili di cocaina sono pronti per essere spediti dal Venezuela in Italia, destinataria la “Re Sole”, ditta inventata dall’ufficiale e compagni. Il carico è in un container a doppio fondo fra quintali di pesce surgelato. Il “detective” sta per portare a termine il suo compito. Mesi e mesi sono passati a “condividere” i piani dei “narcos”, aspettando che tutti finiscano nella rete che lui ha predisposto. L’infiltrato – dice - è più simile a una spia e la spia tradisce. Il carabiniere è un avversario leale, orgoglioso del corpo a cui appartiene. “Sono un colonnello dell’Arma”, esclama mentre porta al baratro i pesci e i pescicani. L’operazione sulle prime viene tenuta segreta, mentre uno ad uno cadono come birilli i trafficanti colombiani, gli intermediari venezuelani, gli algerini di Amsterdam, i camorristi, potenti, della camorra e di Cosa Nostra. Poi, la solitudine, la malinconia, la frustrazione, la sopportazione dei colleghi ostili, inspiegabile se non con l’invidia, e non certo quelli che hanno fatto grande l’Arma dei carabinieri; le serate vuote, le notti in bianco trascorse nelle vie della Capitale, l’incontro con un barbone vicino alla sede della Corte di Cassazione: ”Se questo palazzo avesse avuto un’anima, non mi avrebbe distrutto la vita”, parole del “clochard”. Poi una birra in un bar che sta sparecchiando e l’ufficiale torna indietro i 10 anni: in una di quelle sue notti in bianco fluiscono i ricordi. Allora aveva solo 24 anni, aveva fatto il rodaggio a Torino, avendo tra gli allievi il giovane Giovanni Agnelli, “che pochi anni dopo avrebbe lasciato questo mondo prematuramente, infrangendo il sogno di tanti di vederlo alla guida del più importante gruppo industriale italiano”. Poi Roma, il quartiere dell’Eur, ma anche le borgate meno appetibili; e il cinodromo per le corse dei cani, che impolpano le casse di criminali legati alla banda della Magliana. Bisognava fare piazza pulita anche in quell’ambiente. E poi la notizia di un delitto… ”Non avevo ancora visto un uomo ammazzato”. “Corsi subito”. “’Aquila 31’ chiama centrale”. “Ordini, Aquila?”. “Sì, fatemi arrivare sul posto il maresciallo Meloni”. Il colonnello Jannone è un uomo colto: cita Lombroso e la sua criminologia deterministica; e crea immagini sapienti. E’ uno scrittore efficace. I suoi ricordi spaziano dalla III D, con una scazzottata con un compagno di scuola arrogante e prepotente, una sorta di guappo che nell’intervallo comincia a infastidire uno dei ragazzi più buoni. Il senso della giustizia che cominciava ad emergere, lo spirito del carabiniere anche. Erano i tempi delle indagini su rapinatori, su ambienti della prostituzione, sulla droga assassina che circola in un grosso clan mafioso.
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Locandina presentazione |
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