INCROCI DI RACCONTI EMOZIONANTI DI UNA CITTA’ BELLISSIMA E MILLENARIA
Si sono scambiati opinioni, pensieri, idee, hanno ricordato i poeti, i
personaggi, i luoghi d’incontro, i fatti di un tempo. Hanno discusso del
dialetto e recitato poesie.
Quasi un convegno estemporaneo, teatro un trullo di Martina Franca.
Franco Presicci
Un 9 agosto quasi da inserire negli annali: istruttivo, divertente, coinvolgente, gioioso. I protagonisti sono entrati nel tratturo con l’auto a bassa velocità, attenti ai rovi che grondano dal muro a secco e li ho accolti come fòssero gli ori di Taranto.
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Quercia alla fine del tratturo |
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Giudetti, Del Vecchio, De Florio |
Giudetti ha recitato alcuni suoi versi con una verve spassosa e ne ha improvvisati altri, cortesi, per il padrone di casa; De Florio sturava la sua memora rivolto a Pino, conoscendo entrambi Taranto come le loro tasche. Io ascoltavo, assorbivo, mi emozionavo e scambiavo battute con Cataldo, un uomo pacato, tranquillo, di poche parole, un sorriso discreto, atteggiamenti da buon curato di campagna, che produce delicatezze, come “Serenata a le do’ mare”, “Cu ttè’ ind’a ‘na vàrche”, “Un angelo nella notte”, in collaborazione con Antonio Gentile. Seguo su Facebook i suoi canti tarantini: le bellezze, i luoghi storici, gli abbracci del ponte girevole, le barche che dondolano nel Mar Piccolo, i pescatori, i venditori di cozze….
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Presicci, Giudetti |
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Giudetti in cartolina |
Mi ha colpito la memoria di Giudetti, il suo modo di conquistare la scena, la sua capacità di descrivere gli attrezzi che custodisce nel suo museo e che illustra ai visitatori (i loro usi, la loro linea, come la forma del calzolaio che lavorava con il deschetto o il trapano a mano usato da “’u conzagràste” per riparare le fenditure dei vasi e dei tegami in terracotta). Quando osservi quegli attrezzi ripassi la civiltà del mondo antico, guidato da questo cataldiano esemplare, simpatico anche per i toni delle frasi in vernacolo che fioriscono sulle sue labbra. Quando i turisti entrano nel suo locale in via Duomo restano affascinati dal suo linguaggio, dalla Taranto che racconta, dalla descrizione degli elementi sparsi su un bancone, dalla processione pasquale che ha ricostruito fedelmente in terracotta, dalle grosse valve di “paricelle” (ne parla anche Cataldo Sferra), in cui una volta i pittori riproducevano il paesaggio della città vecchia.
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Cataldo Sferra |
Avanti tutta, direbbe Renzo Arbore; e i miei ospiti m’incantavano. E’ stato una specie di convegno estemporaneo, con relatori particolari, anche se sprovvisto di pubblico. Questi miei interlocutori sono amici preziosi. Il loro amore per Taranto è incommensurabile.
Nicola Giudetti l’ho ascoltato in un video e l’ho ammirato per la sua capacità di ripercorrere fra l’altro tutto il vissuto delle famiglie che in tempi passati hanno abitato in via Duomo: nomi, cognomi, discendenze, ascendenze, professioni, mestieri, parentele, virtù e debolezze. Ascoltarlo è sempre un piacere. Davanti a lui nel video c’erano parecchie persone che gli ponevano domande, lo sollecitavano ad approfondire anche sulle vicende trascorse della via, e non solo. Altro che mattatore della ribalta. Altro che fine dicitore. E’ in grado di reggere la scena per ore, esibendosi accompagnando il gesto alla parola, conversando, versando briciole di cultura tarantina. Gli altri non sono stati da meno. Quel mercoledì 9 agosto hanno tenuto il palcoscenico in maniera più che interessante, ammirevole. Giorno memorabile, dunque. Sono riemerse anche le figure dei poeti che hanno dato lustro a Taranto, con i loro palpiti, con le loro commedie (i fratelli Nasole; Marturano:“’U cuèrne de Marie ’a canzirre”…; Majoramo: “’A Sànda Mèneche”… Diego Fedele che con le sue ispirazioni (sempre presenti nella memoria di Cataldo Serra) ha vinto premi anche fuori Taranto.
Ore tarantine a Martina: teatro un trullo.
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Del Vecchio, De Florio |
Rivedevo la mia città con le sue mille attrattive, le sue fette scomparse per fare spazio al nuovo, i tratti di mare nascosti da costruzioni recenti, i mercati com’erano, le vie, le piazze (la stessa piazza Fontana rinnovata dall’arte di Nicola Carrino), le rive del Mar Piccolo occupate dai banchi a scala con grossi piatti di terracotta pullulanti di frutti mare: cozze pelose, ostriche, “iavatune”, “spuènze”, “cacasanghe”…; i locali rinomati chiusi (“Pesce Fritto”). Ecco anche “Cicce ‘u gnùre”, del quale è apparsa su facebook una foto in cui lui offre una cozza aperta al momento a un cliente; il giardino dei mitili… Una Taranto che mi sfila sempre nella mente; una Taranto che ho vissuto; una Taranto che adoro; una Taranto sfavillante; una Taranto adorabile; una Taranto spettacolare “quànne pònn’u sòle”; il canale navigabile, dove una volta s’immergevano i palombari. Dolce Taranto. Taranto millenaria. Taranto che resiste alle ferite, alle ingiustizie, agli schiaffi, alle pedate; Taranto che sa risorgere, Taranto dalle tante sfaccettature. Taranto ricca di gemme.
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Altra opera di Giudetti |
A questo pensavo in alcuni secondi, mentre De Florio, Giudetti, Sferra si scambiavano opinioni, giudizi, emozioni con Mara Sarotto e Pino Del Vecchio. Ascoltavo, ripeto, il dialetto di Giudetti, sonoro, autentico, e mi dicevo fortunato ad avere avuto i natali in questa città, in via Nettuno, alle Tre Carrare, quartiere popolare pulsante di voci, di echi, di strilli, di richiami, di gente disponibile, cordiale, ospitale, anche se a volte un po’ chiassosa, ma sempre amabile, come tutta la gente di Taranto. I miei ricordi andavano a viale Venezia, oggi Magna Grecia, nei miei vent’anni cosparsa di solo verde, con una sola costruzione: una clinica. Ci andavo ogni giorno alle 14 imprigionato sul telaio della bicicletta guidata da un amico patito del pedale.
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Libro di Sferra |
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