IL PREMIO ‘ASTERISCO’ COME ONORE AL MERITO
Martino Montanaro |
Martino è il titolare del forno che porta il nome del Santo che tagliò il suo mantello in due per donarne un pezzo a un povero infreddolito trovato per strada
Franco Presicci
A volte, mettendo in tavola il pane, mi capita di pensare alla fatica dell’artigiano che già la notte ha le mani fra gli ingredienti per la lavorazione della farina; e anche alla sua storia, al sudore del contadino, al grano, al mulino, alla macina... alle rivolte che il prezzo di questo alimento ha provocato (come nelle pagine del Manzoni), penso alle sue origini antichissime; alle tante opere d’arte che ha ispirato, alla sua presenza nelle mense dei poveri.
In ogni scenografia sacra uno spazio è riservato al fornaio e al forno, alla sua fiamma. Il pane è il simbolo della vita, è nutrimento indispensabile. “Questo è il pane che è disceso dal cielo…”, si dice nel Vangelo di Giovanni. “Questo è il mio corpo che è dato per voi”, in quello di Luca. Mosè, prima della fuga in Egitto, raccomandò al suo popolo di rifornirsi di pane non lievitato, che dura di più.
Il pane |
In ogni scenografia sacra uno spazio è riservato al fornaio e al forno, alla sua fiamma. Il pane è il simbolo della vita, è nutrimento indispensabile. “Questo è il pane che è disceso dal cielo…”, si dice nel Vangelo di Giovanni. “Questo è il mio corpo che è dato per voi”, in quello di Luca. Mosè, prima della fuga in Egitto, raccomandò al suo popolo di rifornirsi di pane non lievitato, che dura di più.
Al pane sono legate storia e leggenda. Per la prima, la sua nascita avvenne sul Nilo; per l’altra fu il risultato di un dispetto: una domestica rovesciò nel composto di acqua e farina ciò che rimaneva della fattura della birra, per vendetta contro la padrona. Tante le leggende e i modi di dire, i riti e le abitudini che hanno accompagnato la vicenda del pane. Il passare del tempo li ha fatti dimenticare. Non l’intelligenza e la capacità creativa del fornaio.
Per questo ho accolto con piacere la notizia del Premio “Asterisco” assegnato a Martina Franca a Martino Montanaro, che ha attraversato la storia della panificazione e svolge questo lavoro con tutto l’impegno e la passione possibile. Martino, nella città dei trulli e del Festival della Valle d’Itria, una delle più intramontabili meraviglie della natura, è il titolare del forno intestato al Santo che tagliò a metà il suo mantello per darne un pezzo ad un povero infreddolito. Un esercizio noto e molto frequentato, dove “porta avanti la grande tradizione dei prodotti da forno e confeziona ogni notte tante prelibatezze conosciute in tutto il mondo”, come dice la motivazione della giuria.
L'attestato del premio |
Il riconoscimento gli è stato consegnato in municipio, fra gli applausi di un pubblico numeroso. Avrei voluto esserci, per la stima che ho di Martino e perché sono attratto dalle iniziative in onore del lavoro. Martino è una persona schietta, attiva nella categoria da moltissimi anni, con grande competenza e passione; e conosco il Forno san Martino fin da quando diffondeva i suoi odori in fondo alla discesa che costeggia lo stabile che lo ospita oggi: in via Mercadante, che inizia il suo percorso dalla rotonda di San Francesco per fermarsi in via Taranto, all’altezza del Bar Adua. Sono affezionato a questo forno, dove mio zio Dionigi acquistava il pane o lo faceva acquistare da qualche amico che andava in bicicletta o in vespa in città. E doveva essere a forma di trullo. Era ottimo, quel pane. Lo preferiva tutta la famiglia.
Avevo 12 anni, quando cominciai ad assaporarlo. A quell’età già ero innestato sul Chiancaro, nelle giornate d’estate e nella casa incappucciata dello zio canonico, che ci veniva ogni giorno, a piedi, con indosso la sua tonaca meno brillante e con l’aiuto del bastone. Anche lui amava il pane del forno San Martino. E siccome lo bombardavamo di domande, dopo che aveva assaporato i fichi “recotte” dell’albero ad ombrello che stava a due passi, poco oltre il muretto del piazzale, spesso ci dava lezioni di vita. Un mezzogiorno ci descrisse i forni antichi, fatti con pietre e altro materiale: e gli statuti comunali che imponevano “ai fornai e alle fornaie” le regole da osservare per fare dell’ottimo pane.
Martino Montanaro e Michele Marraffa |
Il nostro era sulla destra del cancello di ingresso e la nonna v’infornava le pizze. Aveva le mani d’oro, la nonna, ed era molto affezionata a quel fratello, che diceva messa nella Basilica di San Martino e in alcune chiese di campagna, che sopravvivono in ottimo stato. Come la chiesa della Madonna della Consolata, sulla vecchia strada per Noci, curata a turno dalle donne della contrada, compresa Angela Argese, devota e generosa.
Tornando a Martino Montanaro, l’ho incontrato un paio d’anni fa nel suo luogo di lavoro, trovandolo indaffaratissimo. Ma, cortese, com’è, piuttosto che salutarmi sbrigativamente, affidò la distribuzione del pane ai vari negozi al cognato, comparso all’improvviso.
Chiamai Francesco Lenoci, docente all’Università Cattolica di Milano, scrittore e narratore girovago dei mille valori del nostro Paese. Veniva da Bari con l’amico Enzo Rocca, già vicedirettore generale di un istituto di credito ed eccellente fotografo. La visita fu esaltante anche per Francesco, che aveva tenuto tre conferenze sul pane: a Laterza, ad Altamura, a Matera.
Francesco Lenoci |
Chiamai Francesco Lenoci, docente all’Università Cattolica di Milano, scrittore e narratore girovago dei mille valori del nostro Paese. Veniva da Bari con l’amico Enzo Rocca, già vicedirettore generale di un istituto di credito ed eccellente fotografo. La visita fu esaltante anche per Francesco, che aveva tenuto tre conferenze sul pane: a Laterza, ad Altamura, a Matera.
Francesco parlò a lungo con Martino, sedotto dalla sua storia fatta di sacrifici, tenacia, bravura. Io ascoltavo, interessato agli sviluppi tecnici della lavorazione del pane. Mi colpiva la figura di questo lavoratore infaticabile che dialogava spedito, senza interrompere, facendo domande opportune e fornendo notizie utilissime che affascinavano Lenoci.
Poi lui mi parlò della sua famiglia, del padre; e io della mia, che a suo tempo era stata sfollata a Martina per paura delle bombe che martoriavano Taranto. Sentivamo i “tuoni” e piombavamo sul piazzale. Erano invece gli ordigni che cadevano a pioggia sulla Bimare, infiammando l’orizzonte. Martino forse non era ancora nato e di quei giorni sa ciò che ha letto e gli hanno raccontato i vecchi, custodi di una memoria difficile da demolire.
Il pane a trullo |
Martino gradì la nostra visita e il giorno dopo mi fece avere in campagna un pane a trullo. Fatto soltanto per me, perché quella forma fa ormai parte come altre cose dei ricordi. Anche le sagome del pane hanno un’origine, una vita, una fine. Le idee germogliano e appassiscono, come i fiori. Alla vista del pane a trullo nella mia mente si è srotolata una pellicola: come seduto in poltrona, in prima fila, sfilarono Ciccillo, Marusaria, Giovanni, le nipoti Lina, Graziella, Maria, Pierino; e anche Martino, il papà di Francesco Lenoci: maestro di sartoria, artista dell’abito, conosciuto in anni meno lontani. I ricordi di Martina sono tanti, e tanti i personaggi incisi nel mio personale albo d’oro. Tanti anche gli incontri fugaci che hanno lasciato il segno, e i luoghi, le cose. Oggi vado per tratturi, mi fermo davanti a una chiesetta e penso a don Martino, ai Romanelli, che avevano i trulli sul lato destro di quelli di don Martino, al boschetto di fronte, al campo di miglio di quando ero giamburrasca… Ricordo l’uccellanda che il papà di Adriana e Antonietta aveva fatto costruire con rami, rametti e qualche piccolo tronco.
Il pane di Martino |
Il pane? Sì, ho fatto una deviazione: la memoria è vasta e care le cose che ho da dire. Sono quasi ottant’anni che vado a Martina, dove mi sono avvicinato a persone buone e brave, che mi hanno tenuto a cena o a pranzo, parlandomi di odori e sapori, di bellezze nascoste, di itinerari suggestivi da scoprire, di passi da fare nel bosco delle Pianelle, di masserie da visitare... E del pane, che qui, sarà l’acqua, la legna, il clima, certo l’eccellenza delle mani e del cuore di chi impasta e inforna, ha un sapore diverso, più godibile, più allettante. E ogni singolo pezzo di quello del forno San Martino ha per me un gusto particolare. Non lo spezzo, come mi ha insegnato don Martino Calianno.
E Francesco Lenoci, che in una delle sue conferenze elencò alcune norme a proposito del pane: non si prende mai con la mano sinistra, che è la mano del diavolo; se va a terra, lo si riprende baciandolo; a tavola non si mette mai a faccia in giù; non lo si usa per giocare… Per tagliarlo uso il coltello, non lo spezzo, per non spezzare i ricordi. Me ne ha rinverditi tanti, Martino Montanaro! Dimenticavo, Con lui ha ricevuto il premio “Asterisco” anche un altro Martino, Ruggieri, chef stellato con un ristorante a Parigi.
Martino, Presicci e Lenoci |
E Francesco Lenoci, che in una delle sue conferenze elencò alcune norme a proposito del pane: non si prende mai con la mano sinistra, che è la mano del diavolo; se va a terra, lo si riprende baciandolo; a tavola non si mette mai a faccia in giù; non lo si usa per giocare… Per tagliarlo uso il coltello, non lo spezzo, per non spezzare i ricordi. Me ne ha rinverditi tanti, Martino Montanaro! Dimenticavo, Con lui ha ricevuto il premio “Asterisco” anche un altro Martino, Ruggieri, chef stellato con un ristorante a Parigi.
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