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mercoledì 7 febbraio 2024

Si è spento il giornalista Enzo Catania

 UN LEONE CHE RUGGIVA NON MOLLANDO LA PREDA




Enzo Catania
La notizia per lui era sacra e
sapeva cercarla e irrorarla,
accogliendola con onore e
gloria. Un grande cronista
che conquistò la poltrona
di direttore.













Franco Presicci



E se n’è andato anche Enzo Catania: prima cronista, poi capocronista, poi inviato speciale ed editorialista e poi direttore del quotidiano “Il Giorno”. Giornalista di grande bravura, di un’attività straordinaria. Per molti un mito. Oltre a stimarlo gli volevamo bene. La passione, enorme, per il mestiere lo portava a volte ad essere irrequieto, ad alzare la voce e a grugnire, ma subito si sbolliva e sorrideva. Era un personaggio. Fiutava la notizia in un baleno, e le faceva di tutte per catturarla, facendole largo nella pagina già pronta per la rotativa. La notizia per lui era sacra e la celebrava solennemente. Appena seppe dal valentissimo Nino Gorio che un quadro scomparso a Milano era riapparso in Francia, chiamò la segreteria e le fece prenotare subito un volo per Parigi. E quell’anno Nino Gorio vinse il Premio Cronista dell’anno di Senigaglia, dove lui andò per partecipare alla cerimonia di consegna.
Tutta cronaca del Giorno

La cronaca era nel suo cuore: Ovunque si trovasse lodava le imprese di Lotito, Guaiti, Basso, De Barberis, Rizza, Gadda… All’arrivo di uno “scoop,” gioiva, si scatenava. Scendeva giù dal quarto al secondo piano e prima di bussare alla porta del direttore, Afeltra o Zucconi o Rizzi, annunciava urlando il nome dell’autore. Urlava spesso, quando era contento e quando era arrabbiato. Era travolgente. Litigava con un cronista e dopo cinque minuti gli batteva una mano sulla spalla, invitandolo al bar dell’angolo. Una notte se la prese con me e dopo la sfuriata mi chiese di andare a prendere uno zibibbo insieme come vecchi amici.
Era un vulcano: non camminava, correva; non parlava, gridava. Ma era generoso, disponibile. Se un cronista non si risparmiava, passando decine di ore al giornale, di giorno e di notte, oltre che nelle feste comandate, lo poneva su un piedistallo. “E’ sempre sulla notizia, passa più tempo sul campo che a casa: non so come la moglie stia ancora con lui”, diceva di un mastino. Era entusiasta del suo lavoro. Il pomeriggio del mercoledì, verso le 4, chiamava l’autista e si faceva portare a Legnano, ad Antennatre Lombardia (noi per quella tv confezionavamo il telegiornale), dove conduceva una trasmissione: “Parliamone adesso”. Al termine volava al giornale, facendo dell’autista un pilota d’aereo. Era un fulmine. Se andava a cenare a casa, a mezzanotte era nuovamente alla sua scrivania.
Catania al centro tra questori e prefetti

Quando seppi dall’Interpol che la giovane americana accusata dell’omicidio del figlio del re delle scuderie era stata arrestata a Zurigo, non mi fece finire di parlare: chiamò la segreteria di redazione e fece prenotare un posto in aereo. Ero seduto accanto a un amico titolare dell’indagine, che inaugurò felicemente il mio taccuino; e mezz’ora dopo l’atterraggio ero già davanti all’”Emme dieci”, il computer che usavamo allora quando eravamo fuori. Feci il viaggio di ritorno in treno, nel vagone riservato ai poliziotti e alla ragazza estradata e lui già mi aveva detto di scrivere cento righe su quel viaggio.
Era una grande soddisfazione lavorare con lui: “Etna”, nomignolo ispirato dal suo carattere. Un giorno a tavola, scherzando, gli rivelai che ero stato io ad appiccicargli quell’etichetta e lui non commentò, continuando ad infilzare gli spaghetti al sugo. Era un bersagliere, e mi pare che il servizio militare lo avesse fatto proprio in quel corpo. Forse per questo aveva il passo svelto.
Gli volevo bene come a un fratello. Una domenica piombò verso la mia scrivania: “Ho saputo da un amico del Quirinale che Pertini è a Milano. Voglio un grosso pezzo!”. “Enzo, siamo a Milano ed è quasi mezzogiorno”. “Ti spaventi?”. “Be’, sì, ad essere sincero”.
Il Palazzo del Giorno in via Fava

L’incarico mi solleticava. Chiamai l’autista e il fotografo e via. E siccome c’è un santo in Paradiso che protegge i giornalisti o, se preferite, la fortuna, arrivati da via Fava (dove era allora la nostra sede) a piazza della Scala, intercettai il sindaco Carlo Tognoli che andava verso Palazzo Marino. “Carlo, ti supplico, so che sei stato con Pertini, dammi qualche prelibatezza”. Avevo bluffato, ma quella pasta d’uomo mi fornì il mangime che desideravo, compreso il nome del ristorante, in cui il Presidente era andato a pranzare. ”Aspettalo all’uscita: non gradisce essere intervistato quando mangia”. Rientrai al giornale e i baffi e la barba di Catania ebbero un fremito e la sua voce la sentirono fino al settimo piano.
Mi voleva bene anche lui. Una volta sola mi investì con la sua furia. Fu in occasione di un assassinio a Figino. Un collega aveva ostacolato il canale che portava le notizie in tempo reale, e io seppi due ore dopo del fatto di sangue. Mi precipitai, feci la mia mietitura; poi sotto una pioggia torrenziale, un amico poliziotto mi guidò all’abitazione del presunto assassino, una roulotte in aperta campagna, e andammo a curiosare affondando i piedi nel fango. Catania mi aveva chiamato più volte sull’auto perché doveva fare il titolo ed erano già le ventitrè. Tornato nell’abitacolo urlò al telefono senza darmi il tempo di spiegare. Abbaiai come Zanna Bianca. Ma in redazione lo trovai placato e sorridente come un frate cappuccino.
Era nato a San Teodoro, nel parco dei Nebrodi, in provincia di Messina. All’età di 21 era approdato a Milano dopo essere stato caporedattore alla redazione romana di “Tempo IIlustrato”, un prestigioso settimanale, che allora aveva come direttore Nicola Cattedra. Catania si distinse soprattutto per le sue coraggiose inchieste sulla mafia. Al “Giorno”, dove aveva cominciato da cronista, scrisse tanto di Cosa nostra, da far dire a Enzo Biagi che Enzo Catania era un mafiologo di lungo corso. Ha scritto, oltre a una “Storia della mafia”, tanti libri su Craxi, sull’Inter. Ricordo “Sono innocente” con Guglielmo Zucconi, presentato a Mediaset presente il mitico professor Domenico Pisapia; e i suoi gialli.
Era assiduo alle feste a casa mia, a carnevale e alla cena con Ottavia Piccolo, che stava per interpretare in televisione uno sceneggiato sul Naviglio Grande, e mentre gustavamo le orecchiette fatte da mia moglie Irene, mi incaricò di scrivere una pagina sull’evento.
Catania, Ottavia Piccolo e Lotito

Mi fece incontrare Ettore Andenna, conduttore di programmi ad Antennatrè, Walter Chiari, dopo una sua disavventura, il cibernetico Silvio Ceccato e altre personalità. incoraggiò la mia idea di trascorrere una notte all’Albergo popolare; e l’altra su un’ambulanza; e le titolò personalmente: “La stazione dei disperati”; ”Le notti in bianco del cronista”. E gli interventi di Piero Lotito, tra i quali la rapina con sequestro di persona al Banco di Roma durata un pomeriggio e metà del giorno successivo, con le famiglie degli ostaggi che trepidavano in un locale al pianoterra dello stesso edificio? Quella volta si presentò in piazza degli Affari, teatro di quell’impresa criminale, e si fermò a conversare a lungo con Arnaldo Giuliani, prossimo a diventare capocronista de “Il Corriere della sera”, tenendo l’orecchio teso a un’eventuale voce del vento. Fu spinto dall’amore del mestiere, che non si è mai spenta.
Catania e Serra

Lo si capiva anche da come si esaltava quando in redazione piombava la notizia di un fatto clamoroso, come quando dalle parti di Vialba si rovesciò un camion con elementi chimici velenosi o quell’altra volta del furioso incendio che mise in pericolo un intero quartiere, che fu sul punto di essere evacuato. Mandò sul posto mezza cronaca, Basso, Lotito… e anche Andrea Marini, che si occupava di sindacato. All’avvenimento dedicò una pagina intera.
Grandissimo Enzo. Sempre elegante, sapeva essere anche spiritoso. Ho davanti agli occhi una foto in cui è ritratto a dorso di mulo sull’Aspromonte, forse alla ricerca di un latitante da intervistare, non pensando che poteva essere preso a fucilate. Quella immagine è forse di Uliano Lukas, un bravissimo fotografo amico suo.
Tra i suoi libri c’è anche la storia dell’Inter, la squadra che lo aveva come difensore e attaccante nei dibattiti a Telelombardia (viva la metafora), dove incantava i fans. Quando, colpito dall’ictus, fu costretto a ritirarsi, Telelombardia gli chiese di tornare… in campo, disposta anche a mandargli la telecamera e gli operatori a casa, ma lui si rifiutò. Il leone Enzo Catania non ruggiva più.
Palazzo dell'Informazione in piazza Cavour

Ho ripreso in mano un suo giallo. Prima di aprirlo, hanno cominciato a fluire tanti ricordi di questo grande cronista devoto della notizia, celebrante della notizia, corridore mai stanco, bersagliere e maratoneta. Il motore della cronaca con lui si oleava continuamente; Enzo faceva in modo che i cronisti lavorassero divertendosi.
Quanti ricordi custodisco nel mio cassetto. Quella sera a mezzanotte, quando entrai con il fotografo Lorenzo Pizzamiglio al Policlinico, per assistere a due espianti e a un trapianto di rene, non la dimenticherò mai. L’anestesista mi domandò: “Lei è sicuro di resistere agli interventi?”. “Penso di sì”. Ciononostante ci pensarono un po’ prima di mettermi sotto i piedi uno sgabello perché vedessi meglio il lavoro dei chirurghi. Anche quella volta lui credette in me. Non potevo deluderlo neppure in quel caso. Come lui non ha mai deluso gli altri cani da tartufo.

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