I RACCONTI DEL MARESCIALLO RAFFAELE TODISCO DETTO “DRAGO”
Raffaele Todisco |
Una vita vissuta tra pedinamenti, indagini complicate, inseguimenti a 140 chilometri all’ora, intercettazioni telefoniche, arresti a volte in flagranza. Così è la vita di un uomo appartenente all’Arma dei carabinieri, nato a Napoli 65 anni fa.
Franco Presicci
“Un brigadiere dei carabinieri? Bah, che cultura può avere”. L’ho sentito dire tante volte.”Un tempo nell’Arma arrivavano dopo aver lasciato la terra”. Come se quello del contadino non fosse un lavoro nobile e chi cura le zolle non possa farsi un avvenire diverso, con meno incertezze economiche. Ho spesso replicato a queste persone ottuse, ribadendo la mia amicizia con il metronotte che presidiava il mio giornale, “Il Giorno”, bravissima persona che andando in pensione mi fece dono di un suo libro ciclostilato sulla propria esperienza di partigiano.
Maresciallo Todisco |
Non ho mai dato molta importanza al percorso scolastico, avendo conosciuto persone senza titolo con un bagaglio culturale di tutto rispetto e qualche laureato all’oscuro della battaglia di Canne, (ah, quel 16 agosto 216 a C, che botta per l’esercito romano!) e di qualunque momento della navigazione dei nostri governi dai primi del ‘900 a oggi. Conversando sere fa proprio con un brigadiere dell’Arma, poi promosso maresciallo, ho avuto l’ennesima prova della validità della mia opinione. Il mio interlocutore: Raffaele Todisco, 65 anni, napoletano di Mergellina, nel quartiere Chiaia, dove sconfinano i sospiri di Piedigrotta (ricordo il Festival della canzone, al quale partecipò anche Giuseppe Marotta, partenopeo prestato a Milano, scrittore, critico cinematografico de “L’Europeo” e del “Corriere”: tra i suoi libri “Mal di Galleria”, “Le milanesi”, “L’oro di Napoli”, “Gli alunni del sole”…).
Di libri ne ha letti tanti, Todisco. Soprattutto di storia. E può spaziare da Lepanto a Porta Pia; da Scipione l’Africano a Cavour; dal valore della paura alle vicende della sua città, alle strategie del governo. L’ho ascoltato con piacere e interesse anche quando scivolava nel suo dialetto, che affascina con le sue armonie ed evoca Eduardo, Totò, Nino Taranto, Pasquariello, D’Annunzio, che scrisse il testo della canzone “’A vucchella”, seduto a un tavolo del “Gambrinus” della città del Vesuvio, uno dei locali storici più famosi d’Italia, come il Cambio di Torino, il “Boeucc” del capoluogo lombardo, in piazza Belgioioso, 600 anni di vita.
Todisco il primo a sinistra |
Non ho chiesto a Raffaele il suo “iter” scolastico: seguivo i suoi ragionamenti, che spesso condividevo. E’ un uomo da ammirare: tutte le sue letture si sono inserite tra un pedinamento e un inseguimento; un’intercettazione telefonica e un appostamento; un’indagine complessa, lunga, estenuante e un “blitz”. Onore al merito. Quelle letture lo hanno arricchito anche spiritualmente. Todisco è un ottimo conversatore, che parla anche del sole e della luna, non soltanto della complicità dell’astro “notturno”, faro e complice delle serenate e dei palpiti degli innamorati.
Pronto per il blitz |
Lo esorto a ripercorrere la sua vita nell’Arma. Si aspettava la domanda. Lo sa anche lui che un cronista non è tale se non ha quella curiosità che lo induce a ficcare il naso ovunque, e io ho colto l’occasione per rifarmi delle volte in cui trottando tra un posto di polizia e una caserma trovavo difficoltà a intervistare un uomo in divisa. Ma con Todisco, oggi in pensione, non mi sono imbattuto in un muro da bucare. “Fu mio padre, Luigi, ad iniettarmi la passione per l’Arma. Il 2 giugno mi portava alla sfilata delle Forze Armate; il 4 novembre alla visita alle caserme, soprattutto quella dei carabinieri, dove osservavo le uniformi e le piazze d’armi e cominciavo a sognare”. Si vedeva con il cappello con il pennacchio in sella a uno di quei cavalli possenti e solenni, eleganti, abili in ogni movimento, al passo, al galoppo, al trotto, saggiamente allenati e curati. A Milano li possiamo contemplare in Galleria e nelle strade quasi nell’atteggiamento di modelli a una sfilata di moda.
“A 18 anni entrai nell’Arma, alla Scuola Allievi di Roma, molto severa, risultando il tredicesimo su 1500 del corso”. Nel novembre del ‘77 arrivò a Milano, al Nucleo Tribunale della caserma di via Vincenzo Monti, che avrà come comandante il colonnello Antonio Sibillo, oggi generale. Nel ‘79 al Nucleo radiomobile come motociclista e poi come autista, dove rimase dieci anni. Da lì al Nucleo Operativo di via Moscova, squadra antirapine, contribuendo all’incremento del sovraffollamento del carcere di San Vittore.
Todisco in servizio a Milano |
Esempi? “Acciuffammo tre rapinatori presso un ufficio postale, alle 13, quando davanti agli sportelli c’erano lunghe code. Dopo un’indagine durata molto tempo, mandammo al ‘gabbio’ (la cella nel gergo della malandra) una banda di ‘duristi’ che svuotavano i furgoni blindati in tutta Europa. In una rapina alle Poste c’era una donna, convivente di uno della consorteria criminale, in possesso delle chiavi dell’ingresso posteriore, quindi entrarono armi in pugno durante la pausa-pranzo, e, minacciando gli impiegati, arraffarono i soldi e via. Noi, subito avvertiti, ci eravamo appostati, per evitare una sparatoria tra la folla li seguimmo fino all’auto, una cilindrata molto potente, straniera, rubata, e li circondammo”. Paura? “Sì, altrimenti saremmo incoscienti. Si deve vincere, la paura. Tornando a quella rapina, un quarto elemento riuscì ad allontanarsi, ma lo catturammo una settimana dopo in Veneto”. I nodi vengono sempre al pettine.
Ed ecco l’assalto al furgone blindato della Mondialpol a Segrate, con cinque o sei rapinatori armati di “bazooka”, bottino un miliardo e mezzo. I carabinieri individuarono la banda, la intercettarono telefonicamente per mesi, seguendola fino ai confini con la Svizzera e la mise nel sacco in Francia con l’ausilio dei reparti speciali d’oltralpe. Successivamente toccò ad altri elementi, tra cui anche alcuni calabresi.
Avanti, Raffaele, la narrazione entusiasma. “Ho fatto numerosi inseguimenti a 140 all’ora con moto o auto...”. Parla come se raccontasse delle storie a un nipote davanti al camino la sera di Natale. Storie avvincenti, che aprono il sipario sull’attività frenetica degli uomini dell’Arma, “fedeli nei secoli”. Storie di fuoco e di sangue alleggerite, mai narrate con toni enfatici, con vanto. Possono essere sciorinate anche in un salotto con signore impressionabili. Per carattere Raffaele Todisco rinverdisce i suoi ricordi con levità. E’ moderato anche quando dice di aver conosciuto il capitano Ultimo e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato dalla mafia a Palermo la sera del 3 settembre ‘82 mentre era in auto con la moglie Emanuela Setti Carraro. Per Raffaele e per i suoi colleghi il generale prefetto era un mito.
Todisco ha conosciuto anche i colonnelli Tommaso Vitaliano, Alfonso Martorana, Nobili, Vitale, Fenu, Sibillo, Massolo… tutti promossi generali. “Nell’81 feci parte della scorta al generale Capuzzo, che poi ci volle incontrare per complimentarsi”.
Todisco detto Gatto 9 |
Con Vitaliano, comandante del Nucleo Operativo di Milano (era anche un bravissimo pittore), catturò tra l’altro un latitante di grosso spessore criminale. Come motociclista era soprannominato “Gatto 9”, al Nucleo operativo “Drago”. Dalla centrale lo chiamavano: “Drago! Drago rispondi”. E Drago rispondeva pronto e chiaro: “Drago, presente, all’erta”. Dopo una decina di minuti da una rapina a un ufficio postale periferico, a un semaforo di via Lorenteggio s’imbatterono nei presunti autori del colpo. Quelli si accorsero dei segugi e partirono a razzo con il rosso. I carabinieri non si fecero prendere di sorpresa e la zona si trasformò in un autodromo. Risultato: i banditi, molto pericolosi, con pistole e fucili a canne mozze al seguito, finirono in manette. Operazioni da brivido, come tante iscritte negli annali di Milano.
Stuzzico ancora la memoria di Todisco e la trovo inossidabile. I ricordi fluiscono come nella mia città, la Bimare, l’acqua del fiume Galeso caro a Orazio, a Virgilio e a tanti altri poeti. Avanti ancora, Raffaele. “Anni di indagini per smascherare un clan di camorristi che rosicchiava il ventre di Milano; la cattura di un terrorista arabo “dormiente”; l’arresto in flagranza di un omicida…
Todisco si definisce animale da strada, e nel suo lavoro è stato determinato, duro, inflessibile, infaticabile, divoratore di carte d’archivio, di vecchi verbali per ricostruire un episodio irrisolto, frequentatore della biblioteca Sormani, di ogni luogo in cui poter reperire carte, documenti, chicche. Meritevole di encomi e promozioni per la sua solerzia, il suo attaccamento al lavoro, la sua arditezza.
Che ‘curriculum’, Raffaele!”.Vuoi dirmi, per concludere, che mestiere esercitava tuo padre? “Con mia madre Pasqualina era custode in uno stabile di prestigio ubicato in via Regina Elena, parallela di via Caracciolo, dove nel 1900 erano stati costruiti palazzi per le famiglie della nobiltà napoletana, un quartiere con attori famosi che frequentavano quei bar. Tra questi c’era l’attore Benedetto Casillo, che ha anche girato un film di successo, “Così parlò Bellavista”, regista Luciano De Crescenzo. Era del duo dei ‘Sadici piangenti’ e per breve tempo aveva fatto parte del gruppo ’I gatti del vicolo dei miracoli’. Qualche volta giocava a carte con mio padre”. Ormai ha sturato la bottiglia e i ricordi sono goccioline di “champagne”. Attira, coinvolge quando accenna alle sue origini, alla sua famiglia e alla sua Napoli e alla sua vita sociale: “Amo la compagnia, le serate al ristorante con gli amici, la buona cucina, la “cassoeula”, il mio dialetto e le sue sfumature. Amo dire “’e gguardie”, “’o pazze”, “’o guaglione”, “’a piccirelle”… “E tu? Dimmi almeno una parola del tuo vernacolo”. “’u travàgghie”: il lavoro; “’u carbenìere”. Così la conversazione con Raffaele Todisco, diluita nel mio studio, slitta nel dialetto, caro ad entrambi. Al termine, gli regalo un carabiniere in terracotta con il fischietto, proveniente dal negozio di Maria Matarrese, ad Alberobello: il mio modesto riconoscimento a una vita dedicata al pericolo.
Raffaele Todisco inginocchiato |
Che ‘curriculum’, Raffaele!”.Vuoi dirmi, per concludere, che mestiere esercitava tuo padre? “Con mia madre Pasqualina era custode in uno stabile di prestigio ubicato in via Regina Elena, parallela di via Caracciolo, dove nel 1900 erano stati costruiti palazzi per le famiglie della nobiltà napoletana, un quartiere con attori famosi che frequentavano quei bar. Tra questi c’era l’attore Benedetto Casillo, che ha anche girato un film di successo, “Così parlò Bellavista”, regista Luciano De Crescenzo. Era del duo dei ‘Sadici piangenti’ e per breve tempo aveva fatto parte del gruppo ’I gatti del vicolo dei miracoli’. Qualche volta giocava a carte con mio padre”. Ormai ha sturato la bottiglia e i ricordi sono goccioline di “champagne”. Attira, coinvolge quando accenna alle sue origini, alla sua famiglia e alla sua Napoli e alla sua vita sociale: “Amo la compagnia, le serate al ristorante con gli amici, la buona cucina, la “cassoeula”, il mio dialetto e le sue sfumature. Amo dire “’e gguardie”, “’o pazze”, “’o guaglione”, “’a piccirelle”… “E tu? Dimmi almeno una parola del tuo vernacolo”. “’u travàgghie”: il lavoro; “’u carbenìere”. Così la conversazione con Raffaele Todisco, diluita nel mio studio, slitta nel dialetto, caro ad entrambi. Al termine, gli regalo un carabiniere in terracotta con il fischietto, proveniente dal negozio di Maria Matarrese, ad Alberobello: il mio modesto riconoscimento a una vita dedicata al pericolo.
Todisco il secondo da sinistra |
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