Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 15 maggio 2024

Conversazione con l’ispettore Luigi Negro

I GIORNI TORMENTATI DI MILANO FRA DELITTI, SEQUESTRI, RAPINE

 

A sinistra Luigi Negro
L’ho incontrato dopo più di trent’anni a due passi da casa mia e ci
siamo lasciati prendere dai ricordi di persone, episodi, investigatori che fanno parte della storia della polizia meneghina e dintorni.




FRANCO PRESICCI


Al tempo in cui frequentavo per “Il Giorno” i commissariati di polizia, gli avamposti della lotta alla criminalità, l’ispettore capo Luigi Negro fu uno dei primi “detectives” che incontrai. Allora prestava servizio a Greco Turro, dopo essere stato al quarto distretto, in via Poma. Ebbi l’impressione di trovarmi di fronte a Frank Serpico, il poliziotto italoamericano che mostrò il suo impegno e la sua abilità anche in una vicenda di corruzione nella polizia nuovayorkese: raccolte le prove, presentò la lettera di dimissioni. Era nato a Brooklin nel ‘36 da immigrati italiani, era coraggioso e intraprendente, eroico, tanto da ispirare, nel 1973, un film, regista Sidney Lumet, con protagonista Al Pacino, che con quella pellicola per poco non vinse l’Oscar.
Al centro Negro e il vicequestore Capecelatro
Negro aveva ed ha la stessa barba e gli stessi baffi del collega americano, la stessa determinatezza, la stessa forza, la stessa audacia, lo stesso fiuto. E’ alto, robusto, inflessibile sul lavoro, a volte un tantino brusco, schivo, distaccato. Ma simpatico. Quando andavo a Greco, in zona Niguarda, trovavo Rossi, Giuliani, Santoro ed altri, seduti ciascuno al proprio tavolo, ma lui di rado: era sempre a caccia di malavitosi da mettere al “gabbio”, come il gergo della mala chiama la galera. Lo ammiravo per lo spirito di sacrificio, anche se avaro con il povero cronista avido di notizie. La vecchia volpe adesso, arrivato al traguardo della pensione, vive in una cascina, tra galline che starnazzano e il cane che saltella, abbaia per affetto, giocherella, corre.
L’ho rivisto dopo trent’anni. Tanto è il tempo che è passato dall’ultima volta che andai nel suo commissariato, collocato in una zona riposante, ricca di verde, di villette, di stradine, a pochi passi dal Villaggio dei Giornalisti, a un tiro di schioppo da “Il Giorno”.
Negro vicino la cascina

Negro, come detto, era sempre sulle tracce di rapinatori di banche, latitanti, pellacce convinte di riuscire a farla franca. Ne acciuffò una, all’uscita di un supermercato, e la tenne a freno per una ventina di minuti. “Metti giù la pistola, altrimenti sparo”, diceva, mentre uomini, donne, bambini, terrorizzati, fuggivano o rimanevano impietriti vicino all’ingresso del grande magazzino. L’ispettore usò tutta la sua esperienza, evitando che la situazione degenerasse. Alla fine, gli avventori, tirarono un respiro di sollievo, esplodendo in applausi liberatori. Pur non amando lo spettacolo, il caso gli aveva assegnato il ruolo del temente Sheridan, al secolo Ubaldo Lay, o di qualche altro mastino televisivo o cinematografico.
Ne ha di episodi da raccontare, Luigi Negro, fisicamente una sorta di Bud Spencer che però non ha mai mollato schiaffi, non ha mai fatto volteggiare chi reagiva all’arresto. Non so se ora, vivendo nella sua struttura rurale, in una pace idilliaca, in un silenzio inimmaginabile nel caos della città, gli capiti di meditare sui giorni trascorsi in via Poma o a Greco Turro, quando a Milano si susseguivano i regolamenti di conti, i sequestri di persona, i delitti del terrorismo con code di telefonate alle redazioni dei giornali per il recupero dei volantini lasciati nei cestini portarifiuti. La cascina, un tempo fulcro del lavoro contadino, è un luogo che consente sane letture e passeggiate solitarie o in compagnia, tra alberi e sentieri, fruscii di rami, canti di uccelli e rombi di trattori.
Negro in campagna

Il pensiero non ha soste; e, camminando tra il profumo delle piante, sicuramente, ogni tanto, l’ispettore capo Luigi Negro ricorda almeno qualcuna delle imprese di cui è stato protagonista. Soprattutto quelle pericolose raccontate dai giornali.
Io, pur prossimo all’ultima scadenza, sono rimasto cronista puntiglioso e invadente, curioso e mai soddisfatto; e quale occasione migliore di questa per esplorare nella carriera di un poliziotto che veniva considerato un cane da tartufi. Inflessibile: “Se uno sbaglia, se ha scelto di assaltare le banche o di violare la sacralità di un appartamento, di sfilare un portafoglio da una borsa sul tram o sul metrò, è giusto che paghi”.
Sarebbe stato un ottimo collaboratore per Mario Nardone, a cui la televisione, nel 2010, dedicò una serie televisiva di una decina di puntate con Sergio Assisi nei panni del “Gatto”, come il commissario più famoso d’Italia veniva soprannominato, anche a causa del suo olfatto e dei suoi travestimenti. Tra l’altro arrestò e interrogò Rina Fort per il gravissimo fatto di cronaca nera di via San Gregorio, a Milano, che mobilitò anche la penna di Dino Buzzati.
Luigi Negro non cerca biografi, ma se gli capita d’imbattersi in un cronista che in molta parte della sua vita ha ingoiato polvere e consumato scarpe per guadagnarsi la notizia quotidiana, dopo qualche resistenza, cede. E gli si sciolgono i ricordi. Deve solo scegliere fra quelli più rilevanti. Allora snocciola nomi e cognomi, date, circostanze, storia e caratteristiche e tecniche degli esponenti della malandra che ha spedito in piazza Filangieri.
Ninni

Ha un altro pregio: una buona memoria, di quelle che si definiscono inossidabili, e la utilizza con misura, a seconda dell’interlocutore. E’ intelligente, preparato. Ascoltarlo è un piacere. E’ sintetico, e nelle sue sintesi racchiude tutto. “Arrestai il rapinatore dei parrucchieri, che prendeva di mira i negozi nel centro della città. Era fulmineo, predava denaro anche ai clienti e spariva. Faceva anche due rapine al giorno. Una mattina, verso la mezza, entrò nel salone di via Cristina di Belgioioso, nei pressi di corso Buenos Aires e a due passi dal commissariato Città Studi, razzolò i soldi; mentre usciva una giovane dipendente, impaurita, gli scagliò contro uno scannetto, lui si girò e fece fuoco, colpendo il titolare. Negro si mise sulle sue tracce e lo intercettò in via Meda, e nella successiva perquisizione trovò gioielli strappati alle signore e una pistola. Sul “Giorno” scrisse un bellissimo articolo il collega Enrico Nascimbeni, giornalista e poeta (un suo libro di versi è stato recensito sul “Corriere della Sera” da Roberto Vecchioni), poi cantautore.
Oscuri, Nardone e Caracciolo

Una vita molto movimentata, quella di Luigi Negro. Al suo attivo ha fra l’altro la soluzione di cinque omicidi, compreso quello commesso da una donna sudamericana, che aveva gettato nel Lambro il suo bimbo appena nato. Nel 2008, grazie ad un confidente, individuò il luogo in cui era stato sepolto un tale ucciso sette anni prima (ne aveva parlato anche “Chi lo ha visto”, la trasmissione televisiva condotta da Federica Sciarelli su Rai3). Si dette da fare e con la Squadra Mobile di Milano e quella di Como trovò nel seminterrato di uno stabile nel pressi del capoluogo lombardo il corpo della vittima. Continuando le indagini, emersero i nomi dei due assassini, che avevano compiuto il fattaccio per quattro chili di droga.
Luigi Negro è nato 64 anni fa nel Salento. Entrò in polizia nel ‘78. dopo aver seguito il corso ad Alessandria. Arrivò a Milano e fu assegnato al Reparto Mobile, dove già prestava servizio Filippo Ninni, futuro capo della Squadra Mobile di via Fatebenefratelli. Ninni è di Talsano, cittadina in provincia di Taranto, e la caserma era allora diretta da Aldo Gianni, futuro questore di Bologna. In seguito Negro fu assegnato al Reggimento di piazza Sant’Ambrogio e nell’80 al Quarto Distretto di via Poma, dove per un po’ di tempo fu commissario Antonio Di Pietro, poi protagonista di “Mani Pulite”, e dirigente Vito Plantone, nominato nell’85 questore, prima destinazione Catanzaro, regina tra due mari, lo Jonio e il Tirreno, ricca di centri balneari. Plantone era di Noci, che ha uno dei centri storici più belli della Puglia.
Vito Plantone

Ho domandato a Luigi Negro se abbia nostalgia della sua città natale, inondata dal sole e da tanti colori, ma le risposte erano tante e quella è rimasta intrappolata. Conosco il paesino del Pavese che ha scelto tempo fa e posso dire che anch’io, pur amando la mia “culla”, Taranto, e Martina Franca, la città dei trulli e del Festival, noto e apprezzato nel mondo, una quarantina di anni fa cercai un terreno da quelle parti. Lo trovai su una collina costellata di viti, ma era parecchio inclinato e non consentiva passeggiate agresti che fanno tanto bene alla salute.

Nessun commento:

Posta un commento