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mercoledì 12 giugno 2024

Un angelo in corsia a Nigurda

SUOR CAROLINA TRAPLETTI UNA VITA PER GLI AMMALATI


Suor Carolina Trapletti
Durante la guerra ha salvato tanti artigiani feriti: dopo averli curati fasciava completamente i loro volti dichiarandoli ustionati, allo scopo di renderli irriconoscibili ai nazisti che ispezionavano l’ospedale, dove lei lavorava al pronto soccorso. Quando andò in pensione, dirigenti, medici, infermieri, gente comune, lodarono la sua opera. Ebbe anche l’Ambrogino d’oro.
















Franco Presicci


L'ulivo di Niguarda
A Niguarda lussureggia un ulivo spettacolare. Lo misero a dimora dopo l’ultima guerra i partigiani per ringraziare suor Carolina, al secolo Maria Trapletti e le sue consorelle per l’opera meritoria compiuta nei confronti dei loro compagni feriti: dopo averli curati fasciavano completamente i loro volti, dichiarandoli ustionati, per sottrarli ai controlli dei nazisti; e molti li nascondevano nei piani sottostanti, aiutando quelli che valicavano il muro di cinta per cercare la salvezza attraverso i campi.
L’occasione per ricordare la figura della religiosa ce la offre Loredana Trapletti, sua nipote di primo grado. L’ho incontrata giorni fa nell’ufficio del marito, Nicola Gammone, in via Benefattori dell’Ospedale, una via lunga e larga tagliata dai binari del tram. Qui, al pronto soccorso di Niguarda, suor Carolina prestò per anni la sua opera di caposala, con delicatezza, amore, premura, sacrificio, rispetto per i pazienti. Una suora di carità. “Quando vi avvicinate a chi soffre siate in ordine e cortesi”, ripeteva con quella sua voce dolce e sottile alle infermiere. Aveva il dono della bontà e lo impiegava senza risparmiarsi. “La chiamavano da tutta Milano e anche da fuori, e lei immediatamente provvedeva. Non diceva mai no a nessuno”, dice Loredana commuovendosi, tra una lettura e l’altra di lettere di primari, direttori sanitari, medici, infermieri, gente comune, che la riempivano di lodi e di preghiere per quanto aveva fatto in corsia e non solo.
Loredana Trapletti
Quando decise di andare in una casa di riposo ne parlarono i giornali, esaltandola, raccontandone la storia edificante, fulgida, esemplare. A chi andava a farle visita replicava: “Perché vi scomodate? Io sto bene”. Grandissimo cuore. Nella sua vita non ha mai applicato l’abitudine del “do ut des”, ma il dare senza avere mai nulla in cambio: la carità senza orpelli, il dono che si fa con quel “tacer pudico” suggerita anche da Alessandro Manzoni.
Suor Carolina e le sue consorelle, nei periodi più bui del dopoguerra, si dedicarono dunque con maggiore zelo e misericordia, naturalezza e devozione al lavoro: a Niguarda arrivavano vittime degli ordigni lanciati dagli aerei, gente perseguitata dalla follia razziale e dall’avversione politica, in cerca di un rifugio. “Per vincere l’odio e la guerra tutti i giorni dovrebbero essere vissuti con la memoria, perché soltanto ricordare, parlare può trasmettere ai giovani quanto sia importante la pace”. Già, la pace. Il mondo spera di poterla conquistare e di non vedere più scene di disastri, macerie, morti sulle strade; di non sentire più l’ululato delle sirene, lo schianto degli edifici, delle case inceneriti.
Suor Carolina arrivò in ospedale il 12 ottobre del ‘39”. Aveva 24 anni e fu subito assegnata al pronto soccorso. Lei voleva fare la missionaria, andare nei Paesi più disagiati, afflitti dalla miseria più nera, dalle malattie più gravi, con i bambini, che, scalzi, mangiano con le mani e hanno la scuola a cielo aperto.
Loredana è limpida, efficace, scorrevole nell’illustrare questo cammino quanto mai faticoso. Ha con sé un mucchio di carte e di fotografie; e me le consegna con l’atto di chi ti affida un tesoro. Ed è anche fra questi fogli che esploro la vita di questo angelo che continua a vivere nella memoria di tanti che l’hanno conosciuto personalmente o grazie alle narrazioni dei testimoni diretti. Potrebbe bastare quello che mi ha detto a voce Loredana, mente lucida, memoria inossidabile. Il suo racconto mi ha coinvolto e voglio saperne di più.
Suor Carolina al centro

E divento sempre più avido di particolari. Con emozione li apprendo, e mi dispiace di non averla incontrata, questa suora illuminata e illuminante. Ma ero bambino e vivevo altrove.
Suor Carolina Trapletti venne alla luce il 26 maggio del 1915 in un paese bomboniera della provincia di Bergamo. Quell’agglomerato si chiama Grone, ha oltre 850 abitanti ed è lambito dal fiume Ghenio. La sua era una famiglia contadina che irrorava la terra con il proprio sudore. Le morì presto la mamma e lasciò, oltre a Carolina, due bambini più piccoli da tirar su. Aveva solo 14 anni, la ragazza, quando prese la via per Pietra Ligure, dove l’aspettava l’ospedale “Santa Corona”. Con quello che guadagnava poteva dare una mano al papà. Conobbe le suore di ria Bambina e le si accese una lampadina: questo era il percorso che doveva seguire. Dopo un po’ di anni fece ritorno a casa e confidò ai familiari la sua vocazione. Entrò in convento, abbracciando la regola dell’Ordine fondato a Lovere nel 1922.
Suor Carolina a sinistra

All’età di 23 anni Carolina indossa l’abito. E viene assegnata all’ospedale di Niguarda. Nel ‘44 si ammala di tbc e va in sanatorio; guarisce e rientra nell’ombra della Madonnina, decisa a rimettere in piedi il pronto soccorso danneggiato dal furore del conflitto. Nel ‘59 è la responsabile del personale e la direttrice del convitto infermiere. Ma la carriera non le interessa e neppure il comando. In lei si moltiplicano l’impegno e l’inclinazione al sacrificio. Le infermiere diplomate che da ogni parte del pianeta confluiscono al convitto scoprono in lei una sorgente d’amore e di serenità.
Dopo 65 anni di fatica spesa con grandezza d’animo suor Carolina Trapletti lascia Niguarda. Ha 89 anni. La nipote Rosanna, figlia di Loredana e Nicola, laurea con 110 e lode con la tesi “Risorse per la condivisione della conoscenza in rete: Learning Object”, scrive una breve biografia della zia con sensibilità e scioltezza. I giornali non risparmiano lo spazio: uno titola “La mamma di Niguarda”; “Il Giorno”: “Suor Carolina lascia la Ca’ Granda”; Massimo Pesenti: “Addio a suor Carolina, conforto dei malati”. Roberto Formigoni: “Reverenda Madre, è per me un grande onore e una grande gioia poterLe porgere, nella mia qualità di presidente della Regione Lombardia, il ringraziamento per l’opera di assistenza e di cura dei malati da Lei svolto nel capoluogo lombardo a partire dal 1939”.
Suor Carolina e il presepe

Il 7 dicembre del 2005 il Comune di Milano, sindaco Albertini, le conferisce la medaglia d’oro di benemerenza civile con una motivazione molto importante: “Milano, capitale morale del volontariato, si specchia in suor Carolina Trapletti, 90 anni, ora finalmente a riposo dopo una vita spesa nella dedizione. Ancora lo scorso anno, e fin dal lontano 1939, si è prodigata tra i malati dell’ospedale Niguarda, coniugando in modo impeccabile spirito religioso e attività professionale. In quel luogo di sofferenza molte pene si sono attenuate, grazie al suo lavoro umile, attento, silenzioso”. Leggendo queste parole, a Loredana sgorga una lacrima, contenta e orgogliosa di aver avuto una zia come suor Carolina. Mi mostra una lettera senza firma (sicuramente una infermiera): “Ho vissuto più di quarant’anni con suor Carolina nella comunità di Niguarda. Suor Carolina era direttrice del convitto delle infermiere e molta parte della giornata e anche la notte viveva con loro… era sempre presente nella comunità per la preghiera, per i pasti, per incontri comunitari…”.
Loredana apre una busta: anche quella piena di ritagli di giornali. Ecco “L’Avvenire”, che dà notizia dell’Ambrogino d’oro conferito a suor Carolina, nell’anno in cui lo ha ritirato anche Oriana Fallaci. L’”Eco di Bergamo” (esce nella città del “Papa buono”, Giovanni XXIII, che mandava i baci ai bambini): “L’Ambrogino d’oro” alla suora dei malati… Ora vive a Zogno”.
Suor Carolina riceve l'Ambrogino dal sindaco Albertini

Lei confida a un giornale: “Ho fatto tutto questo per il Signore, che mi ha dato la forza di aiutare gli altri. Quando si aiuta qualcuno è sempre più quello che si riceve di quello che si dà”. Sempre umile, sempre altruista, suor Carolina. E poi: ”Vado a riposarmi a Zogno presso l’infermeria della nostra casa religiosa. Se mi sarà chiesto di lavorare non mi tirerò indietro…”. L’autore dell’articolo, Filippo Poletti, giornalista attento e scrupoloso, raccoglie anche la testimonianza di Pasquale Cannatelli, “attuale direttore del Niguarda”: “Per 65 anni si è dedicata con amore e passione alla cura dei malati, traducendo la sua passione per Cristo in passione per l’uomo”. E’ morta il 6 luglio 2009, alle 7, il giorno di Santa Maria Goretti. 
Qualche giorno e ricorreva il suo compleanno.
Il Niguarda

Quante voci in onore di suor Carolina, quante testimonianze, quanti riconoscimenti. Loredana Trapletti, seduta di fronte a me, vicina alla porta che dà sul cortile con le ringhiere che lo incorniciano e i panni stesi come vessilli, ogni tanto si rivolge a Nicola chiedendogli conferma di quello che dice. In verità lei la vita e l’attività del suo angelo le conosce a memoria. La dovrebbero conoscere tutti quelli che sono interessati solo ad impolpare il conto in banca.

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