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mercoledì 5 giugno 2024

Un uomo mai dimenticato

DINO ABBASCIA’, RE DELLA FRUTTA FU IL PRIMO AD IMPORTARE I KIWI






Ritratto di Abbascià su ceramica
Arrivato a Milano da Bisceglie quando aveva 13 anni, da garzone di fruttivendolo,
solerte e infaticabile, scalino dopo scalino, entrò nei consigli d’amministrazione come presidente. Aprì la “Boutique della frutta” a Porta Nuova e per anni guidò l’Associazione regionale pugliesi. Era un uomo brillante e simpatico.















FRANCO PRESICCI





Lo rivedo, Dino Abbascià, quel giorno di una quindicina di anni fa seduto con me in un ristorante di Porta Romana, di cui conosceva il titolare. Gli feci tante domande: mi interessava conoscere ogni aspetto da riversare in un articolo. E lui si raccontò tra una forchettata e l’altra, con tono basso, com’era suo costume, senza enfasi, accompagnando le parole con sorrisi spontanei.
Dino Abbascià con un bimbo di colore
A Milano aveva avuto una vita difficile, nei primi anni. Aveva lasciato con tanta speranza la sua Bisceglie - di origine medievale – i cui prodotti ortofrutticoli raggiungevano i vari Paesi d’Europa. Bisceglie era la città di don Pasquale Uva, costruttore di opere “degli ultimi fra gli ultimi”, tra cui un ospedale; e in un momento di scoraggiamento Dino scrisse alla mamma, pregandola di cercargli un posto nella struttura del sacerdote. Ma ancor prima che la lettera giungesse a destinazione, impiegando tanta energia, sfoderando tanta voglia di lavorare, uno spiraglio lo trovò da solo, come garzone nel negozio di un fruttivendolo, dove espresse tutte le sue doti: cortesia, solerzia, acume. Nel pomeriggio le persone anziane vi andavano a comperare le mele tocche, così ridotte perché tenute ammucchiate in grandi casse, riducendone il costo: tre chili 100 lire.
Dino serviva e spendeva parole buone e brillanti, acquistandosi la simpatia di tutti. La sua bravura venne riconosciuta e apprezzata, tanto da diventare responsabile del negozio. Aveva 16 anni. E per arrotondare, la sera e la domenica vendeva gelati nel cinema vicino. Qualche volta andava a vedere un film o a prendersi un “cono”, ma mai una spesa straordinaria, per divertimento o tanto per cambiare.
Abbascià e Albano

Ragazzo serio, geniale, ironico, non aveva fatto molti studi: iscritto a scuola un anno prima, aveva concluso quella dell’obbligo. Nato nel ‘42, era salito a Milano nel luglio del ‘55. In gennaio era arrivato come arcivescovo Giovanni Battista Montini. Pioveva. A Palazzo Marino i meneghini andavano a vedere il plastico del progetto del metrò e in ottobre venne inaugurata la “Piccola Scala”. Abbascià andava avanti, si faceva stimare, anche amare: era considerato un esempio. Invitava la gente a gran voce, la serviva con accuratezza e creò una gara fra colleghi: chi vendeva di più si assicurava l’aperitivo.
Ne aveva, di idee, il giovane Abbascià. Decisiva quella di mettersi in proprio. Fece venire a Milano i fratelli, poi i genitori, durante una vacanza nella sua terra conobbe Teresa, archivista romana, e nel ‘69 le infilò l’anello al dito. Aveva aperto la “Boutique della frutta” di fronte all’ospedale Fatebenefratelli, e cominciò a stabilire le basi di un impero. Il nome Abbascià si diffondeva, diventava sempre più importante, ammirato, rispettato, entrava nei consigli di amministrazione, e conquistò la vicepresidenza dell’Unione Commercianti, sede in corso Venezia, e la presidenza in altri. Un figlio della Puglia trapiantato in Lombardia. Parlava senza mai accennare al coraggio, ai sacrifici, all’acume che lo avevano portato scalino dopo scalino a quei livelli.
“Cavaliere, vado con il secondo?” - lo interruppe il cameriere, un giovanotto alto e magro, meridionale con accento barese - “Sì, una crostata, anche per il signore”. L’oste si stagliò dietro la camicia bianca, “papillon” e tovagliolo pendente su un braccio del cameriere e accarezzò la spalla di Dino. “Sei grande, fai onore della Puglia”. Lui sorrise. Il sorriso baluginava sempre sul suo volto. Chi entrava e lo coglieva pensava di trovarsi di fronte all’attore francese Serge Reggiani, nato non a Parigi, ma a Reggio Emilia. “E tu, che dici di te?”. “Di me, niente. Sono io che devo fare il tuo ritratto, ho già in mano la matita”. Lui prese un pezzo di pane pugliese e rimase in silenzio per un paio di minuti: “Quindi devo parlare sempre io?”. “Più parli e meglio è, per me. Io sono avido di notizie, amo conoscere bene le persone che ammiro”.
Dino e Teresa Abbascià

Non si lasciò pregare. Il suo prestigio si è allargato. Fornisce una notevole quantità di ristoranti e alberghi. Uno di questi è l’Hotel Quark, dove spesso organizza le feste per l’Associazione regionale pugliesi di cui è l’amato presidente. Da piazza del Duomo, dove il sodalizio è stato ospitato con la presidenza dell’ottimo Beppe Marzo, funzionario regionale, collezionista di francobolli e di giornali leccesi dell’800, la trasferisce in via Pietro Calvi. Qui le iniziative si susseguono, con la collaborazione di alcuni iscritti: presentazioni di libri, inviti a personalità, mostre di pittura, gite, incontri, autori che leggono le proprie poesie. Un turbinìo d’iniziative Ed ecco il Premio per personaggi e attività pugliesi che si distinguono (Sabrina Soloperto delle donne del vino, Renzo Arbore, Al Bano... ). A consegnarlo, l’avvocatessa Annamaria Bernardini De Pace, presidente onorario dell’Associazione; animatrice delle serate Nicla Pastore, di Studio 100.
Nei giorni vicini a Pasqua o a Natale o a Carnevale suoni e balli, e al suo telefonino a viva voce prorompe sempre l’ugola di Al Bano, suo amico, che lo ha accolto più volte nella sua tenuta di Cellino San Marco. E’ sempre lui, il presidente, a dare tono alle feste; è sempre presente alle riunioni del comitato, suggeritore di programmi, dando ampia libertà di azione a chi abbia voglia d’impegnarsi. Tra i soci, nomi illustri, a cominciare dal vecchio primario dell’ospedale di Castelvetro, Miraglia, tra l’altro autore di imponenti libri sul parto indolore; l’attore Placido, che ha un “curriculum” teatrale e cinematografico di rispetto.
Elio Greco e Francesco Lenoci
Fa tanto per l’Arpugliesi. Accompagna un gruppo a Martina Franca, in occasione di una festa allestita dallo chef di fama internazionale Antonio Marangi e a una visita alla Basilica di San Martino, guidati dal professor Francesco Lenoci, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che è nato in Valle d’Itria ed è vicepresidente della stessa Airp. A Martina visitano il centro storico, dove i vicoli, le case, le ‘nghiòstre, le donne che sferruzzano sulle soglie e conversano spesso con chi passa sono quinte e personaggi teatrali.
Ogni volta che prende la parola nelle assemblee, fra tanti laureati, premette di essere un fruttivendolo (fruttivendolo con tanto di cervello e di cuore). Lo disse anche quando al Circolo della Stampa presentarono un nuovo giornale, “L’Informazione”, il cui proprietario era un pugliese (tra gli interventi, quello di Marcello Veneziani). E lo ridisse anche all’Unione dei Commercianti il pomeriggio in cui fu presentato il libro “Capatoste”, di Beppe Lopez.
I fratelli Dino e Donato Abbascià

Era affabile e generoso. Una mattina al Circolo della Stampa, durante una manifestazione organizzata da Elio Greco, presidente della Fondazione Nuove Proposte di Martina Franca, una vecchietta con una pensione magra gli chiese della frutta; e lui promise che gliel’avrebbe fatta avere nel pomeriggio. Bastò una telefonata al fratello Donato (altra persona esemplare) con il nome e l’indirizzo. Ne faceva tanti, di questi atti di bontà. In Kenya vide un gruppo di bambini a scuola sotto un albero e pensò di costruirne una fatta di muri e soffitto. E in pantaloncini e torso nudo prese frattazzo e cazzuola e si mise all’opera.
L’oste venne a sedersi con noi e seguì il resto della conversazione, aggiungendo brani alla biografia di Abbascià: lo conosceva da tanto tempo e aveva molte cose da dire e le diceva. Poi il discorso scivolò sui vini e sui cibi preferiti dall’illuminato industriale della frutta. Dino intervallava con il racconto della sua Bisceglie, che da pubblicista iscritto all’albo ogni tanto descriveva con accenti di poesia in articoli palpitanti di nostalgia. Mi fece dono di un volume sulla sua città, dicendomi: “Perché tu venga a conoscere il mio paese, a vedere quant’è bello. Magari ci andiamo insieme, entriamo nelle corti, attraversiamo le vie più interessanti, sarà per te un percorso indimenticabile, visto che ami tanto il Sud, come me”.
Abbascià abbraccia Nico Blasi
Un brutto giorno apro Facebook, vado alla pagina di Pino Sorrentino e leggo: “Oggi un grande uomo è morto”. Quell’uomo era Dino Abbascià, che si definiva fruttivendolo e ed era all’altezza delle persone acculturate. Mi commossi. E ricordai la serata pugliese al Rotary Club di Merate, che vide arrivare tutto quello che serviva da Martina Franca, compresi cuochi, camerieri, specialità, tra cui il capocollo, e gli uomini del caseificio Fragnelli, che facevano le mozzarelle e le mandavano subito in tavola, mentre Abbascià abbracciava Nico Blasi, direttore di “Umanesimo della Pietra”, rivista bellissima e interessante che esce in Valle d’Itria da tanti anni e socio onorario di quel Rotary. Un abbraccio fra due pugliesi di stampo autentico.
Dino Abbascià non è stato dimenticato. Non si può dimenticare un uomo come lui. Non soltanto a Bisceglie, dove gli hanno dedicato una scuola e credo il mercato ortofrutticolo. Anche a Milano, che gli deve molto.

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