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mercoledì 9 ottobre 2024

L’ultimo cantastorie a Milano

HA APPESO DEFINITIVAMENTE AL MURO LA SUA CHITARRA





Trincale in paizza Duomo
Milano non ha dimenticato le sue ballate. Ebbe l’Ambrogino
d’oro e tanti altri riconoscimenti, ha inciso 45 giri ed LP, si esibiva in piazza San Babila, il pomeriggio.










FRANCO PRESICCI



Quante volte sono andato ad ascoltarlo all’angolo tra piazza San Babila e corso Vittorio Emanuele, a Milano. Con la chitarra in mano come il Barbapedana, pizzicava le corde della chitarra e cantava.
La folla per Trincale

Schietto, chiaro, polemico, a volte ironico. Era l’ultimo dei cantastorie nel capoluogo lombardo. Alle spalle il cartellone che lui stesso aveva realizzato, denunciava le ingiustizie sociali e tutti gli altri mali che affliggono ancora oggi il mondo, grandi e piccoli. Franco Trincale, menestrello di Militello - il paese di Pippo Baudo - che per vivere un tantino meglio aveva preso in mano il volante di un taxi, e continuava ad esibirsi sempre nello stesso punto. Alcuni si aggruppavano molto prima dell’orario in cui di solito arrivava e rimaneva deluso se per una corsa un po’ più lunga o per il traffico Trincale tardava.
Una domenica pomeriggio ero impegnato su un altro teatro e una collega mi sostituì con il taccuino in mano davanti al menestrello siciliano. Quando rientrò al giornale promise che sarebbe tornata ad applaudirlo. Erano le 16, era andata in quella piazza da dove partono quattro strade e aveva trovato lo spazio vuoto. Avevo chiamato Franco a casa ed ecco la risposta: “Nessun problema, rimetto il bagaglio in macchina e corro”.
Franco Trincale a casa

A Milano lo conoscevano bene e il suo nome era sulla bocca di tutti. Di giovani e anziani. Qualcuno domanda: “Trincale? Dov’è finito Trincale?” E giù a ricordare la sua bravura, la sua capacità di raccontare. Lo avevo ascoltato tanti anni prima al festival dei cantastorie di Monticello d’Ongina, un paese di oltre 5mila abitanti quasi bagnato dal Po, presso Piacenza, e lo avevo apprezzato molto, dedicandogli un articolo sull’autorevole quotidiano “L’Italia”, che aveva la sede in piazza Duca d’Aosta, di fronte alla stazione centrale.
Serio, puntuale, amabile, una coppola a coprirgli quel po’ di calvizie, poteva cantare per ore senza che il pubblico si annoiasse. Dopo qualche anno l’ho ascoltato in piazza Duomo, di fronte a Palazzo Reale e anche lì fece la sua mietitura di consensi, mentre i colombi si tenevano lontani dalla scena e beccavano nell’altra sponda della piazza. Bella, quella piazza, enorme, con il monumento equestre. Ha accolto malumori, urli dai palchi dei comizianti, cortei, processioni, celebrazioni, esaltazioni per la vitoria del Milan o dell’Inter, preghiere collettive, discorsi del cardinale, le proteste e il presepe mobile e l’albero a Natale. E le ballate di Franco Trincale. Che ha attraversato brutti periodi, risollevandosi con la legge Bacchelli. Oggi si è ritirato in una struttura assieme alla moglie, che non sta bene, a Baggio. Vive in una stanza dignitosa, ordinata, dove dalle pareti occhieggiano i ricordi di una vita. “Sono poche cose, anzi pochissime, il resto è raccolto nel museo di Militello, il mio paese”. Dove lo adorano e dove scrosciarono applausi interminabili durante un suo concerto.
Trincale con la moglie

Lo incontrai l’ultima volta in una fotocopisteria di via Lorenteggio e mi fece festa. Strano. Lo credevo un musone, un orso, e invece poteva capitare che ti battesse la mano sulla spalla e ti regalasse un sorriso aperto come una porta spalancata. Ad un Natale mi mandò un suo disegno, dove dalla firma si sviluppava un volto. Che fantasia! Bravo anche in quell’arte. Ha una matita decisa, sicura, senza soluzione di continuità. Schizza volti e paesaggi. Adesso canta non brani di protesta, ma di poesia, sottovoce, quasi sussurrati, per la moglie, che non sta bene. Un amore duraturo e profondo.
Trincale salì a Milano nel dopoguerra e cominciò i suoi spettacoli sotto il Duomo, nel ‘92 si trasferì in piazza San Babila. Negli anni ‘70 ha cantato davanti ai cancelli delle fabbriche per gli operai in sciopero, ispirandosi sempre alla realtà quotidiana, ai fatti di cronaca. Durante la sua attività ha ricevuto tanti riconoscimenti. Nel ‘67 e nel ‘68 fu consacrato “Trovatore d’Italia”, alla Sagra dei cantastorie dell’Associazione della categoria; nel 2008 gli venne consegnato l’Ambrogino d’oro, ambito da molti.
Il suo palcoscenico, dunque, piazza San Babila, dove zampilla una fontana artistica e accende le sue luci l’omonimo teatro, dove Ernesto Calindri recitò fra l’altro “Uno sporco egoista” e il mio collega e scrittore Piero Lotito disegnò efficacemente Edoardo De Filippo, seduto davanti a lui. Quando mostrò il lavoro riconobbi subito l’autore di “Natale in casa Cupiello” e di tantissime altre opere teatrali, nonostante fosse ripreso di spalle.
Trincale in piazza

Mi vengono in mente altri cantastorie siciliani, prima di tutti Ciccio Busacca. Alcuni andavano di strada in strada e di paese e paese, ambulanti come i vecchi mestieri, dall’arrotino all’ombrellaio, mentre il caldarrostaio non si muove mai dal punto prescelto. Alcuni cantastorie si rifacevano a testi tramandati dagli antichi che rielaboravano a seconda della propria inventiva. Altri raccontavano l’amore. Trincale no, i suoi argomenti erano altri: stava sempre dalla parte dei poveri, degli ultimi, di chi doveva faticare per guadagnarsi da vivere, di chi non riusciva a tirare fino alla coda del mese. Era un menestrello stanziale, che si ritirò quando la sua barba diventò del tutto bianca.
Trincale ama Militello, ma anche Milano, che apprezza il lavoro e la fatica. Un giorno gli ho domandato: “Tu hai capito perché i meneghini vanno sempre d fretta? Sembra che debbano conquistare un record o riscuotere una vincita al totocalcio o debbano prendere un treno”. “Non lo so, ti assicuro che non lo so, ma la cosa non mi crea problemi, Ognuno va come vuole”. E sorrise. Ormai corriamo anche noi, che veniamo da luoghi in cui i passi sono lenti: paesi del sole, della luce, dei colori squillanti come quelli dei fischietti in terracotta che si fabbricano a Grottaglie e a Rutigliano.
Trincale in piazza Duomo

Vorrei tanto sentirle ancora le cantate di Franco Trincale, ma se si è rifugiato nella Rsa di Baggio vuol dire che ha appeso al muro per sempre la chitarra. E ha arrotolato i cartelloni. Ma lui è iscritto nell’albo d’oro della città, e non solo in questa. Chi può escludere dalla memoria il menestrello venuto da Militello, il paese delle chiese e dei monumenti, quasi 7mila abitanti e sede della Sagra del ficodindia (ogni paese ha la sua sagra: a Crispiano, in terra di Taranto, va in scena quella del peperoncino piccante e a Rutigliano, Bari, quella del fischietto in terracotta, manufatti spesso d’arte che riproducono Benigni, De Sica, Fabrizi ed altrie figure, compresi il farmacista, il vigile urbano, il netturbino, il maresciallo dei carabinieri, chissà perché raffigurato sempre con espressione burbera e le braccia poste come i manici delle giare. Non mi meraviglierei se su uno scaffale di Maria Matarrese ad Alberobello m’imbattessi in un Franco Trincale plasmato nell’argilla.
Franco Trincale ha 88 anni, classe 1936. A vent’anni fece il servizio militare in marina ed era fidanzato con una bellissima ragazza diventata sua moglie. Chissà se da ragazzo già pensava di appostarsi sulla strada per narrare le ferite del pianeta.
Trincale all'opera

Certo oggi non può più tirare il carrello con su il fagotto di scena, ma forse nella struttura di Baggio gli consentiranno almeno qualche volta di fare il Barbapedana, il progenitore dei cantastorie milanesi, l’attore Enrico Molaschi, morto nel 1910, che, con un cappello che richiamava “el barchett de Boffalora” e una zimarra cantava, anche lui con la chitarra, ballate e filastrocche (“El Barbapedana el gh’aveva on gilè/ senza ed denanz cond via ed dedrè/ cont i oggioeu long ona spana/ l’era el gil del Barbapedama…”). Abitava in un piccolo vicolo di Porta Tosa, faceva la spola tra osteria e osteria e interpretava antichi brani popolari che egli stesso aveva scoperto e rimaneggiato. Un altro menestrello milanese fu Giuseppe Beccali, famoso e molto applaudito. Si ispirava a eventi disastrosi, terremoti, risvegli di vulcani…
Tornando a Trincale, nel ‘69 incise tre dischi sulla scomparsa di Ermanno Lavorini a Viareggio, che fece parlare i giornali per mesi. Dodici anni, Ermanno sparì mentre cavalcava la sua bicicletta e fu ritrovato il 12 marzo ‘69 sulla spiaggia di Marina di Vecchiano. Alle ricerche contribuirono anche alcuni veggenti stranieri. Uno diceva di vedere sabbia e alberi. Nei suoi versi Franco Trincale, definito l’ultimo cantastorie, esortava i rapitori a restituire il ragazzo alla sua mamma. Grande Trincale, prima o poi riascolterò i suoi testi.

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