EDOARDO RASPELLI “DETECTIVE” IN CUCINA
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Edoardo Raspelli |
Cominciò lavorando come giornalista professionista al “Corriere d’Informazione”, rivelandosi cronista di razza in occasione del feroce delitto della giovane Simonetta Ferrero all’Università Cattolica, nel luglio ‘71.
FRANCO PRESICCI
Conosco Edoardo Raspelli da una cinquantina d’anni. Da quando faceva il giornalista al “Corriere d’Informazione”, il quotidiano del pomeriggio del “Corsera”, entrambi in via Solferino.
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Edoardo Raspelli intervistato |
Era un giovane sveglio, schietto, preparato. Era ancora iscritto all’Università Statale di Milano, in via Festa del Perdono, di fronte alla Libreria di Aldo Cortina, che era stato come pittore allievo di De Pisis e aveva lo studio in vicolo dei Lavandai, dove riceveva personaggi di rilievo, tra cui Bettino Craxi. Seguivo il lavoro di Raspelli sujl giornale che fu diretto da Gaetano Afeltra, poi da Cesare Lanza, che proveniva dal “Secolo XIX” di Genova… dove già manifestava il suo talento, come mi disse una sera in un ristorante genovese Adriano Bet, capo ufficio stampa della Società di navigazione “Italia”, a cui appartenevano le regine del mare “Raffaello” e “Michelangelo”.
Di talento, eccome, ne aveva anche Edoardo, che, esortato dallo stesso Lanza, che poi passò al “Giorno” di via Fava, cominciò ad esplorare i ristoranti. Entrava, si sedeva a tavola, ordinava e poi pagava; e al momento di scrivere il pezzo se aveva osservato mancanze giù con la clava. Spesso finiva nelle carte bollate, ma lui non cambiava strada. Chiesi a Luigi Veronelli, anch’egli giornalista, critico gastronomico, filosofo, conduttore televisivo, un’autorità nel settore e firma nobile del quotidiano “Il Giorno”.
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Raspelli a tavola |
Quando poi con Filippo Alto aprii il cantiere del Premio Milano di Giornalismo al ristorante “La Porta Rossa” di Chechele e Nennella, in via Vittor Pisani, un tiro di fionda dalla stazione Centrale, come primo membro della giuria emerse Raspelli. Poi il poeta Alberico Sala, del “Corsera”; il critico d’arte Raffaele De Grada, il pittore Giuseppe Migneco, il direttore della “Gazzetta del Mezzogiorno” Giuseppe Giacovazzo, Baldassare Molossi, ammiraglio de “La Gazzetta di Parma”… Nelle discussioni, che duravano fino alle due del mattino, i giudizi di Edoardo erano sempre misurati, succinti e razionali. Poi lo scoprii su Canale 5, dove conduceva una trasmissione interessantissima che si snodava da una cascina all’altra; da un agricoltore ad un altro, illustrando cibi, specialità prodotte nei fulcri del lavoro contadino, usi e costumi locali: insomma la vita tra le architetture rurali di ogni parte del Paese. Vedendolo, il telespettatore entrava subito negli ambienti, coglieva l’atmosfera, immaginava la fatica del lavoro in campagna, veniva a conoscere i ruoli dei vari lavoranti, dal cavallante all’addetto all’irrigazione.
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Raspelli a casa |
Chi accendeva la televisione mentre andava in onda Raspelli cambiava canale, se voleva, solo alla fine. Edoardo ha un linguaggio semplice, che arriva subito al cuore. Non parla soltanto di aiò che riguarda la tavola, i piatti, il vino. Veronelli disse che “il vino non è certo più necessario nella vita della musica e della poesia”. Sì, e c’è chi ha declamato versi gustando un vino genuino e chi ne ha scritti ispirato dall’aria che respirava. O no? Edoardo può confermare o smentire. Chiaro e sintetico come al solito.
Anche quando si racconta, iniziando dal giorno in cui superò la porta del giornale di via Solferino: una porta che suscita ansia anche nei più spigliati. “Erano le 7 del mattino di lunedì 26 luglio 1971, giusto 50 anni fa. Vestito completo, giacca e cravatta, varcavo quella soglia storica, stretta porta a vetri che immetteva al ‘Corriere della Sera’ ed al ‘Corriere d’Informazione’… come dipendente. Era il mio primo giorno di lavoro come ‘praticante giornalista’. In tasca la lettera di assunzione del direttore...Giovanni Spadolini… Al secondo piano, nello studiolo che si affacciava sullo stanzone della cronaca, mi aspettava il capocronista Giovanni Raimondi…”, anche lui arruolato poi al “Giorno” nelle truppe di don Gaetano Afeltra.
Edoardo capì subito com’è movimentata la vita di un cronista divoratore di polvere. Sull’auto del giornale il radiotelefono gracidò: “Corri all’Università Cattolica in largo Gemelli”.
L’autista mise le ali alla macchina ed ecco Raspelli sul teatro di un terribile delitto. Uccisa con 33 coltellate Simonetta Ferrero, laureata da poco. “A quell’epoca i cronisti di nera dovevano essere orfani, scapoli e… ”figli di buona donna (in verità non solo a quell’epoca, perché se il cronista non ha quelle doti è meglio che cambi mestiere: n. d. a.)”. E il suo fotografo, Peppino Colombo, scalò una cancellata e riuscì a fare scatti sul lago di sangue. Enzo Caracciolo, andato in pensione da questore, aveva ancora lo scrupolo di non essere riuscito ad acchiappare l’autore di quella brutalità. Edoardo Raspelli, stendendo l’articolo su quel fattaccio ebbe il suo battesimo del fuoco nel tempio del giornalismo, i cui celebranti erano personaggi come Giovanni Mosca, Egisto Corradi, Dino Buzzati, Ferruccio De Bortoli, Gian Antonio Stella, Ferruccio Lanfranchi…
Erano gli anni di piombo, in cui il sangue si spandeva nelle strade, nei luoghi di cultura, sotto i ponti. E proprio sotto un ponte vennero fulminati da un gruppo di terroristi i tre poliziotti del commissariato Ticinese: Cestari, Tatulli, Santoro. Ricordo gli occhi rossi del capo della Mobile di allora (8 gennaio ‘80) Antonio Pagnozzi.
Raspelli era nato cronista. E lo confermò proprio andando per ristoranti su iniziale ispirazione, ripeto, di Cesare Lanza. Proseguì alla “Stampa”, intensificando la critica alla ristorazione che non guardava in faccia a nessuno e unico al mondo quella agli alberghi.
Cominciarono le persecuzioni: telefonate velenose, corone da morto sotto casa, rischio di finire nelle mire della malavita, perché il “Faccino nero” con cui marchiava le cucine discutibili aveva colpito quella di un pezzo grosso della mala. Quando chiuse “Il Corriere d’Informazione”, il direttore de “La Notte”, altro quotidiano del pomeriggio, Livio Caputo, gli offrì spazio sulle sue pagine; poi Raspelli lasciò piazza Cavour per la “Domenica del Corriere” pilotata da Pierluigi Magnaschi, già vicedirettore de “Il Giorno” di Guglielmo Zucconi… Grande Raspelli, giramondo della penna. Approda alla radio da Pier Quinto Cariaggi, agente di Frank Sinatra e marito di Lara Saint Paul; quindi a Rai 2 da Giovanni Minoli a “Che fai, mangi?” con Anna Bartolini e Carla Urban, poi con Enza Sampò: “Piacere Rai 1 con Toto Cotugno e Simona Marchini; a Melaverde su Rete 4 e Canale 5, “L’Italia che mi piace in viaggio con Raspelli”… La lista è lunga: trasmissioni su trasmissioni, canali su canali, Raspelli diventa un personaggio notissimo, seguito, apprezzato, osannato.
Uomo tenace, intelligente, colto, dalla parola facile, intuitivo, un colpo grosso l’aveva realizzato nel ‘69 con un articolo su Corrado Alvaro per il Giornale Letterario del “mio padrino di battesimo, l’editore Mario Gastaldi”, una notizia sulla “Libertà” di Piacenza e finalmente l’ingresso in via Solferino. Il primo pezzo, “Un lettore ci scrive”, esce il 23 settembre del ‘69. Alle spalle, dunque, un rodaggio non indifferente. All’Università aveva frequentato la facoltà di lettere moderne, fatto 7 esami, con 110 e lode in Storia dell’Arte con Anna Maria Brizio e 110 in critica d’arte con Marco Rosci, entrambi luminari.
Il giorno dopo percorre via Solferino, entra al civico 28, sale le scale, entra in redazione, è nell’olimpo della carta stampata, dove con Giove siede anche Gino Palumbo, al quale nel ‘79 assegnammo il Premio Milano di Giornalismo.
E’ una gioia ricostruire la vita professionale di Edoardo Raspelli, ricca di iniziative, successi, consensi, riconoscimenti. Lo volevo anche come membro della giuria nel Premio successivo, “Le Porte di Milano”, accanto a Domenico Porzio e a Piero Colaprico, ma era così pieno di impegni che proprio un altro non riusciva a piazzarlo neppure con la forza., Quindi non fu tra noi quando assegnammo il premio al professor Alberto Dall’Ora (nel ‘65 aveva preso un volo per la Sicilia per assumere il patrocinio gratuito della ragazza rapita e violentata e tenacemente decisa ad opporsi al matrimonio riparatore) e l’anno successivo al professor Silvio Garattini.
Ho risentito Edoardo giorni fa, per chiedergli ricordi di Peppino Strippoli, il pugliese di Cerignola ritenuto barese, che aprì ristoranti a Milano, tra cui “Ndèrr’a la lanze” in via Festa del Perdono, dove si sedevano personalità illustri del giornalismo, della letteratura, dell’arte, dell’industria, del cinema, della politica. Ci andava anche lui, Edoardo, con la fidanzata poi diventata sua moglie.
Edoardo capì subito com’è movimentata la vita di un cronista divoratore di polvere. Sull’auto del giornale il radiotelefono gracidò: “Corri all’Università Cattolica in largo Gemelli”.
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Raspelli a destra |
L’autista mise le ali alla macchina ed ecco Raspelli sul teatro di un terribile delitto. Uccisa con 33 coltellate Simonetta Ferrero, laureata da poco. “A quell’epoca i cronisti di nera dovevano essere orfani, scapoli e… ”figli di buona donna (in verità non solo a quell’epoca, perché se il cronista non ha quelle doti è meglio che cambi mestiere: n. d. a.)”. E il suo fotografo, Peppino Colombo, scalò una cancellata e riuscì a fare scatti sul lago di sangue. Enzo Caracciolo, andato in pensione da questore, aveva ancora lo scrupolo di non essere riuscito ad acchiappare l’autore di quella brutalità. Edoardo Raspelli, stendendo l’articolo su quel fattaccio ebbe il suo battesimo del fuoco nel tempio del giornalismo, i cui celebranti erano personaggi come Giovanni Mosca, Egisto Corradi, Dino Buzzati, Ferruccio De Bortoli, Gian Antonio Stella, Ferruccio Lanfranchi…
Erano gli anni di piombo, in cui il sangue si spandeva nelle strade, nei luoghi di cultura, sotto i ponti. E proprio sotto un ponte vennero fulminati da un gruppo di terroristi i tre poliziotti del commissariato Ticinese: Cestari, Tatulli, Santoro. Ricordo gli occhi rossi del capo della Mobile di allora (8 gennaio ‘80) Antonio Pagnozzi.
Raspelli era nato cronista. E lo confermò proprio andando per ristoranti su iniziale ispirazione, ripeto, di Cesare Lanza. Proseguì alla “Stampa”, intensificando la critica alla ristorazione che non guardava in faccia a nessuno e unico al mondo quella agli alberghi.
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Raspelli osserva un panettone |
Cominciarono le persecuzioni: telefonate velenose, corone da morto sotto casa, rischio di finire nelle mire della malavita, perché il “Faccino nero” con cui marchiava le cucine discutibili aveva colpito quella di un pezzo grosso della mala. Quando chiuse “Il Corriere d’Informazione”, il direttore de “La Notte”, altro quotidiano del pomeriggio, Livio Caputo, gli offrì spazio sulle sue pagine; poi Raspelli lasciò piazza Cavour per la “Domenica del Corriere” pilotata da Pierluigi Magnaschi, già vicedirettore de “Il Giorno” di Guglielmo Zucconi… Grande Raspelli, giramondo della penna. Approda alla radio da Pier Quinto Cariaggi, agente di Frank Sinatra e marito di Lara Saint Paul; quindi a Rai 2 da Giovanni Minoli a “Che fai, mangi?” con Anna Bartolini e Carla Urban, poi con Enza Sampò: “Piacere Rai 1 con Toto Cotugno e Simona Marchini; a Melaverde su Rete 4 e Canale 5, “L’Italia che mi piace in viaggio con Raspelli”… La lista è lunga: trasmissioni su trasmissioni, canali su canali, Raspelli diventa un personaggio notissimo, seguito, apprezzato, osannato.
Uomo tenace, intelligente, colto, dalla parola facile, intuitivo, un colpo grosso l’aveva realizzato nel ‘69 con un articolo su Corrado Alvaro per il Giornale Letterario del “mio padrino di battesimo, l’editore Mario Gastaldi”, una notizia sulla “Libertà” di Piacenza e finalmente l’ingresso in via Solferino. Il primo pezzo, “Un lettore ci scrive”, esce il 23 settembre del ‘69. Alle spalle, dunque, un rodaggio non indifferente. All’Università aveva frequentato la facoltà di lettere moderne, fatto 7 esami, con 110 e lode in Storia dell’Arte con Anna Maria Brizio e 110 in critica d’arte con Marco Rosci, entrambi luminari.
Il giorno dopo percorre via Solferino, entra al civico 28, sale le scale, entra in redazione, è nell’olimpo della carta stampata, dove con Giove siede anche Gino Palumbo, al quale nel ‘79 assegnammo il Premio Milano di Giornalismo.
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Edoardo Raspelli tra i monti |
E’ una gioia ricostruire la vita professionale di Edoardo Raspelli, ricca di iniziative, successi, consensi, riconoscimenti. Lo volevo anche come membro della giuria nel Premio successivo, “Le Porte di Milano”, accanto a Domenico Porzio e a Piero Colaprico, ma era così pieno di impegni che proprio un altro non riusciva a piazzarlo neppure con la forza., Quindi non fu tra noi quando assegnammo il premio al professor Alberto Dall’Ora (nel ‘65 aveva preso un volo per la Sicilia per assumere il patrocinio gratuito della ragazza rapita e violentata e tenacemente decisa ad opporsi al matrimonio riparatore) e l’anno successivo al professor Silvio Garattini.
Ho risentito Edoardo giorni fa, per chiedergli ricordi di Peppino Strippoli, il pugliese di Cerignola ritenuto barese, che aprì ristoranti a Milano, tra cui “Ndèrr’a la lanze” in via Festa del Perdono, dove si sedevano personalità illustri del giornalismo, della letteratura, dell’arte, dell’industria, del cinema, della politica. Ci andava anche lui, Edoardo, con la fidanzata poi diventata sua moglie.
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