Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 19 febbraio 2025

Nella “bottega” di Nicola Giudetti, a Taranto

IN VIA DANTE, NELLA CITTA’  VECCHIA UNA RACCOLTA DI  OGGETTI ANTICHI

 



Giudetti finto conzagràste
Pittore, poeta, cultore delle tradizioni,una memoria inossidabile, insegna a grandi e a “peccerìedde” come era la loro “culla” tanti anni or sono. Si esibì all’Auchan nei panni di un “conzagràste”: riparatore di vasi in  terracotta.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FRANCO PRESICCI
 
 
 
 

 

Giudetti nella sua bottega
“Nà, hònn’abbevesciùte le conzagràste!”, disse un uomo al figlio e alla moglie entrando all’Auscian, a Taranto, e vedendo un signore anziano che con il trapano a mano stava facendo buchi a “’nu lìmme”, recipiente di terracotta, per ripararlo. “Jè ‘na ‘ndìcchie a l’andìche peccè mò stònne còlle putènde e le capàse no’nge l’accònzene cchiù accussì” . “No, po’ èssere ‘nu puverìedde ca cu le tìembe d’òsce hà’ rumàste ‘ndèrre cu le ròte e addà purtà ‘u pàn’a ccàse, ‘mbruvvesànne quìdde mestìere?”. Ma no, era Nicola Giudetti, custode delle tradizioni tarantine e mèmore dei vecchi mestieri, che stava svolgendo una dimostrazione di come un tempo si rimettevano assieme i pezzi rotti di un oggetto d’argilla: vasi, “capasùne” e altro. Il riparatore di vasi girava nei vicoli della città vecchia e della nuova urlando “Capàse, vuccàle, piàtte! Hà’ arrevàte ‘u conzagràste!”. E le donne correvano in strada per affidargli ciò che aveva bisogno di essere rappezzato.
Quella voce è scomparsa da tanto tempo dalle vie della città, e sono scomparse le voci “d’u cadaràre”, “d’u ‘mbagghiasègge”, “de l’ammulatòre”, “d’u ‘mbrellàre”, sparpagliati quel giorno all’Auchan nei panni di… figuranti.
Antonio De Florio, anch’egli appassionato delle sopravvivenze del passato, cultore del dialetto ed esploratore delle bellezze di Taranto, mi ha raccontato della trovata di Nicola Giudetti, poeta in vernacolo, pittore, raccoglitore di cose antiche, che costituiscono una sorta di museo nella sua bottega in via Duomo, una delle più famose “de Tàrde vècchie”, “ca tène sècule de stòrie”, come ricordava in un suo empito poetico anche Alfredo Nunziato Majorano.
Antonio De Florio

Io, che ho molti anni sulle spalle, ricordo anche l’acchiappacani, il pianino con il pappagallo che con il becco sceglieva l’oroscopo (ogni foglio un colore diverso) e lo consegnava all’interessato. “Era gente che veniva da fuori, dai paesi vicini”, m’informa Giudetti, che può tenerti ore a raccontare la storia e le storie di Taranto, compresi nomi, cognomi, soprannomi, parentele di chi abitava vicino a lui e oltre. Una memoria inossidabile. Qualunque notizia si cerchi e non si trovi da nessuna parte, si entra da Giudetti e lui illustra, spiega, racconta come un nonno ai nipoti “azzettàte ‘ngàt’a vrascère” con la pedana, “mèndre sòtt’a cènere s’arròstene le cìcere”.
Anni fa, passai qualche ora con Nicola, nel suo “sacrario”. Lui mi parlava a tappe, “a spìzzech’e muèzzeche, e io ascoltavo, nutrendomi di novità. Si presentavano gruppi di turisti e raccoglievano volentieri l’invito ad entrare, chiedendo nomi e funzioni dei vari pezzi, facendosi capire soprattutto con i gesti. Per Nicola era un’ottima occasione per far conoscere brani di Taranto attraverso bilance, catene, ”camàstre”, a cui si appendevano i paioli nella gola del camino, lo strumento utilizzato per potare le piante...
La Taranto vecchia di Giudetti

Neppure oggi, che ha superato gli ottanta, quella sua voglia e quella sua passione viene meno. E’ un uomo entusiasta, ricco di idee, di iniziative, di amore per la sua città, di desiderio di farla conoscere a grandi e piccoli, a stranieri; di ricordarla agli spatriati. Le sue parole rinverdiscono la vita di una volta a “Tàrde vècchie”, che nonostante le pareti screpolate come le labbra “de le pisciauèle” e “de le cozzarùle” (detto con il massimo rispetto), rimane un tesoro, tanto da essere decantata dai poeti più consacrati. Anche Nicola compone versi e quando li declama, per la sonorità del dialetto, la forza della recitazione, il sentimento con cui accompagna ogni vocabolo, tocca il cuore. Come nella poesia per la moglie Maria, il giorno del suo compleanno.Lo vedo e lo ascolto nei video che realizza quel mago di Antonio De Florio, che sa scegliere l’ambientazione giusta, le musiche più toccanti e i paesaggi più suggestivi. Ascolto e guardo con attenzione ed emozione, godendo quei suoni, quelle cadenze, quelle pause degni delle ribalte più celebri. Chissà che cosa darei per poterlo ascoltare più spesso. Queste ventate che arrivano dalla città vecchia mi portano la musica del Mar Piccolo che bacia la battigia e si ritira, per ripetersi subito dopo. Non l’ho mai visto rabbuiato, “’u Peccerìedde”, il Mare Piccolo, e avrei voluto vederlo quando fa i capricci, quando rumoreggia, facendo ballare pericolosamente le barche. Ricordo sempre il capolavoro di Alfredo Lucifero Petrosillo, “’U travàgghie d’u màre”, e mi si velano gli occhi, anche perché don Alfredo l’ho conosciuto e intervistato, quando non avevo neppure vent’anni.
Nicola Giudetti fra i suoi quiadri

Un paio di volte sono stato in quel luogo tranquillo e silenzioso, pieno di ricordi di Giudetti. Ho in mente la sagoma del ciabattino “c’u sunàle” (il grembiule) con il suo “bangarìedde cu semenzèlle, ‘sugghie, ‘tenàgghie” e “’matìedde” ca bàtte sus’u tàcche”. Quanto c’è da imparare in questo locale pieno di ricordi. “Fino a quando ci sarà un solo bambino a cui insegnare la città vecchia e farla amare; fino a quando verrà qui un solo turista da stupire io ci sarò a trasmettere antiche memorie”, a narrare Taranto con passione a chi vorrà scoprirla. Così disse al bravissimo giornalista Angelo Diofano, Giudetti. E quei bambini, quei turisti ci saranno sempre: Taranto è una calamita, è celebre in tutto il mondo, con i suoi tramonti deliziosi; i suoi giardini impreziositi “da còzze gnòre”; il Galeso che scorre sempre placido e tacito; il ponte girevole che scioglie il suo abbraccio per consentire il passaggio delle navi; le lampare che luccicano di notte per adescare i pesci; il faro che spia le onde; il Castello che nelle sue sale accoglie i palpiti degli artisti... A scuola i ragazzi studiano il Galeso e imparano che Orazio avrebbe voluto la sua tomba su quelle sponde. Spesso mi vengono in mente quei versi: “... le dolci acque del Galeso caro alle pecore avvolte nelle pelli, e gli ubertosi campi che un dì furono di Falanto lo Spartano…”.
Giudetti con le "parecèdde"
Anche Nicola Giudetti canta questa città; la vede sempre più affascinante, sempre più animata, sempre più attraente, sempre più bella. Ho sentito parlare di lui anche a Milano: un tarantino immigrato da anni, casa sul Naviglio Grande - a due passi da vicolo dei Lavandai, che il poeta Beonio Brocchieri definì “chiesa di pittori, con il ricciolo d’acqua che sfugge al canale per andare chissà dove, con i cortili intrecciati, il ricordo delle donne inginocchiate sul “brellin” a lavare i panni - raccontava a un gruppo di meneghini il suo soggiorno nella patria di Cesare Giulio Viola, Domenico Porzio, Raffaele Carrieri… e quindi di Nicola, che lo aveva ricevuto nella sua bottega di via Duomo. Anche questo tarantino ormai meneghino era amareggiato per aver preso, una sera, il treno della speranza, al tempo in cui la gente s’infilava nello scompartimento dal finestrino, perché la piattaforma era una scatola di sardine. Su quel convoglio sono salito tante volte anch’io, riparato nel gabinetto di decenza, seduto su una delle tante valigie lì accatastate. Notti insonni tra mille voci con orditi di esperienze, fatiche, delusioni, fallimenti, chiusure di porte... In quelle ore conoscevo molto della vita di chi mi stava di fronte. Ma questa è un’altra storia.
Se dunque chiedi a qualcuno se conosce Giudetti può capitare di sentirti rispondere di sì con un accento di soddisfazione.
Giudetti in un incontro a Martina

“Sì, lo conosco, Giudetti”, mi rispose a Martina la compianta Mara Sarotto, signora dolce e discreta. Era nata in via Cava e di Nicola aveva sentito parlare un’infinità di volte. Poi lo incontrò. Che se ne parli anche a Milano non è cosa strana. E non sono una novità neppure i turisti che si portano a casa quel nome, il ricordo dei momenti trascorsi nella bottega di via Duomo e i racconti diluiti da quel giovane vecchietto vivace e generoso, spiritoso e simpatico, schietto, dalla voce sottile, dagli occhi piccoli e vibranti.
Quando entrai per la prima volta in quel sacrario anch’io imparai molte cose: il bisso per esempio, di cui le nostre donne un tempo erano maestre; “le parecèdde”, che vivono con la punta saldamente conficcata nella sabbia. In quelle valve il pittore Raffaele D’Addario, che non dimenticherò mai vita natural durante, creava i suoi paesaggi e il suoi fiori.


Nessun commento:

Posta un commento