LO SCRITTORE PIERO LOTITO FA RIVIVERE UN UOMO NATO TANTI MILLENNI OR SONO
Lo racconta, immaginando, nel suo libro “Di freccia e di gelo”, esposto al Salone del libro di Torino e ora presentato in città e paesi dal Nord al Sud. E’ già un successo. Piero Lotito non è alla sua prima esperienza letteraria.
Franco Presicci
Nella pace e nel silenzio di un trullo, a Martina Franca, ho letto il gioiello di Piero Lotito, sbirciando, a tratti, l’ulivo più vicino incorniciato dalla finestra. Il libro, “Di freccia e di gelo”, edito da Mondadori, arricchisce, anche perché il delicatissimo scrittore, oltre a catturare subito l’attenzione, dà gioia. La trama del racconto è insolita e trascina in un mondo lontanissimo, in cui il protagonista si cibava di animali uccisi nel bosco con l’arco e le frecce.
Lotito a Laino |
Queste pagine si ispirano al ritrovamento nel 1991 di un corpo immerso nell’acqua di un ghiacciaio. Lotito, cronista scrupoloso, intuitivo, attento e valente scrittore, non poteva lasciarsi scappare l’occasione per “ricostruire” la vita quotidiana di quel corpo ossificato, che ha battezzato Ots, e aiutandosi con ricerche meticolose, ha dato spazio all’immaginazione ed elaborato gli intrecci del romanzo.
Ots viveva con i genitori, in una delle capanne d’un villaggio sperduto, il cui capo era Iush, un uomo a cui non sfuggiva mai niente, voleva sapere sempre tutto, e quando parlava non affrontava mai i discorsi in modo diretto: consigliava, suggeriva, ipotizzava, lasciava intendere… Nel villaggio scoppiò una pestilenza, che lo decimò, ma poi arrivarono altre persone, costrette ad abbandonare il proprio territorio perché non aveva più erba per le pecore; e la comunità di Ots si rimpolpò.
I nuovi venuti erano pastori e non cacciatori, e a poco a poco si amalgamarono con gli indigeni e non ci furono scosse. Tra di loro c’era una giovane bellissima, Alesh, che scambiò subito uno sguardo con Ots e fu quasi un’intesa.
Locandina presentazione libro |
A mano a mano che si va da una pagina all’altra l’interesse e la curiosità crescono. Con quel suo stile agile, limpido, senza orpelli e con la sua grande capacità nel raccontare, Lotito trascina il lettore e a volte lo commuove e crea “suspense”. Ed è talmente efficace la sua esposizione che dà al lettore l’impressione di stare nella capanna di fianco a quella di Ots, e di condividere i suoi stessi giorni, le sue stesse ore.
In Lotito tra l’altro piace la passione per il dettaglio, come per esempio nella descrizione della lavorazione dell’arco e delle frecce realizzati da Ots con mestiere, esperienza , cura dell’equilibrio che l’arma deve avere per per poter colpire l’animale con precisione tra un occhio e l’altro, come gli ha insegnato il padre.
Nel suo accurato lavoro usa il legno dell’albero della morte, che nessuno nel villaggio vuole neppure toccare. Tutti si tengono a debita distanza, perchè secondo una vecchia credenza provoca la morte solo a sfiorarlo.
Ma non voglio svelare tutto il contenuto di queste bellissime pagine; altrimenti al lettore resta meno da gustare. Ma Ots? Dov’era nato Ots? Com’era vissuto millenni addietro? Chi era? Un cacciatore, un pastore? Un pastore non porta con sé un pugnale e un arco, oggetti trovati da due turisti accanto al suo corpo, dalle parti di Bolzano, durante un’escursione.
Lotito si è posto tante domande e si dato altrettante risposte, dopo aver studiato centinaia di carte, ripeto, per appagare il desiderio di conoscenza di chi prende in mano quest’opera, in cui delinea ambienti, personaggi, usi, costumi, la mentalità del tempo... Un libro che coinvolge, spinge a rileggerlo.
E’ forte, Ots, non tanto però da sentirsi sicuro di vincere lottando contro Jef, il suo compagno di giochi più alto, più vigoroso, più robusto, deciso ad ucciderlo sospettando la sua notte d’amore con Alesh, la pastora, una notte infiammata dalla passione che li travolge, mentre Jef è affondato nel suo sonno pesante. Alesh è diventata la donna di Jef, che vuole vendetta, e Ots non può sottrarsi allo scontro; se vuole rimanere nel villaggio, deve stimolare il suo impeto recalcitrante e battersi al centro di tutto il villaggio riunito e compatto. Deve affrontare e vincere il rivale, che lui non considera tale, per non dover abbandonare la sua capanna, il villaggio.
Lotito a Lanzo d'Intelvi |
Quella capanna conosce tutti i sentimenti di chi ci abita. Alla morte del padre per il villaggio la sua famiglia era ignorata, estinta, come invisibile agli occhi della comunità. “Le donne evitavano mia madre, io non avevo più amici”. Una capanna senza un uomo adulto era un guscio vuoto. E tra madre e figlio era lei ad essere rimasta nella solitudine più nera. Così era in quel contesto, così era sempre stato. Lotito non tralascia neanche le minuzie, entra nell’anima dei soggetti. Per lui la vita e il carattere di Ots sono lampanti. L‘immaginazione dello scrittore è fertile, Ots è penetrato in lui e lui ne illumina la figura con una capacità ammirevole. Il lettore se lo vede davanti agli occhi, Ots; lo vede impegnato nella mischia contro il gladiatore tradito, e quando, dopo il “duello” conclusosi con un nulla di fatto, se ne va nei boschi, con la sua faretra e il suo arco, sapendo che Jef lo cercherà sempre più intenzionato ad eliminarlo, è assediato dall’angoscia.
L’ho letto in tre giorni, questo libro, immaginando di fare un viaggio a ritrovo nel tempo, accompagnando lo scrittore attraverso abitudini, modi di vedere le cose molto diversi da noi. Lotito ha la virtù di farti quasi toccare con mano ciò che narra. Ascolto Ots, penso di ascoltarlo: “Mia madre subito capi che avevo fatto il primo passo. Quando mi vide entrare nella capanna con il ramo appresso, portò le mani al viso ed emise un lamento: ’Tu vuoi morire’. ‘No, voglio soltanto costruire un arco. Fallo fuori da qui. E poi: ‘Costruiscilo qui, Ots, morirò con te”.
Aveva ragione Ots, quell’albero non portava la morte, era innocuo come gli altri. Fino a quel momento si era lasciato condizionare dalle paure dei genitori e degli altri. Lui l’aveva toccato ed era ancora vivo e vegeto. Dopo qualche tempo la madre morì. “All’alba di un giorno d’estate”, ma non certo per colpa dell’albero. Era malata, s’infiacchiva giorno dopo giorno. Rimasto solo, le sue giornate erano monotone, avvilenti. Un giorno Iush, il capovillaggio fu più chiaro: era meglio se lui abbandonava la sua capanna, la stessa comunità di pastori e cacciatori. Non era più gradito. Ots resistette. Faceva freddo. Tornò alla caccia, dopo essersi nutrito con sofferenza degli animali del suo recinto. Pioveva e Ots si proteggeva dall’acqua “sotto una stuoia di paglia”. Pensava a Jef e alla notte di fuoco trascorsa con Alesh, all’opportunità di abbandonare il villaggio e raggiungere un altro posto, dove aspettare la morte.
Lotito e sindaco Tognoli |
Pagine emozionanti, libere, ripeto, da enfasi, da ornamenti, senza frasi ad effetto. Lotito è un maestro nel racconto, sa usare a perfezione il linguaggio che gli è più congeniale. Tutto è spontaneo in lui, tutto scorre con semplicità. Il viaggio è lungo, sempre interessante, lineare. L’autore sa come muoversi nei panni di Ots. “Mi chiamo Otzi - dice lo stesso Ots nella prefazione – perchè i miei scopritori inciamparono sul mio corpo”. Gli affibbiarono questo nome, che per lui fino a quel momento non aveva alcun significato. Non ne ha neppure per questo investigatore che lo ha “resuscitato”. Ma la sua abilità di cronista, la sua voglia di scoprire, svelare, annotare, raccontare, affrontando le fatiche che la consultazione di carte richiedono, prevalgono sempre, come quando lavorava al “Giorno” e a volte, prima di scrivere un pezzo, non solo verificava, ma all’occorrenza faceva prove, esperimenti personali nel bagno del giornale. Lo fece anche in occasione della morte di un imprenditore data per suicidio. Lotito appartiene alla scuola dei cronisti che non costruivano gli articoli utilizzando il telefono. Andava sul teatro dell’avvenimento, osservava, interpretava, intervistava e dava concretezza alla propria opinione.
In “Di freccia e di gelo” ha dipinto persone che vivevano tra neve, pioggia, vento, tempeste, stenti, malattie da cui non potevano difendersi. Quelle persone mangiavano animali abbattuti nel bosco che conoscevano bene.
Gionalista Catania, Ottavia Piccolo, Lotito |
Alla fine della lettura di queste pagine, ho subito avvertito la voglia di riaprirle, per ripercorrere nuovamente l’esistenza di Ots, il cui padre aveva paura dei tuoni e del buio. Lui aveva ucciso un uomo senza volerlo, Jush lo sapeva e voleva sentirselo dire da lui. Ots continuava a tremare,“sentiva colargli la bava dalla bocca, pur essendo innocente”.
“Di freccia e di gelo” è stato esposto in bella evidenza al Salone del libro. E Lotito continua a presentarlo in diverse città, compresa la sua amata Foggia. E’ stato anche a Noci, il paese dei boschetti e delle masserie, alcune fortificate, per difendersi dai briganti del 1860, e della Madonna della Scala, abbazia dei frati benedettini.
Soddisfatto, contento, di questa lettura edificante, sono andato dal mio ulivo, con cui mi sfogo, ricevendo segnali con il movimento delle fronde.
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