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lunedì 16 aprile 2018

Vita movimentata di uno chef


 
IL LECCESE ANTONIO CRETI’

DA UNA CUCINA ALL’ALTRA



Lo intervistai all’Hotel Quark
nel 2006; lo rividi all’opera
alla Fiera di Osnago in una
cena rinascimentale allestita
dall’inner Wheel International
con il Rotary Club di Merate,
e in una delle tante altre serate
di beneficenza negli stessi luoghi.
Fu Dino Abbascià a presentarmi
Cretì, persona gentile e generosa.






Franco Presicci
 
Aldo Fabrizi(scultore F.Moccia)
Lo chef Cretì in gita a Martina F.

Al “Charlymax” ogni tanto entrava in cucina Aldo Fabrizi, il bonario attore di cinema e di teatro, regista, sceneggiatore, poeta e produttore, che alle architetture culinarie dedicava anche saporosi versi (“Si se magnasse solo pastasciutta, sarebbe veramente ‘na bellezza…”). “Amava mostrare come calava gli spaghetti nell’acqua – mi raccontò il giorno in cui lo intervistati lo “chef” Antonio Cretì - li teneva in pugno sospesi sulla pentola, quindi allentava la stretta e li lasciava cadere”. Si divertiva, l’antagonista di Totò in “Guardie e ladri”, alla vista di quegli “steli” che prima di affondare si allargavano come quelli delle rose in un vaso dal becco troppo largo. Cretì, oggi ottantunenne, di Ortelle, paese della provincia di Lecce, quasi si commosse al ricordo di quel pacioccone ricco di simpatia che faceva ridere migliaia di spettatori. Di cose da dire ne aveva tante: “Al Griso” di via Fabio Filzi, dopo la chiusura delle prime edizioni, venivano giornalisti di tutte le testate milanesi. Ma anche attori, musicisti, presentatori: Gorni Kramer, Pino Calvi, Mike Bongiono; e i campioni della Mille Miglia”, perché il titolare, Volpi, aveva fatto parte dell’organizzazione della corsa soppressa nel ’57.
da sinistra: Nico Blasi e Dely Giuliani Gatti
La sera in cui Duilio Loi vinse a Milano nel ’60 il campionato del mondo dei ‘welters junior’ i nostri tavoli vennero presi d’assalto”. E continuava, mentre sul suo viso da orientale si disegnava un sorriso gioioso: “Feci l’inaugurazione del ‘Charlymax’, in via Marconi 2, primo tentativo a Milano di ristorante notturno, apertura alle 21, e sono stato poi ‘chef’ all’Hotel Panorama Golf di Gignese”, piccolo paese a metà strada fra Stresa e il Mottarone, che vanta il Museo dell’Ombrello, in omaggio ai tanti ombrellai che, nati qui, si sparsero non solo in Lombardia ad aggiustare manici e stecche. “Lì conobbi Gianni Agus e Mario Soldati, che scriveva le sue splendide pagine e si diceva affascinato da questo albergo in mezzo alla natura e con le persiane verdi affacciate sul lago”.Nello stesso hotel Cretì incontrò Maner Lualdi, giornalista e uomo dalla personalità poliedrica (aviatore, capospedizione, nel ’48, del raid Milano-Buens Ayres con l’”Angelo dei bimbi”; e nel ’67 del raid della Fratellanza e della Pace Roma- Pechino), e Gianni Mazzocchi, l’ideatore di “Quattroruote” e promotore del primo raduno di auto d’epoca in partenza da Stresa. E sempre lì deliziò il palato di Wanda Osiris. Erano gli anni in cui la Wandissima, esaltata da Rascel, Bramieri, Dapporto… cantava “Ti parlerò d’amor”, “Sentimental”…, di D’Anzi. La storia di questo eminente “chef” è ricca di tappe.
Cretì e Abbascià.
“Concluso, nel ’57, il ginnasio a Maglie, presi il treno per Milano. Alla stazione Centrale mi sentii spaesato. Poi un giorno un amico di mio fratello Luigi mi disse; ‘Vuoi lavorare? Vieni con me a Pavia’. Cominciai come aiutante di cucina e mi appassionai all’arte culinaria. Il passo successivo: capopartita. In quella veste passai al ‘Tantalo’ in via Silvio Pellico, a Milano: quindi al Savini, il tempio dei profumi caro a Gaetano Afeltra, che nel suo interessantissimo libro “Milano amore mio” gli ha riservato pagine affettuose, definendolo ristorante che straripa un po’ nella Galleria stessa, estate e inverno, con il suo ‘dehors’ a vetri, secondo un certo gusto parigino… La visita a Milano senza questa sosta nel suo più famoso ristorante sembrerebbe incompleta: il viaggio stesso manchevole in qualcosa di sottile ma essenziale… Se Anche l’Italia ha avuto la sua Bèlle Epoque”, a Milano è nata qui, a due passi dalla Scala …”. Ed elencava alcune delle grandi personalità assidue a quelle sale, da Marco Praga a D’Annunzio, da Giacosa a Pirandello, da Ojetti a Toscanini, alla Duse, alla Gramatica, a Chaplin… Nel ’43 il Savini fu sbriciolato dalle bombe, ma il 26 dicembre del ’50 era già restituito alla città esattamente come prima. Merito di Angelo Pozzi, che il Comune premiò con una medaglia d’oro”. Mi si perdoni la digressione. “Al Savini – m’interruppe con garbo e opportunamente Cretì – c’era un’attenzione particolare per i classici della cucina locale: il risotto alla milanese, al salto, l’ossobuco in gremolata… al quale Angelo Pozzi intitolò un club (‘Ossorum foratorum’)”.
Serata rinascimentale.
Una vita dunque trascorsa fra i fornelli. Come responsabile dei servizi di ristorazione (mense e simposi) della Farmitalia (che faceva almeno un convito al mese di medici, chimici da ogni parte del mondo) e della Montedison; consulente nell’ambito della ristorazione collettiva all’Atm e non solo. Al suo attivo anche organizzazione e direzione di corsi di formazione e aggiornamento per addetti alle cucine degli ospedali e delle refezioni scolastiche e dei Comuni… Al famoso Hotel Gallia, in piazza Duca d’Aosta, contribuì, per la Federazione Cuochi, all’allestimento della finale italiana del concorso culinario “Gran Prix Taitinger”. Al Grand Hotel di Stoccolma guidò l’èquipe di cucina per la settimana del made in Italy. Ha diretto il periodico “Il Cuoco”, organo della Federazione italiana del settore; e per 9 anni è stato presidente dell’Unione Cuochi lombardi. Mi sintetizzò la sua biografia con umiltà, quasi con il timore di apparire troppo loquace. Gli domandai notizie sulle abitudini culinarie dei meneghini negli anni 60”; e mi rispose ponderando le parole: “Al Tantalo verso mezzanotte mangiavano, accomodati sul sedile alto vicino al bancone, il risotto con il ‘messicano’, involtino di carne macinata. Oppure il ‘fogliolo’, trippa in umido alla milanese. Poi cominciò l’era dei panini, in un bar di piazza Beccaria.
Gli ospiti
Da Scoffoni, in via Victor Hugo, si servivano wurstel con crauti. Alla ‘Crote Piemonteise’ si andava per degustare salumi crudi o cotechino bagnato con vino delle Langhe. Allora sui menu dei ristoranti campeggiavano le definizioni classiche dei vari piatti e tutti si attenevano agli ingredienti previsti dalla ricetta. La differenza era data dalla materia prima e dall’abilità del cuoco. Oggi domina un’eccessiva improvvisazione nella mescolanza degli ingredienti non sempre dovuta a un equilibrio ragionato e di conseguenza si usano definizioni lunghe e fantasiose…”. Era un pomeriggio del 2006, a un pranzo all’Hotel Quark, quando l’indimenticabile Dino Abbascià, tra l’altro vicepresidente dell’Unione del Commercio, mi presentò Antonio Cretì. “E’ un personaggio interessante, io lo stimo molto”. Lo rividi in azione un mese dopo a una cena rinascimentale allestita dall’Inner Wheel International e dal Rotary di Merate, alla Fiera di Osnago (l'ex presidentessa gentilmente ha fornito alcune foto.N.d.R.): una scenografia curata in ogni dettaglio) spettacolare per l’abbondanza e l’elaborazione delle pietanze, oltre che per il servizio. Il menu, per essere in tema la lista cibaria, realizzata appunto dal maestro Cretì sulla base di ricette del noto cuoco Mastro Martino, che visse nel 1450. Eccola: insalata di cappone, capperi e uvetta (“capone bono vol essere allesso”, predicava l’illustre gastronomo); capi di latte con pepe; fette di mozzarella cosparse leggermente di zucchero di canna e foglioline di menta; offelle di pesce: filetto e polpa di pesce, burro, vino bianco, mandorle, uvetta, maggiorana, prezzemolo, farina bianca, pepe, uova e zafferano (“Queste si soglion friggere e cotte parranno pesce”); bocconcini di torta di cipolle; crostini di pane nero con lardo e piccole cialde di miele nucato; salame Brianza; minestre di lenticchie, farro e broccoletti verdi; carrè di porco allo spiedo con cipolline cotte nella ghiottella. Il pesce aveva un ruolo rilevante nell’arte culinaria rinascimentale e l’insalata non mancava mai sulle mense dei toscani e degli italiani in genere, che per la verdura avevano una vera passione. Da sottolineare che non era una serata gastronomica fine a se stessa, con costumi, che, forniti da una nota sartoria milanese, ricordavano Bartolomeo Scappi, che nella metà del Cinquecento fu capocuoco nel palazzo pontificio (scrisse anche un trattato autorevole).
Fragnelli al lavoro
L’ambientazione, ispirata a Bona Sforza, figlia di Isabella d’Aragona e di Gian Galeazzo, duca di Milano, era stata creata per raccogliere fondi da destinare alla costruzione a Sololo, in Kenia, di un villaggio per l’accoglienza e l’educazione di bambini resi orfani dal flagello dell’Aids. In un’altra cena, sempre a scopo di beneficenza (l’ampliamento del villaggio San Francesco, asilo per l’infanzia abbandonata a Meru, ancora in Kenia), intonata ai giorni nostri, fu un altro pugliese a distinguersi, preparando in diretta, con momenti d’involontario spettacolo, le mozzarelle da servire subito in tavola: il maestro casaro di Martina Franca Silvestro Fragnelli, coadiuvato dalla moglie Dora. In quell’occasione Paolo Centrone, direttore del Park Hotel San Michele della città dei trulli e del Festival della Valle d’Itria, aveva generosamente mandato tutto il ben di Dio dalla sua città. Antonio Cretì, quella volta, non regnava in cucina, ma era seduto fra gli oltre 350 ospiti, che apprezzavano l’atmosfera cordiale, oltre all’ottima qualità dei piatti. Ogni tanto osservava compiaciuto quelli che per curiosità osavano fare capolino tra i fornelli. Spense il via-vai lo storico Nico Blasi, illustrando le varie portate, le loro origini e le loro caratteristiche, concludendo con accenni al capocollo di Martina, salume particolarmente gradevole e profumato, di produzione antica, gradito ovunque. Una manifestazione all’insegna della Puglia, definita la California italiana. Rividi Cretì qualche anno dopo a Martina Franca, dove venne a trovarmi in campagna. Conosceva la Valle d’Itria, ma mi chiese di accompagnarlo su quel terrazzo che consente la vista delle case a punta e bianche come il latte: gli amati trulli. In questi giorni qualcuno lo ha intercettato qua e là, in questo labirinto chiassoso, che è Milano.




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