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mercoledì 31 maggio 2023

Carmine La Fratta a Napoli

HA FOTOGRAFATO I VICOLI

CERCANDO EDUARDO E TOTO’

 

Napoli San Gregorio Armeno
In San Gregorio Armeno è

entrato nelle botteghe dei

grandi ceramisti, affollate

di figure famose: Pulcinella,

Maradona, Totò, Eduardo,

Nino Taranto, personaggi

politici, presepi, statuine,

le case dei mostri sacri

del cinema e del teatro.

 

Franco Presicci  

Giganteggia l'immagine di Totò
Va dove lo porta il cuore (parafrasando il titolo di un libro di successo di Susanna Tamaro). E il cuore questa volta lo ha portato a Napoli. Era da tempo che Carmine La Fratta, tarantino verace come le cozze, fotografo errante e virtuoso, ci voleva andare; poi per una catena di appuntamenti aveva dovuto rimandare. Adesso no, ha chiuso il taccuino degli impegni e si è deciso. Lui corre sempre sul teatro di un evento importante, in un luogo che ha una storia da rispolverare, paesaggi da mostrare, comunità in festa. “Vado sotto il Vesuvio”, mi ha detto per telefono. “Sulle tracce di Maradona?”. “Non solo: da quelle parti ogni scatto è prezioso”. Come dargli torto? L’incanto di questa città variopinta, spettacolare, magica rapisce centinaia di migliaia di turisti, da qualunque parte arrivino. Immaginavo che lui non si sarebbe limitato a puntare l’obiettivo sulle facciate con il volto e le espressioni del calciatore che in campo disegnava geometrie esaltanti, compiva acrobazie ardite, dava pedate così forti da sfondare la rete, scatenando la folla assiepata sugli spalti. Giunto a Napoli, Carmine La Fratta si è infilato nel reticolo di vicoli, dove ancora palpita anche il ricordo dei grandi della scena: Totò, Eduardo De Filippo, Nino Taranto. Al ritorno mi ha chiamato nuovamente, entusiasta: “Ho cliccato, estasiato, sulle case del principe Antonio De Curtis e del senatore a vita padre di ‘Natale in casa Cupiello’, di “Filumena Marturano”… una a due passi dall’altra. Non sono scomparsi del tutto, questi miti. Sono ancora lì, tra mattoni rosicchiati dal tempo e bandiere, bancarelle e negozi, tra la gente, dentro la gente. Respirano, in quei budelli, sono immortali nella memoria degli abitanti. Se tu qui fai domande su uno o sull’altro, cominciano a parlare e non riesci più a fermarli. Chi li ha visti da vicino snocciola chicche, battute, episodi particolari, comportamenti”.

Nino Taranto, Peppino, Totò

La casa di Totò

Come quella riferita da Edmondo Capecelatro, scrittore partenopeo affermato, oltre che attore: una signora incontrò Totò in un salotto, e vedendolo molto serio, inappuntabile, contegnoso, gli disse. “L’ho applaudita a teatro, dove provocava risate a crepapelle; qui è quasi schivo”. Risposta: “Lei a teatro ha visto Totò, adesso è di fronte al principe De Curtis”. Carmine è stato al rione Sanità, dove si avverte ancora il passo del grandissimo attore, che proprio qui fece le sue prime esibizioni da ragazzino, avendo come spettatori i parenti, la gente dei bassi, gli scugnizzi, qualche estraneo. Poi affrontò la prima volta la ribalta, al teatro “Quattro Fontane” di Roma. All’Hotel Plaza incontrò l’autorevole giornalista Gaetano Afeltra e gli chiese: “Zavattini verrà una sera a teatro? Mi piacerebbe conoscerlo”. Non sapeva che Zavattini ci andava tutte le sere, e batteva le mani freneticamente. 

Vicolo dei Panettieri
In seguito passò di palcoscenico in palcoscenico, sempre più in alto, sempre più applaudito, celebrato. Un’icona. Carmine è entrato nei vicoli come in una chiesa: tale è considerato anche quello, a due passi dall’altro, che accolse i respiri di Eduardo, altro mostro sacro del cinema e del teatro. Li imbocchi, questi contenitori di umanità, e non puoi non pensare anche al “Sindaco del Rione Sanità” e a “Non ti pago”, divertentissima commedia che ha come tema il lotto, evocato dal vico Bonafficiata Vecchia, antico nome del gioco, creato non a Napoli, come si pensa, ma a Genova, da un barbiere.

De Crescenzo su un muro

Figura onnipresente del botteghino, l’assistito, personaggio ricercato e odiato quando non azzecca i numeri, inconveniente che gli capita spesso, come nel libro di Luciano De Crescenzo, “Così parlò Bellavista”. Sicuramente tutto questo scenario di commedie, di storie, di vita vissuta, di monelli di strada, di riffe, di voci è riemerso anche nei ricordi di Carmine La Fratta, tra uno scatto e l’altro, una conversazione e l’altra, camminando per ore intere tra vicoli, strettoie, balconi con i bucati appesi alle ringhiere, budelli, labirinti, descritti in tante pagine letterarie. Un passo dopo l’alto, captando le gigantografie sui muri di Maradona, Nino Taranto, Pulcinella, Totò, Eduardo, Massimo Troisi anche nelle riproduzioni dei figuli, così perfette, così somiglianti, così espressive. Il pensiero di Carmine è andato sicuramente a quelle splendide poesie, sempre recitate anche dalla gente comune: “’A livella”, “Si fosse ‘n’auciello”, “Napule tu e io”, “O saccio sultant’io” e alla canzone “Malafemmene”, di Totò, e ai versi di Eduardo: ”Ie vulesse truvà pace”, “Napule è ‘nu paese curioso”, “O màre”… Carmine non ha visitato soltanto i vicoli, dove emerge anche il nome di Matilde Serao, la giornalista scrittrice che con il marito Edoardo Scarfoglio nel 1892 fondò “Il Mattino”, dove la signora arrivava tutti i giorni in carrozza.

Statuine da San Gregorio Armeno

Carmine non poteva per esempio non andare a San Gregorio Armeno, dove si fabbricano i presepi più belli al mondo (alcuni esposti al Museo di Dalmine, Bergamo, e in tantissime collezioni private). Questi presepisti hanno larghissima fama per la finezza, la bellezza, l’attenzione alle facce, al vestiario delle loro statuine e per le loro architetture sacre, stupende, da fiaba, con profondità suggestive. Carmine ha fatto capolino nelle botteghe, ha ammirato i lavori, ha interrogato gli artisti, ha fotografato tutto ciò che lo colpiva. Ho visto quelle foto, me ne ha mandate una settantina: foto magistrali, che fanno vivere l’atmosfera dei luoghi. Dopo qualche giorno l’ho richiamato per chiedere altri particolari. Era già ripartito. Non si ferma mai, Carmine.

Ritratti e bandiere nel vicolo
Ama scoprire aspetti nuovi, perle non da tutti conosciute. Un giorno è impegnato a fotografare i falò e i fuochi d’artificio alla sagra di San Marzano di San Giuseppe, un altro nella sua Taranto davanti alle barche che dondolano con la ninna-nanna cantata dal Mar Piccolo, magnificato da poeti mai dimenticati. Lo pensi alla festa di San Cataldo, protettore della città dei due mari, o in corso Umberto, nel Museo archeologico nazionale, a riprendere gli ori di Taranto, e invece è a Crispiano a cogliere le grotte basiliane, luci e colori, la folla, la cassarmonica delle celebrazioni per la Madonna della Neve o a Milano a sorprendere i colombi in piazza del Duomo e a riprendere i merletti delle guglie della Cattedrale. 

Murale nel vicolo

Carmine è abituato a macinare chilometri anche nella sua Bimare (abita a Lama): lasciato il ponte girevole, va a destra, smaltisce la discesa del Vasto e costeggia “’u màre peccerìdde”, dove dalle paranze sbarca il pesce destinato ai mercati. Vedo e rivedo le sue foto anche per sentirmi vicino alla mia “culla”: foto di natanti, scafi, lampàre, che catturano il pesce di notte, la porta ormai chiusa di “Cicce ‘u gnùre”, noto venditore di mitili, la dogana, le facciate delle case, screpolate come le labbra dei vecchi pescatori, la chiesa di San Domenico, la via Di Mezzo, i Misteri, la processione dell’Addolorata, la ringhiera con affaccio su Mar Grande, il Castello Aragonese, il canale navigabile che sposa le due distese d’acqua: scatti evocativi, balsamo, dolcezze per chi vive lontano. Tutte immagini raccolte nei suoi libri senza didascalie, perché, dice, questi “ritratti” non hanno bisogno di essere spiegati.

Totò sul portone
Mi piace seguire idealmente questo cacciatore di immagini, capace di attendere ore e ore per poter cogliere tutto lo splendore di un panorama. Non gli ho chiesto dove sia andato a cacciare questa volta. Aveva fretta di mettersi al voltante. Ma vedrò i risultati. Intanto osservo i “quadretti” dei vicoli napoletani, dove restano anche le tracce di Giuseppe Marotta, giornalista, scrittore, critico cinematografico severo, sceneggiatore, paroliere, autore di “Mal di Galleria”, “Pietre e nuvole”, “L’oro di Napoli”, “San Gennaro non dice mai di no” … Si trasferì giovanissimo nel capoluogo lombardo, dove scrisse per il settimanale della Rizzoli “L’Europeo” e nel ’54 ricevette il Premio Bagutta per il romanzo “Coraggio, guardiamo”. Non trascurò mai la sua Napoli, non dimenticò le sue radici, forti, bene aggrappate alla terra. Carmine La Fratta è tornato, appagato, arricchito dal suo pellegrinaggio napoletano tra vicoli, murales di Maradona dappertutto (anche sulle carrozzine dei bambini) e luoghi storici come il San Ferdinando, il teatro che, eretto alla fine del Settecento, fu tanto caro a Eduardo De Filippo; e vico dei Carbonari, in cui emise il suo primo vagito, a Forcella, Nino Taranto, eccellente in “Pensaci Giacomino”, fiammante in “Ciccio Formaggio”, con la paglietta a tre punte. So che ci tornerà. I vicoli di Napoli, attraversati anche da Curzio Malaparte e teatro dei quadretti di Salvatore Di Giacomo, se li è portati nel cuore.







mercoledì 24 maggio 2023

A maggio tre giorni di festa

RADUNO DEGLI ALPINI A UDINE

UNA MARCIA INTERMINABILE

Guida all'adunata di Udine

Sfilata entusiasmante, sotto una

pioggia insistente, che non ha

scoraggiato le Penne Nere a

partecipare. Tantissime città, da

Bergamo a Milano, da Brescia a

Pavia a Napoli, hanno risposto

all’appello, con le fanfare che

facevano da colonna sonora.

 

 

Franco Presicci

Vogliamoci bene”, “Mai più guerre”. Sono alcuni degli striscioni apparsi durante la grande sfilata degli Alpini a Udine, domenica 14 maggio. Sotto una pioggerellina insistente, che però non ha scoraggiato le tantissime sezioni (Alessandria, Como, Alba, Varese, Brescia, Bergamo, Aosta, Milano, Valle d’Intelvi e tante altre) a partecipare, con apparati specializzati, tra cui quello della Protezione Civile. Con loro, le unità cinofili, non incuriosite né disorientate, abituate come sono a quella moltitudine in marcia.

Il libro di Claudio Spessotto
Neppure la folla, fitta, ordinata, attenta, silenziosa, assiepata lungo le transenne, coperta da una fioritura di ombrelli policromi, ha disertato per colpa dell’acqua che cadeva lentamente e silenziosa, come una benedizione. Molto commovente, il raduno, anche per chi non appartiene a questo Corpo pieno di eroi civili, tra l’altro sempre primi ad accorrere laddove esplode una calamità, come terremoti e alluvioni. Una festa ricca bandiere, stendardi, portati da giovani, adulti, vecchi, tra i quali uno di 97 anni, un altro di oltre 100, che procedevano con il passo cadenzato come gli altri “ragazzi”. Sfidano il tempo, gli alpini. Gli anni passano senza sfiorarli. Sarà perché sono abituati a marciare e magari a passare intere giornate all’aria aperta tra cime e pianori. Certo è che amano stare in compagnia, una bevuta di buon vino in osteria, fra canti improvvisati a gran voce. Ne ho conosciuti, di alpini. Alla Stramilano, dove sgambettavano con la penna nera sul cappello. Anche in quel fiume umano incontrai un “vecio” di quasi novant’anni, che non avrebbe mai rinunciato - proclamò – alla manifestazione dei 50 mila. L’alpino marcia con gioia senza sentirsi padrone della strada, senza paura dei chilometri da smaltire. E’ nobile, coraggioso, solidale, il cuore teso verso gli altri.

Controcopertina libro Spessotto
Gli alpini sono una famiglia, ha ripetuto una delle voci al microfono che regalava anche brevissimi cenni di storia delle tante sezioni, che scorrevano come un fiume placido. Essere alpino è orgoglio, onore, una medaglia sul petto. Il raduno una grande occasione d’incontro, un appuntamento importante. Restare a casa, mai! Come dimostrava a metà maggio la trasmissione di “Antennatrè”, mentre qualcuno non si limitava a seguirla, ma pensava anche agli scrittori con la penna nera, tra cui Giulio Bedeschi e Mario Rigoni Stern, il primo, autore de “Il segreto degli Alpini”, “Il Natale degli Alpini”, “Centomila gavette di ghiaccio”, “Il peso dello zaino”; il secondo de “Il segreto degli Alpini”, “Il sergente nella neve. Nuto Revelli, ufficiale degli alpini in Russia, padre de “Il Mondo dei vinti”, testimonianza di vita contadina, in un altro suo libro, “Mai tardi. Diario di un alpino in Russia”, ha raccontato l’amara esperienza degli alpini della Tridentina in quella parte del mondo. La storia e le storie degli alpini sono affascinanti e coinvolgenti. Spicca anche la figura di Leonardo Caprioli, presidente bergamasco dell’Associazione nazionale Alpini dal ’69 all’84.

 

Folcia all'opera
Un alpino di 80 anni, di nome Folcia, che abitava nelle case di piazza Belloveso, a Niguarda (Miano), tutte le mattine alle 8 andava in bicicletta al Parco Nord e trasformava in sculture i tronchi degli alberi morti. Una di queste raffigurava realisticamente un busto di alpino. E realizzandola con scalpello e martello chissà se mormorava una delle famose canzoni: ”Di qua, di là del Piave/ ci sta un’osteria/ Là c’è da bere e da mangiare/ e un buon letto da riposar”; o l’altra: “Sul cappello, sul cappello che noi portiamo/ C’è una lunga penna nera/ che a noi, a noi serve da bandiera/ Su per monti, su per monti e guerreggiar/ Oilalà”. I monti dipinti dal pittore Giovanni Segantini in tutta la loro bellezza e anche nella loro pericolosità. Insomma gli alpini hanno ispirato pagine e pagine e anche tavolozze di pittori consacrati: gli alpini sono nel cuore di tutti, esempio di fratellanza, coesione, amore per il prossimo. A volte hanno la faccia scura, come tutti, ma il loro cuore palpita per la piacevolezza dello stare insieme. E nella mattinata di quel sabato piovoso quel nastro multicolore lungo quanto un’autostrada toccava anche gli spettatori. Vederli avanzare con passo ritmico senza parapioggia, forti nell’anima e nel corpo, era entusiasmante, esaltante. Anche lo “speaker” in alcuni momenti appariva intenerito, quando sassofoni, trombe, tamburi, clarini, colonna sonora della giornata, suonavano passando davanti al palco delle autorità. Un evento memorabile, con uomini solidi, tenaci, fedeli al loro credo, animati da ardore e volontà ferrea, slancio, sensibilità. 

Alpini nella neve
Li abbiamo visti con le gambe affondate nella neve, con i fucili in spalla sempre fiduciosi, all’insegna dell’amicizia, sempre l’uno per l’altro, lieti nello scambio di generosità, dotati di grandezza d’animo. Ho conosciuto alcuni di questi uomini ammirevoli a Milano anche al “Fogolar Furlan”, allegri, discreti, schivi, senza orpelli, senza retorica, senza spreco di parole: la parola per loro non è una scatola vuota: va meditata, pesata, contenuta. Gli “speaker” di quella mattina acquosa (erano cinque ad avvicendarsi) ricordavano le vicende delle varie sezioni, facevano il ritratto dell’alpino, esponevano le sue imprese edificanti, il suo amore per il Paese in cui è nato, e non solo. Alpino per sempre. Peter Disertori nel suo libro “Naja-l’ultima vacanza” scrive: “Fare l’ufficiale degli alpini era stato sempre il mio sogno nel cassetto e non mi sembrava vero, quel novembre 1974, entrare in Val Pusterla fresco di nomina, con destinazione Brunico, 6° Reggimento Alpini…”. Commovente la preghiera dell’alpino: “Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balzo delle Alpi ove la Provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi purificati dal dovere, pericolosamente compiuto, eleviamo l’anima a Te, o Signore…”.

Agenda Alpini

La vita quotidiana degli alpini non è fatta soltanto di marce. Fanno escursioni in montagna di circa 10 ore, tra andata e ritorno, per mantenere il fisico in forma e allenarlo per gli sforzi più duri. Pesco tra i ricordi degli allievi della Scuola militare alpina del 40esimo corso, nel ’65, ad Aosta: “La maggioranza delle marce si svolse, armi e zaino in spalla, nella Valle del Gran San Bernardo verso le Punte Chalinge e sul versante destro della Dora, verso Pila e il Lago di Chamolè.

 

Precedentemente le vette toccate erano state più impegnative”. Ma l’alpino non tradisce la fatica. Va avanti e basta. Il libro descrive l’impegno di questi giovani gagliardi, tra cui le prime arrampicate a corda doppia in sicurezza. La roccia è la palestra dell’alpino. In queste pagine li vedi sorridenti, lontani dalla paura di una scivolata. Partono in vagoni anteguerra sulle rotaie e proseguono a piedi verso la mèta. Ancora un canto: “Cadorna manda a dire/ che si trova là sul confine/ ha bisogno degli alpini/ per potersi avanzar…”. Tre alpini tornavano dalla guerra, il più bello aveva un mazzo di rose in mano, la figlia del re quei fiori li volle per sé: è l’inizio di un altro canto. Gli alpini marciano tra canti e sudate. Allenati per non cedere alla neve, al vento, alle insidie delle rocce e a trascorrere “notti insonni “en plen air” per vegliare. Peter Diserori, “Naja”: “Non userò il grado, ma te la farò pagare, figliaccio”. “Comandi, mi ritengo bottigliato…”. “E gli offrii una bottiglia di spumante…Bicego divenne, di lì a poco, un degno compare di bisboccia…”.
 
 
Il secondo a sinistra è Claudio Cimolino

Claudio Cimolino
Ed eccolo di fronte a me un alpino dal cuore d’oro, dalle frasi brevi ed eloquenti: Claudio Cimolino, che ha superato da tempo gli anni verdi. Onnipresente nei raduni (è stato anche a Napoli per quello fatto per l’anniversario della nascita del Corpo, avvenuta il 10 ottobre nel 1872, fondatore Giuseppe Perrucchetti). Motto: “Di qui non si passa”. Da buon friulano, Cimolino va subito all’essenziale. “Essere alpino è un modo di vivere. L’alpino vive dei valori che gli sono stati inculcati. Quei valori restano dentro”. “Quali sono questi valori?”. “Il rispetto per il prossimo, la prontezza nel dare aiuto agli altri… Abbiamo conosciuto gli Alpini negli ultimi 30 anni attraverso la Protezione Civile, fondata dagli alpini, dal ministro Zamberletti dopo il terremoto in Friuli del 1976. Una devastazione, i vigili del Fuoco erano pochi, allora, per i soccorsi si riunirono tutti gli abitanti. Il mio paese, Carpacco, a 15 chilometri da Gemona, fu coinvolto nel disastro, come Venzone, rimasti come simbolo e modello di ricrescita.

Il cappello alpino

La notte i miei compaesani ricevettero una telefonata, in cui si chiedeva aiuto, salirono su un camion, lo riempirono di attrezzature e via a dare una mano ai loro fratelli: ‘fradis’ in friulano”. Ancora: “Il generale Francesco Paolo Figliuolo la sera di sabato era con noi all’incontro fra le autorità e l’Associazione Nazionale Alpini; e ha ricordato di essere il più anziano in servizio”. Parla piano, sottovoce, Claudio. ”Era una tua vocazione varcare quella soglia?”. “No. Nel ’64 fui chiamato per la leva; e siccome la cartolina l’aveva ricevuta anche mio fratello, mia madre mi pregò di fare qualcosa perché a partire non fossimo entrambi contemporaneamente; al Distretto mi suggerirono di presentare la domanda di ufficiale di complemento e il 15 luglio del ’65 entrai nella Scuola Militare Alpini ad Aosta. Scuola vera e propria, dove insegnavano le tecniche militari, ma impartivano anche lezioni di vita”. Per lui fare l’alpino era quasi naturale, visto che i suoi parenti erano o erano stati tutti alpini. In Friuli la tradizione è ai massimi livelli”. E mi mostra il suo cappello da alpino, lo indossa e io gli scatto una foto. “Per un alpino il cappello è tutto. L’ho indossato anche alla Stramilano”.

N.d.D. : Al 92° Raduno degli Alpini che si è svolto a Milano nel 2019, ebbi modo di assistere con mia moglie Silvia alla sfilata lungo i corsi principali della città meneghina. Una invasione di Penne Nere, provenienti da tutta Italia. Una festa a cui la gente assisteva festosa sventolando bandierine e cantando cori tradizionali. Per noi è stata la prima volta che assistavamo ad un Raduno degli Alpini; tante le emozioni provate nel vedere la partecipazione di tanti "eroi", insieme a giovani e meno giovani, di anziani fisicamente provati, ma con il viso, sotto un cappello prestigioso, gioviale e patriottico. m.a.

Nella foto Bruno Basso del Gruppo Alpini di Cittiglio (Varese) - papà di Giacinto, anche lui Alpino e di Donato, collaboratore di "Minerva News" - nato il 10 gennaio 1938, deceduto a 81 anni, il 29 giugno 2021.








La Preghiera dell'Alpino

Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l'animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi. Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore. Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall'impeto della valanga, fa che il nostro piede posi sicuro sulle creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi, rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana. E Tu, Madre di Dio, candida più della neve, Tu che hai conosciuto e raccolto ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli Alpini caduti, tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli Alpini vivi ed in armi. Tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni e ai nostri Gruppi. Così sia.

mercoledì 17 maggio 2023

I poliziotti che ho conosciuto in questura

INSTANCABILI, ESPERTI CANI DA TARTUFI

IMPEGNATI A RISOLVERE FATTI CLAMOROSI

Catalano, Jovine, Plantone

 

La rapina di via Osoppo; quella all’oreficeria

Colombo, in pieno centro; sequestri di persona;

rapimenti; gli anni di piombo; la bomba in via

Palestro; la strage del Lorenteggio. 

Una Milano insonne e tormentata.



 

 

Franco Presicci

Ne ho conosciuti di mastini negli anni, tanti, che ho frequentato via Fatebenefratelli, dove al civico 11 c’è la questura. Uomini che scattavano ad ogni segnale e rientravano quasi sempre a mani piene.

Piero Colaprico sul palco del Gerolamo
Li vedevo dalla finestra della sala-stampa, che si affaccia sul cortile, dove ci si ferma, andando in auto, per poi recarsi a piedi alle sezioni: Squadra Mobile, Sezione Omicidi, ’Antisequestri, Antirapine... Le notizie noi cronisti li raccoglievamo, alle 11, nell’ufficio dei Servizi Generali, dove il responsabile leggeva il mattinale e noi mettevamo nero su bianco i fatti che più ci interessavano chiedendo dettagli. Poi andavamo alla Mobile, quindi ci sparpagliavamo e bussavamo chi a una stanza, chi ad un’altra, sperando di poter mietere altro grano. Non tutti i poliziotti erano disposti ad aprire bocca, nonostante l’insistenza e i corteggiamenti, doti indispensabili per i cronisti affamati. E dire che con gli investigatori eravamo anche amici, tanto che qualche volta trascorrevamo belle serate in trattoria, tra piatti e bevande della casa, ma neppure un bicchiere di vino buono scioglieva troppo la lingua. Mettevamo più roba nel carniere quando intercettavano l’amico nel bar-ristorante di fronte. Tra gli amici più silenziosi io contavo Vito Plantone, grande poliziotto amante della buona tavola, della ‘nduia, delle mozzarelle del suo paese, Noci, e delle fave con la cicoria, ed era conoscitore come pochi della Milano di notte, che di tanto in tanto frequentava per motivi professionali, assieme a un maresciallo e a un sovrintendente. 
 
Mario Jovine
Ferdinando Oscuri

Un talento di investigatore alla Mario Nardone, come quelli di Mario Jovine, napoletano che tra l’altro suonava con abilità e passione la chitarra e amava la compagnia; Antonio Pagnozzi, Ferdinando Oscuri, detto il maresciallo di ferro, un coraggio da leone, che risolse tanti delitti, alcuni nel giro di qualche ora. Professionisti che non si risparmiavano e guidati da fiuto, intelligenza, esperienza s’impegnavano con slancio in fatti clamorosi, come la rapina del 15 aprile’ 65 all’oreficeria Colombo in via Sant’Andrea, in pieno centro, messa a segno da grossi calibri della malavita, a sette anni di distanza dall’assalto al furgone portavalori in via Osoppo. Questi pilatri della questura se ne sono andati. L’ultimo Paolo Scarpis, che fu questore di Milano e prefetto di Parma. Ho passato anni interessanti in questura. Anni anche movimentati. Sequestri di persona, regolamenti di conti, con uno, due, tre vittime in una sola volta, come il 29 giugno ’84, in via Selvanesco, “una fettuccia d’asfalto che si conclude in via De ’Missaglia”, come scrisse il mio collega Piero Lotito, che, pacato e tranquillo, ma sagace, corse sul teatro del triplice assassinio con la velocità di un levriero. Lotito, che è anche scrittore di grande spessore, era un “nerista” che raccontava gli avvenimenti come in un romanzo, e si faceva leggere con piacere. A volte mi sostituiva in questura, come io avevo fatto con Giancarlo Rizza, ma poi passò alla Cultura e la nera perse una pedina importante.

Nardone e Caracciolo

Presicci con Filippo Ninni 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fu seguito da un altro bravissimo nerista, Giorgio Guaiti, che preferì occuparsi di scuola; e io rimasi solo. Ma ero innamorato del mio lavoro e correvo senza esitare su ogni fatto e stavo poi attento a non farmi sfuggire particolari, quando c’erano. Tutte le mattine alle 10.30 varcavo il portone di quel civico 11, per salire al primo piano, a destra, e poi ancora a destra, per infilarmi in sala-stampa. La concorrenza era già lì, compreso il grande Alberto Berticelli, al quale mi legava un’amicizia schietta e una solidarietà ferma quando polemizzava per ciò che di discutibile gli capitava sotto gli occhi. Alberto era corretto, ma altri erano da trattare con le pinze (“absit injura verbis”), perché pur di guadagnarsi una medaglia con uno scoop, magari 10 grammi di eroina sequestrata, erano disposti a tutto Uno in particolare diceva che bisognava odiarli, i colleghi, per fare bene questo lavoro. Ciò nonostante, ero in buoni rapporti con tutti, anche se dovevo sempre stare con le orecchie tese e gli occhi vigili. Lavoravo di giorno e di notte, senza affanno. Se nelle ore piccole squillava il telefono, mi alzavo, mi vestivo in fretta, chiamavo il fotografo Dante Federici, che abitava nella mia stessa zona, Niguarda, salivo sulla sua auto e via verso l’indirizzo indicato, a volte sommariamente, se il fatto era accaduto in aperta campagna. La sera dell’8 novembre dell’87 captai la bruttissima notizia dell’uccisione di Mary D’Amelio, una studentessa di 17 anni seria, studiosa, obbediente alla famiglia, alla quale era molto legata. 

Berticelli, Rizza, Molossi

Ero a tavola dopo aver terminato il mio turno di lavoro. Scattai, avvertii il collega Nino Russo, che stava in redazione e non aveva ancora fatto il giro telefonico, e senza rimpiangere il piatto di spaghetti al ragù in venti muniti eccomi in via Candiani, alla Bovisa, dove tra scheletri industriali da film di Hitchcock, Incontrai anche l’ispettore capo Alberto Sala (tra l’altro pilota di elicotteri, oltre che “grande detective”, anni di lavoro in diverse parti del mondo, anche con l’Fbi). Svolgeva anche lui le indagini sul delitto, avvenuto a due passi dalla stazione ferroviaria, dove Mary andava a prendere il treno per tornare a casa.

Caracciolo, Pagnozzi, Colucci

Di quel delitto s’interessò anche Filippo Ninni, allora dirigente del commissariato Cenisio, e poi della Squadra Mobile, successore di Achille Serra, spostato a Roma come capo dello Sco (Servizio centrale operativo). Tarantino di Talsano, Ninni, che fra l’altro risolse il delitto Gucci, da chi praticava il malaffare era soprannominato ispettore Callaghan. Ne ha sequestrata, di droga; spedendo al “gabbio”, in gergo di mala il carcere, chi aveva le mani nella…polvere e altri. Ai tempi in cui Achille Serra era al vertice della Mobile, nel gennaio dell’86, sequestrarono 100 chili di eroina in un abbaino di viale Espinasse. Non credo ci fosse stato un colpo così grosso prima di quello. Commissari, vicequestori, sottufficiali, agenti: tutti preparati, bravi e coraggiosi. Non soltanto gli uomini, ma anche le donne. Non avevano esitazioni ad afferrare uno della mala per il collo, se faceva il gallo. Una notte assistetti a una scena in una trattoria della periferia che mi ispirò tanta ammirazione per la protagonista. Ne conservo, di avvenimenti, nella memoria. Una mattina alle 7 alcuni investigatori arrivarono in elicottero, raggiungendo altri già sul posto per un’operazione antidroga, durante la quale furono demolite un gruppetto di case minime, dove l’eroina e qualche arma venivano nascoste nei buchi delle pareti dei fabbricati fatiscenti. Ho avuto molte notti insonni, qualche volta al freddo o sotto la pioggia.

Il questore Paolo Scarpis
Aspettai a lungo sotto la sua abitazione un tale che doveva mostrarmi delle carte riguardanti un personaggio che, secondo lui, praticava il mondo sotterraneo, ma fu trattenuto al tavolo del gioco d’azzardo, che bazzicava di solito, e quando si presentò alle 3, entrò in casa e ne uscì dirigendosi verso di me, ma venne sopraffatto dalla moglie che quei documenti glieli strappò di mano, facendoli cadere in una pozzanghera. Fatti molto, ma molto lontani nel tempo. Ancora oggi frequento qualcuno di via Fatebenefratelli. Per esempio, Francesco Colucci, andato in pensione con la carica di prefetto. Quando lavorava conosceva tanti malavitosi, anche di grosso calibro, che lo rispettavano. Qualcuno l’ho conosciuto anch’io, grazie a lui, e recentemente mi ha mandato i saluti. Poi a Milano arrivò da Torino come questore Antonio Fariello, che io ero andato a intervistare qualche giorno prima nel capoluogo piemontese. Diventammo amici e mi parlava spesso dell’epoca in cui la mala aveva riguardi per chi stava dall’altra parte e non gli sparava addosso. Fariello aveva lavorato in via Fatebenefratelli e conosceva bene l’ambiente.
 
Rizza e il questore Fariello

Quando s’insediò a Milano, capo della Mobile era Achille Serra, che concluderà la carriera da prefetto, sfociando poi in politica. Ha scritto due libri, uno con il titolo “Poliziotto senza pistola”. Con Piero Colaprico, altro cronista eccellente, un vero cane da tartufi, capace di lunghe notti in bianco a macinare polvere e consumare scarpe, ho assistito a colossali operazioni antidroga, attenti a non essere scoperti prima dell’arrivo dei blindati, dell’elicottero e centinaia di uomini. Erano i tempi in cui sulla plancia della Mobile stava Eleuterio Rea, avendo come vice Nino D’Amato. Tra i poliziotti c’erano quelli della squadra antiborseggio. Avevano a mente tutte le “mani di velluto”, non solo italiane ma anche sudamericane e slave. La categoria agiva, e agisce ancora oggi, soprattutto sui pullman e sui vagoni del metrò, nelle ore di punta. Complice sicura e inconsapevole dei “topi”, la folla. Ne ho visti anch’io in un’incursione fatta da un maresciallo che passava più notti sulla strada che a casa, facendo anche irruzioni nelle bische clandestine. Da quello che  sento e vedo in tivù a minacciare le borse e le tasche dei viaggiatori oggi sono anche le donne, giovanissime, abili, agguerrite, insolenti, che schizzano via con la velocità del fulmine. Nel gergo della mala borseggiatori e borseggiatrici hanno diversi nomi: “fonditor di campana”, “furlano”, “giocoliere”. E le loro imprese “lavorà de monta e smonta sul dur” (borseggiare sui tram e sui treni). Il mestiere è vecchio come il cucco. Questi sono anche i tempi dei “trapezisti”, dei ladri che si arrampicano sui piani più alti con la destrezza delle scimmie. Torno in via Fatebenefratelli, dove ho avuto colleghi di notevole valore, come Giancarlo Rizza, Elio Spada, oltre a Berticelli, Fabrizio Gatti e altri... Molto prima di noi la sala-stampa era la casa di giornalisti del livello di Arnaldo Giuliani, Alfredo Falletta, Salvatore Conoscente. Mario Mercuri, Mario Berticelli, papà di Alberto, Max Monti.… E c’erano grandi neristi che lavoravano fuori della questura, come Fabio Mantica, Patrizio Fusar... Tutti professionisti che ai giovani non dicono nulla e invece hanno scritto la storia del settore. Non lavoravano con il telefono: fiutavano, correvano, indagavano, pedinavano elementi anche di livello internazionale Vito Plantone ricordava che quando usciva da un interrogatorio defatigante e s’imbatteva, magati a mezzanotte, nei cronisti in attesa, non li lasciava a bocca asciutta: rispondeva con pazienza alle domande se poteva e senza mai dire una parola che potesse compromettere le indagini. E poi andavano a mangiare un panino insieme. Giornalisti di ottima stoffa, abituati al sacrificio.











lunedì 8 maggio 2023

Lo incontrai in casa sua con Piero Lotito

CLAUDIANO, ARTISTA DI GRANDE VALORE

E UOMO ECCEZIONALE, MOLTO GENEROSO 

Claudiano

 

Amava Milano, ma non dimenticava il suo Brasile.

Amava la natura e d’estate preferiva andare al

Parco Sempione, portandosi dietro un libro. Gli

piaceva percorrere le viette del centro storico,

dove respirava la storia e dove avevano abitato

Montale, Carrieri, Piovene e la famosa contessa

Clara Maffei.





 

Franco Presicci

“Se non hai altro da fare, vieni con me che ti faccio fare un incontro interessante”. Stavo leggendo “L’amata alla finestra” di Corrado Alvaro, ma potevo tranquillamente interrompere e proseguire la lettura il pomeriggio. “Vengo a prenderti in auto”. 

Piero Lotito

E seguii Piero Lotito: ero sicuro che non mi avrebbe fatto perdere tempo. Mentre guidava aggiunse: “Se passi un’ora con la persona che stiamo andando a trovare, dimentichi tutti i problemi, se ne hai. Anche se tu sei sempre di buonumore, spensierato, e non avresti bisogno di passare qualche tempo con questa persona”. “Insomma, stai facendo tutto tu, pane e companatico. Mi hai suscitato tanta curiosità, manco se stiamo andando da Maradona o da Cassius Clay”. “ Vedrai, è un toccasana, un personaggio straordinario, dalla vita professionale intensa, ha una marea di ricordi, che lascia scorrere senza riuscire a contenerli”. “Non vedo l’ora di conoscerlo”. Arrivammo – ricordo bene? - in via Imbonati, occupammo un bel po’ di tempo per cercare un buco per parcheggiare, entrammo in un cortile, salimmo al primo piano, bussammo a una porta, sulla quale si stagliò la figura di un uomo di colore dal sorriso dolce. Ci presentammo, si chiamava Claudiano Zani, di origine brasiliana e viveva a Milano da 50 anni.

Lo chansonnier Enrico Simonetti
Mi riempì di cortesie, mi offrì una sedia un po’ invecchiata ma comoda e subito un caffè fatto a regola d’arte e mi fece un sacco di domande. Dalla cadenza aveva capito la mia provenienza pugliese e mi chiese se avessi mai incontrato difficoltà nei rapporti con i milanesi, che a volte milanesi non sono: hanno imparato il dialetto del luogo e ne fanno uso di contrabbando. Così mi disse e aveva ragione. ‘Sti pugliesi capatosta ma con tanto di cervello e altrettanto impegno nel lavoro, avevano il vizio di fare quest’affronto al paese d’origine. Amatela, Milano, è giusto, merita; ma non c’è bisogno di dire “sciura” per signora e “lader de pan de mei, per ladro di pane di miglio. Lo avevo letto anche nel libro “Puglia, il tuo cuore” di Giuseppe Giacovazzo, che aveva trascorso diversi anni a Milano, collaborando con Paolo Grassi. Mi risultò subito simpatico, Claudiano, che cominciò a parlare svelto, snocciolando brani della sua vita. Mi affascinava, coinvolgeva e travolgeva. Si commosse, rise, tornò a commuoversi e a ridere e a sorridere, come fosse su un palcoscenico davanti a una platea gremita. Era innamorato di Milano, l’aveva scoperta e continuava a scoprirla.

Via Claudiano
Amava il centro storico, i negozi illuminati, certe vie strette come vicoli e cariche di storia. Era innamorato anche del suo Brasile. Quando si trovava sul Naviglio pensava al suo Paese e quando stava a Rio de Janeiro pensava a Milano. “Sono le mie due città del cuore, quando sono qui voglio essere lì e quando sono lì voglio essere qui”. Parlava con il cuore in mano. Era schietto. Gli chiesi quale fosse per lui la parte più bella di Milano, sorrise e commentò: “Se ami una città, non puoi dire dove sia più bella, se sulle sponde del Naviglio Grande, che è una vera meraviglia, o in via Bigli, dove visse Eugenio Montale; o in piazza Belgioioso, un gioiello, una delizia della città”. Si fermò un attimo, come un ruscello che scende mormorando da una montagna: il tono della voce si attenuò e anche il ritmo del suo discorso. “In Brasile fino agli anni ’60 c’era un razzismo subdolo: se un lavoro teatrale comprendeva un personaggio di colore, l’interprete doveva essere un bianco che si dipingeva la faccia”, “Un atteggiamento anche ridicolo, oltre che stupido”, osservai. Non rispose. Non gli piaceva sputare invettive. Tutt’al più usava l’aggettivo “ingiusto”. Era una persona delicata, Claudiano. Prese subito confidenza, ma si teneva nei limiti del rispetto, anche con chi non dava certo prove di civiltà.

Intervista di Presicci a Patrizia Caselli e a Walter Chiari

A Milano aveva conosciuto tanti artisti di grande valore e notorietà, come Wanda Osiris, la Wandissima ammirata anche da Mussolini (una volta sul lungomare di Rimini il duce passò pilotando la sua auto, la vide e la salutò a gran voce), Walter Chiari, Giulietta Masina, Enrico Simonetti, Pippo Baudo, Mia Martini, “a cui volevo bene come a una sorella”. Di molti era stato compagno di lavoro e anche amico”. “Paola Borboni?”. Con me è stata sempre cordiale. “Ora ballo, suono, canto e imito i personaggi del cinema più in voga”.

Pippo Baudo

Subito dopo ancora un attimo di meditazione, poi riprese: “Negli anni 60 Milano era più tranquilla, più sicura. Non per colpa dei milanesi, ma dell’immigrazione massiccia. Io sono stato rapinato più volte”. Poi tornò indietro: “A Milano ho allacciato tantissime amicizie: con Giovanni D’Anzi (che bella quella sua canzone ‘Oh mia bela Madunina’, La cantano anche in Puglia e nella Capitale. L’arte di D’Anzi per me è universale. Avrei potuto fare carriera a Roma, ma mi invaghii di Milano“, questa città meravigliosa, pudica, ricca di cultura, di attrazioni d’arte”. “Lei può essere contento del suo ’curriculum’, Claudiano. “Si sono contento, appagato, quanto tu non pensi”. Passò al tu e io lo incoraggiai: di solito quando si intervista un artista è quello il pronome che si usa. “Hai voglia di parlare dei tuoi primi passi nell’agone dello spettacolo?”. “Certo, mi aspettavo la domanda. La mia famiglia era povera, ma quella in cui sono cresciuto era abbiente. E mi portava spesso al cinema. Avevo 4 anni quando ci andai la prima volta. Vidi film con Greta Garbo, Betty Davis, che mi piacevano moltissimo. Passarono gli anni e mi ritrovai fanatico del cinema. A casa imitavo gli interpreti che mi colpivano di più, come Robert Taylor, e chi mi stava intorno si divertiva, ma mai avrebbe pensato che un giorno avrei calcato le tavole del palcoscenico. Il mio pezzo forte era Paul Muni, il protagonista di Scarface. Quel film te lo potrei raccontare a memoria. Ce l’ho tutto qui” e puntò l’indice sulla fronte Quando assistetti alla proiezione di un film di Fred Astaire mi innamorai della danza e lui divenne il mio idolo. Intanto la mia voce cresceva, e a 9 anni andava meglio.

Claudiano

Mi esibivo nelle ore del dilettante, alla radio. A 19 anni la mia prima esibizione in palcoscenico”. “Studiavi molto?”. “Comperavo libri usati”. L’amore?”: “A 21 anni conobbi in Italia una pittrice belga. Era ebrea e durante la guerra si era rifugiata in Brasile. Per sfuggire ai tedeschi si era lanciata da una finestra dall’altezza di due metri. La incontrai in un bar frequentato anche da Vinicio de Moraes. Fu uno amore spirituale più che carnale. Poi andai a Parigi, dove lei veniva a trovarmi. Non ho più amato. Lei mi è rimasta nel cuore”. Gli occhi di Claudiano si arrossarono, brillando. Un attimo di silenzio. Guardò Piero Lotito, che seguiva con attenzione il discorso senza mai intervenire. Proseguì senza più interrompersi. Aveva tante cose da dire e voleva dirle tutte, o quasi. A Parigi si fece molti amici: Aznavour, Simon Signoret, Yves Montand… Li incontrava al Caffè Flore. Simon con lui era molto gentile, aveva un carattere aperto. Lavorò con Josephine Baker, poi dopo sei anni si trasferì.

Memo Remigi in una serata
Fece due serate a Saint Vincent con il balletto “La Brasiliana” e venne a Milano ospite del Carcano. Era il 1958, e faceva lo showman come Sammy Davis junior. E’ uno di quelli che hanno portato la musica brasiliana in questa adorabile città, dove era arrivato “per allargare il repertorio”. E fu colto da un colpo di fulmine: “Passeggiavo In Galleria Vittorio Emanuele, uscii in piazza Duomo e mi trovai di fronte a queto monumento stupendo, che è la Cattedrale. Lo ammirai estasiato. Mi sentii che come se il sole entrasse dentro di me. Non c’è un luogo, a Milano, che ricordi la mia terra. Milano è personale come personale è Rio de Janeiro. Hanno entrambi la propria personalità”. C’è comunque un luogo preferito d’estate per le sue passeggiate, ed è il Parco Sempione. Ci andava portandosi un libro da leggere. Ci andava anche perché lo infastidiva la folla. “In giro, soprattutto il sabato, ce n’è davvero troppa”. Tornò agli artisti che aveva conosciuto. Giovanni D’Anzi lo aveva incontrato in Galleria del Corso, dove avevano la sede molte case discografie, tra le quali le Messaggerie Musicali, la Carosello. In quegli gli anni ame capitava d’incontrarvi Domenico Modugno, Tony Renis. Johnny Dorelli, Caterina Caselli, Orietta Betti, Memo Remigi, il maestro Vittorio Mascheroni. La conversazione con Claudiano durò cica due ore. Prima di lasciarmi andare volle offrirmi un altro caffè. Lo ricordo spesso, con stima. Un uomo che sapeva rispettare gli alti, un artista eccellente. Claudiano è volato oltre le nuvole, quando era ospite di Casa Verdi, qualche tempo fa. La notizia me l’ha data Piero Lotito, del quale sta per uscire da Mondadori un altro libro, che aspetto di leggere come gli altri.

















mercoledì 3 maggio 2023

La Guida dei locali storici d’Italia

Quadreria del Santa Lucia

 

AI TAVOLI DEL “GAMBRINUS”

D’ANNUNZIO SCRISSE “A VUCCHELLE”


La storia dei locali più importanti

in 266 pagine, piene d’informazioni,

curiosità e altro. Il “Santa Lucia” nel

1929 lanciò la pizza a Milano; il Cova

nel 1868 battè addirittura moneta.

 

 

 

 Franco Presicci

“Complice l’oste-patriota, le Cinque Giornate partirono anche dall’Osteria del Boeucc, quand’era in via Durini, angolo via Borgogna. Il locale è tutto storia e classe. Fu trasferito nel 1939 nel palazzo che fu del giovin signore del Parini, nato nel segno del Piermarini, progettista della Scala…”. 

Galleria Vittorio Emanuele
Vi si entra dalla più bella piazza di Milano, la Belgioioso, sulla quale si affacciano le finestre della casa di “don Lisander”, l’autore de “I Promesssi Sposi”. Il ristorante Boeucc, di cui oggi è titolare Monica Brioschi, che vi fece ingresso alla morte del papà, mentre si preparava per l’esame da notaio. Data di nascita del “Boeucc”: 1696. Nella Guida dei “Locali Storici d’Italia”, è tracciata in breve la storia di questo locale, e di tanti altri, descrivendo gli ambienti e indicando le personalità che li frequentarono ieri e quelle che li frequentano oggi. Per esempio, in piazza Belgioioso si facevano vedere spesso lo scrittore Guido Piovene, che nel 1957 pubblicò il libro “Viaggio In Italia”; Toscanini, che “pasteggiava con mezza di Champagne”, Eduardo De Filippo, che incoronò gli spaghetti al pomodoro e basilico, con la frase: i migliori, fuori da Napoli, li servono qui… Sale sontuose, eleganti, luminose, accoglievano il grande critico letterario Giancarlo Vigorelli, direttore di casa Manzoni” e amico di Krusciov. Eccola, l’edizione della Guida 2022-2023, una bella camminata tra ristoranti, caffè, cioccolaterie, pasticcerie, dal Nord al Sud-Italia, passando per il Centro.

Santa Lucia, quadreria

 
Il battesimo del Cambio di Torino risale al il 1757. “Casanova ne parla nelle sue memorie”. Erano di casa statisti e ministri del Risorgimento: Rattazzi, Lamarmora, De Pretis. E anche Camillo Benso Cavour. Mario Soldati lo ha osannato in un racconto e in un romanzo. Comodamente seduto a un tavolo del Gambrinus di Napoli Gabriele d’Annunzio scrisse il testo di “A Vucchella”. Nelle bellissime sale con vista in piazza Plebiscito, meta di presidenti della Repubblica in visita nella città che splende sotto il Vesuvio, all’epoca della Belle Epòque accoglieva lo spettacolo del “Cafè Chantant. Nelle sue sale, sedettero Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao (fondatori del giornale “Il Mattino”), che in redazione arrivava in carrozza. Fra gli altri frequentatori, Marinetti, Croce, Hemingway… Al “Gambrinus” nacque il caffè sospeso.

Ristorante Santa Lucia

Il “Santa Lucia”, in via San Pietro all’Orto, a Milano, ha il merito di aver portato nel ’29 la pizza e la cucina napoletana nel capoluogo lombardo. I meneghini ai primi tempi la considerarono roba per meridionali, quindi la snobbarono. La chiedevano soltanto i… terroni e i poliziotti di piazza San Fedele, dove aveva sede la questura, che era vicina al locale. Ma poi - racconta Gaetano Afeltra nel suo volume “Milano amore mio” – il titolare espose un cartello: “A chi dalle 16 alle 19 prende un quartino di vino o un bicchiere di birra offriamo gratis una fetta di pizza e un frutto”. Fu un successo. Altro che roba da terroni. I fedeli del “Santa Lucia” vengono salutati da ben 400 personalità appese alle pareti. 

Catania, Ottavia Piccolo, Lotito
Sono Sinatra, Rascel, Sordi, Mastroianni, Ottavia Piccolo, Monica Guerritore, Angelo Musco, Totò, Paolo Stoppa, Rina Morelli Giuseppe Zecchillo, Walter Chiari, Tino Buazzelli, Pietro Mascagni, Gianni Brera, Wanda Osiris, Yves Montand, Adriano Celentano, Placido Domingo, Gabriele d’Annunzio, Paul Anka… A Bologna, in via Dell’Indipendenza, 8, sorge il Grand’Hotel Majestic, già Baglioni. Nella Guida si legge che “Marinetti, Balla, Russolo, Boccioni il 20 gennaio del 1914 erano qui in una sala a fornire chiarimenti e a discutere di duelli, dopo il polemico incontro all’università, dove accusarono la cultura bolognese di essere “muffa professionale”. 
 
Il baritono Giuseppe Zecchillo
Lussuoso, squisitamente ospitale, “tra marmi e specchi, ha accolto Sinatra e la Gardner, re e regine, i Savoia, Lady Diana…”. Situato sule rive del lago di Como, l’Hotel Villa d’Este “è circondato da un meraviglioso parco di 10 ettari. Costruito nel 1568 come residenza estiva del cardinale Gallo, venne trasformato in hotel di lusso nel 1873 e divenne luogo preferito dall’aristocrazia europea”. Dal 1913 il parco e la villa sono monumenti nazionali. In queste pagine si raccolgono tante informazioni di storia minuta, schizzata con sapienza anche nei bellissimi disegni di Gianni Renna.

Savini

“Nato nel 1867, il Savini, in pieno periodo Belle Epòche, situato in Galleria Vittorio Emanuele II, a Milano, ha avuto e ancora ha per la città lo stesso valore del Duomo, della Scala. Dall’apertura è il locale più elegante di Milano, salotto di personaggi importanti, letterati e giornalisti: Giuseppe Verdi, Maria Callas, Marinetti, che proprio al Savini firmò il Manifesto del Movimento Futurista, pubblicato nel 1909 su “Le Figaro”. “Oggi il Savini, suddiviso tra Caffè Bistrot e Ristorante gourmet, mantiene il suo legame con la storia, quella di Milano”. Luogo d’incontri d’amore e di affari. La Guida ci accompagna da locale a locale, da una cucina all’altra, fra pezzi di storia e architetture pregevoli. La si può tenere sulla scrivania anche per piluccarvi quando serve qualche curiosità. Lo sapevate che il Caffè Florian di Venezia è stato aperto alla città nel 1720 e che nel 2020 ha meritato, al compimento dei 300 anni di attività, un francobollo celebrativo”? Offre servizi di grande qualità e mantiene la sua fisionomia originaria, nonostante i secoli trascorsi. Sostando suoi tavoli, ci si può trovare vicini a stelle del teatro, del cinema, dell’arte contemporanea e del mondo dell’industria. 

Baratti & Milano _ Torino
 
All’Hotel Miramare di Castiglioncello (Livorno) il 19 agosto del ’44 “a un tavolo apparecchiato in giardino si sedettero Winston Churchill e i generali Marshall, capo di stato maggiore dell’esercito americano, Eisenhower, comandante delle forze statunitensi in Europa, Clark, comandante della Quinta Armata… Situato in un parco sopra il porticciolo e in squisito stile Liberty, era amato da Pirandello e Marta Abba, Toscanini, Papini, Soffici, Missiroli, Emma Gramatica…”. E la Pasticceria Confetteria Cova in via Montenapoleone, a Milano? Lì tutti i giorni alla mezza andava a fare colazione con le amiche Wanda Osiris, che abitava nei pressi in una bella casa con affaccio sul cortile interno e il maggiordomo che veniva ad aprire. “Cuore della vita milanese, nato a lato del Teatro La Scala, fu sede dei nobili “Club dell’Unione” e “Jockey Club”, circolo dei patrioti, e nel 1848 molti suoi avventori furono “tra i promotori dei moti delle Cinque Giornate contro l’Austria”. Nel 1868 battè addirittura moneta”. Servì Garibaldi, Mazzini, Verga, Boito… fu ispirazione per il verista Rovetta e fu citato in due romanzi di Hemingway…”. Ci andavano Mazzini, Garibaldi, Boito, Verga, Sabatino Lopez…
Antico Caffè Greco_

Questi locali hanno superato difficoltà, confitti mondiali: lo si ricorda nelle prime pagine della Guida, che cita, per esempio, l’Hotel Adria di Merano (Bolzano), progettato e costruito dai maestri del luogo del Liberty, “un salto nel fascino della Belle Epòche”, un gioiello gelosamente conservato; il ristorante Antico Martini, che ospitò gli eroi del Risorgimento. Nella presentazione si segnala anche che oltre ad avere almeno 70 anni di vita i locali che fanno parte dell’Associazione che pubblica la Guida devono aver avuto un ruolo nelle pagine della storia, attraverso gli avvenimenti memorabili di cui sono stati sede ovvero tramite i personaggi illustri che hanno ospitato. “Protagonisti degli annali come Napoleone”. Così il Caffè Camparino, che con il progenitore Campari è simbolo della cultura milanese tra Duomo e Galleria. Nell’albo d’oro, il re Umberto I° e Edoardo VII d’Inghilterra, oltre a giornalisti, artisti, imprenditori di altissimo rango… “Proprio agli angoli ultimi ad essere finiti – informano Guido Lopez e Silvestro Severgnini in “Milano in Mano -”si erano prenotati Gaspare e Letizia Campari”. Insomma “Locali Storici d’Italia” è una pubblicazione utilissima, che si legge volentieri, si consulta, fa scoprire tanti luoghi che fanno di tutto per conservare la loro identità. “E forse è proprio questa la particolarità dei Locali Storici d’Italia quel qualcosa in più che permette a questi antichi alberghi, ristoranti, grand’hotel, caffè letterari di tener duro, non lasciandosi sopraffare dagli avvenimenti rischiosi della vita e della storia umana. Questi luoghi, dove si gustano prelibatezze nelle atmosfere più spensierate, creati da personaggi, famiglie dal talento gastronomico e il proposito di creare e mantenere un’ospitalità squisita con eventi culturali sono un patrimonio inalienabile. La storia, come detto, si è seduta anche a quei tavoli, dove si è anche discusso, polemizzato, dato vita a Premi letterari e sono fioriti amori, si sono tessuti affari, si sono gustati ottimi piatti.