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mercoledì 28 settembre 2016

“Qui New York, vi parla Ruggero Orlando”


 

 

 

FU IL PRIMO CORRISPONDENTE RAI

DALLA GRANDE CITTA’ AMERICANA



Tra le sue telecronache più famose quelle dello sbarco di Armstrong sulla Luna e del "black out” del ’65 negli Usa e in Canada.

Lo intervistammo alla fine del settembre ‘73 poco dopo la sua nomina a direttore del battagliero settimanale “ABC”, fondato da Gaetano Baldacci, già padre de “Il Giorno”.





 


Franco Presicci



La Grande Mela dall'alto.
“Qui New York, vi parla Ruggero Orlando”. Molti forse lo hanno dimenticato, quel giornalista che apriva e concludeva i suoi servizi sul teleschermo sventolando la mano destra a mo’ di saluto. Comunicava come se si trovasse in un salotto con vecchi amici, ed era molto famoso e stimatissimo. Raccontò lo sbarco sulla Luna, e la notte di quell’evento, 20 luglio 1969, acquartierato nel centro spaziale americano, a Houston, in Texas, ebbe un battibecco con Tito Stagno, che era nello studio di Roma, sull’ora precisa in cui Neil Armstrong aveva messo piede sul satellite.
Ruggero Orlando era nato il 5 luglio del 1907 a Verona, con origini siciliane (Caronia, nel Messinese). Laureato in matematica, alle espressioni algebriche preferì la carriera giornalistica, iniziandola a Londra come corrispondente dell’Eiar (poi Rai). Scoppiato il secondo conflitto mondiale, fu la voce di Radio Italia, più conosciuta come Radio Londra. Passò poi a New York, dove lavorò dal ’54 al ’70. Tra le sue telecronache più note, anche quella sul “black out” del ’65 negli Stati Uniti e in Canada. Quando andò in pensione, assunse la direzione di “ABC”, settimanale molto battagliero fondato a Milano nel giugno del ‘60 da Gaetano Baldacci (già padre de “Il Giorno”, quotidiano rivoluzionario nella grafica, nella lunghezza degli articoli, nel numero delle colonne, nella prima pagina-vetrina…).
Strada di New York.
Alla fine del settembre ’73, andai a intervistare Orlando nel suo ufficio, dal quale si poteva vedere il Duomo, in quel periodo tutto incamiciato. Me lo trovai sulla porta e lo seguii nella sua stanza, spoglia, un divano, una specie di cassettone, un quadro appeso alla parete, la scrivania con pile di carte e di libri. Mi indicò una sedia e mi presentò la moglie, una signora gentilissima e discreta. Il giornalista indossava un abito scuro e una cravatta bordò, che mi dettero l’impressione di essere stati presi dall’armadio distrattamente. Sapevo che non era tipo da dare importanza all’abito e alla carica. Convenevoli? Macchè. Solo qualche sorriso veloce. Ascoltò senza interrompere i miei commenti non sempre positivi sul settimanale che si era battuto tra l’altro contro il canone Rai; sullo stile delle pagine curato dal pittore Sino Musso, ispirato dai quotidiani inglesi; sui vecchi collaboratori, tra cui Luciano Bianciardi e Giancarlo Fusco, giornalista esimio e scrittore, autore di “Le rose del ventennio”, “Quando l’Italia tollerava”…; e gli umoristi, tra i migliori in campo internazionale, come Jiulien Feiffer e Jan Jacques Sempè.
Altra veduta di New York.
Ero curioso di sapere com’era Ruggero Orlando al di qua dello schermo. Glielo dissi, e lui, serio: “Adesso non sono più sullo schermo: sono pensionato. Nella mia esperienza televisiva passata spero di essere stato sullo schermo più o meno com’ero al di là dello schermo”. Si accarezzò i capelli che gli scendevano sulla nuca, poi la fronte, e afferrò la prima domanda. Su Nixon. Rispose che era un uomo impopolare. Accennò alla guerra in Vietnam, “fondamentalmente sbagliata; esplosa per la fede illusoria e balorda che gli Stati Uniti avessero il compito di fare da sentinella del contenimento del comunismo nel mondo. Idea contro la quale i maggiori esperti di Asia avevano protestato, sia nel campo diplomatico sia fra gli stessi militari”. Era succoso, fluido, schietto, tagliente.
Un aereo sorvola due grattacieli.
Come nei primi tempi in cui cominciava a far la spola tra un giornale e l’altro e gli succedeva di dover dirottare verso la questura di piazza del Collegio Romano a Verona per essere ammonito su ordine del Fascio, “con grande preoccupazione di mia madre”. Non era un conformista; non aveva paura di manifestare le proprie opinioni. Ancora su Nixon: “Ha seguito un po’ la scia dell’ostpolitik di Willy Brandt, è capitato bene, la politica estera sua e di Kissinger ha dato un contributo alla pace. Ma Nixon, come persona, è un tipo chiuso in sé, incapace di contatti caldi, risente le critiche come un fatto personale”.
Domanda: “Alcuni sostengono che gli italiani siano alla ricerca della propria identità. Lei ritiene che noi abbiamo tutto da imparare dagli altri e niente da insegnare?”. “Diceva Oscar Wilde che poche cose vale la pena imparare, e sono quelle che non si possono insegnare. Gli inglesi hanno avuto lungamente una struttura unitaria nazionale, hanno imparato forse come nessun altro grande popolo l’arte della convivenza civile attraverso un’esperienza di libertà reale nell’ultimo secolo e di libertà relativa anche nei secoli precedenti. Benchè avessero avuto anche loro forme feudali abbastanza strette anche se un po’ più labili di quanto non fossero nell’Europa continentale. Gli inglesi sono perciò consapevoli della loro identità britannica. Hanno l’enorme tragedia di non essersi mai identificati con gli irlandesi e lì ha prevalso il contrasto di religione tra l’Inghilterra protestante e l’Irlanda cattolica”. E gli americani? “Per loro è diverso. Gli Stati Uniti sono stati creati da ondate successive di emigrazione, appunto per questa fluidità hanno la legge sui diritti per cui si sentono cittadini americani pur nelle loro infinite differenze.
Lella Cito * di Martina in un angolo di New York.
In Italia quello che dovremmo imparare dagli inglesi e dagli americani, che pure sono strutturalmente dissimili, è quello che si chiama civismo. Un esempio, diciamo, spicciolo? L’aggressività al volante. E’ una sorta d’inferiorità che si sfoga. Siamo stati una nazione per molto tempo divisa tra Nord e Sud, troppo sbilancio di storia, economia, etnico. Abbiamo avuto il ventennio fascista, che ha ritardato l’industrializzazione a causa dell’autarchia e ha interrotto la faticosa educazione civica e unitaria che l’Italia unita aveva iniziato…Un altro difetto? Gli italiani non sopportano le file: tentano sempre d’infilarsi nel posto dell’altro”. Uscì subito da quel terreno per dire che in quel momento, oltre a una crisi economica, ci affliggeva una crisi psicologica “che io, parlando all’estero, ho attribuito al grande ritardo che c’è stato nel formare l’Europa”.
Grattacieli
“Ne hai avute di soddisfazioni nella tua carriera”. “Davvero tante”. “E tante sono state le personalità da te intervistate”. “Ricordo Cassius Clay, che quando non ti insulta e non minaccia di prenderti a pugni, tira fuori una cordialità così vera, così spontanea, così travolgente che è un piacere parlargli. Quando lo incontrai chiamò il suo ‘manager’, che era italiano, e lo invitò a salutare i suoi compatrioti, chiedendomi poi di fare domande a suo padre e a suo fratello”. Bob Kennedy? “Nella frase citava Shakespeare e il diritto amministrativo. Dag Hammarskield, allora già ex segretario dell’Onu, usava un linguaggio diplomatico, riservato che non rivelava l’enorme complessità del suo carattere”. Nel suo soggiorno elettronico ricevette anche Lyndon Johnson, Frank Sinatra, il primo ministro canadese Trudeau, “che adesso mi dicono essere diventato meno ‘play boy’… Era l’ideale per le interviste…”.
Alle spalle di Lella * una cascata.
Alcuni si aprivano, altri non si facevano spremere. Rispolverai il giudizio che dava di lui Nicola Adelfi: “Ha una curiosità morbosa per i fatti della vita, non sa resistere a un’immagine che ferisce, ama la città e la notte, ha un gran senso dell’humour e una predilezione per il paradosso”. E’ vero, Orlando? “I paradossi mi piacciono, le storielle umoristiche anche, le raccolgo”. Sentiva molto il problema dei diritti civili, dei giovani, delle carceri; e si proponeva di dibatterli su “ABC”, temi da lui discussi da deputato socialista, eletto nel ’72, anche in convegni e altri eventi internazionali. Parlava pacatamente, guardando fisso negli occhi, andando subito al sodo. Senza enfasi e senza retorica. Cercai di attirarlo sul Premio Borselli assegnatogli nel ’71 come migliore giornalista dell’anno, ma schivò l’argomento. Fece lo stesso quando gli chiesi della sua partecipazione ai film “Il tigre”, “Il pap’occhio” e “Caldo soffocante”. Non amava raccontarsi, Ruggero Orlando, primo corrispondente della Rai a New York, deceduto nell’aprile del 1994, a Roma.


* La sig.ra Lella Cito è titolare di un negozio di ottica a Martina Franca  
   ed è stata in vari paesi del mondo.







mercoledì 21 settembre 2016

Serata indimenticabile, quella del 25 maggio ‘87


GRANDE FESTA PER RENATO OLIVIERI

PADRE DEL COMMISSARIO AMBROSIO





Il grande giallista, che Raffaele Crovi paragonò a Giorgio Scerbanenco,      



fotografava gli ambienti
prima di scrivere i suoi romanzi.



Prestava al Commissario di carta,
intelligente e amante dell'arte,
le proprie notevoli doti di
cultura.








Franco Presicci


Quella con il commissario Ambrosio nella cascina trasformata in lussuoso ristorante fu una grande serata. Il sagace poliziotto di carta, nato dalla fantasia del giallista Renato Olivieri, era una calamita; e per unirsi alla compagnia che lo festeggiava, il 25 maggio ’87,
Serra,Catalano,Jovine,Plantone,Caracciolo,Olivieri,Pagnozzi
arrivarono tanti investigatori veri: i questori Vito Plantone da La Spezia; Mario Jovine da Roma; Vincenzo Putomatti da Sondrio, Antonio Pagnozzi da Voghera. Enzo Caracciolo, ormai in pensione, ma con il cuore sempre in via Fatebenefratelli, sede della questura. Tutti al fianco di Umberto Catalano, al vertice della polizia milanese. Rizzoli aveva appena pubblicato le ultime imprese di Ambrosio raccolte nel libro “Largo Richini”, e pregai Guido Gerosa, scrittore e grande giornalista che aveva iniziato la brillante carriera al quotidiano del pomeriggio “La Notte”, passando poi a L’Europeo”, ad Annabella, al “Giorno” come vicedirettore, rimanendo appassionato di “nera”, di parlare dell’autore e della sua creatura.
Direttore del Giorno Rizzi,Gerosa,Olivieri,Giuliani
Dopo Gerosa, prese il microfono Arnaldo Giuliani, che della “nera” era un principe, e aveva una memoria di ferro (da poco aveva ceduto l’incarico di capocronista del “Corriere della Sera”). Intervistò tutti i Maigret presenti, ricucendo brandelli di storia della criminalità milanese. “Un ‘bouquet’ di questori come questo non si era mai visto”, disse subito Arnaldino, come gli amici chiamavano il vecchio cane da tartufi che si apprestava a lasciare Milano per andare a dirigere “Il Corriere Adriatico” di Ancona.
Plantone, Pagnozzi, Caracciolo avevano diretto la Squadra mobile, in quegli anni gestita da Achille Serra; e di episodi ne rispolverarono. Qualcuno mai imenticato.
Beria di Argentine, il giudiice Papi, la moglie di Jovine
Uno dei più memorabili accadde il 10 ottobre del ’56, alle 11.30, quando due fratelli un po’ fuori di testa arrivarono in motorino a Terrazzano, entrarono con uno stratagemma nella scuola elementare, estrassero le pistole e riunirono in un’aula due maestre e 96 bambini. Poi lanciarono dalla finestra un messaggio con la richiesta di 200 milioni in cambio della vita degli ostaggi. Cominciò l’incubo. Dopo sei ore una insegnante, spinta dalla paura, si buttò contro uno dei due, lottò con disperazione, riuscendo a disarmarlo; non mollò la presa, mentre il noto investigatore privato Tom Ponzi e un operaio tentavano di conquistare una finestra. Ci riuscirono, Ponzi, ex paracadutista, 120 chili di peso, mise a tappeto uno dei fratelli, l’operaio rimase ucciso nella confusione del momento. Alle 16.46 i bambini potettero essere riabbracciati.
Olivieri,2°a dx,ascolta Catalano
I cronisti dei giornali e della televisione, ospiti della manifestazione del maggio ’87, avidi di notizie, improvvisarono nel vestibolo del locale una sala stampa, e martellarono di domande dirigenti e sottufficiali di via Fatebenefratelli. Che tipo di gente bazzicava le bische? Chi le gestiva? Qual era il volume degli affari illeciti? Come si era trasformata la malavita?... Arnaldo, che conosceva bene la città, la malandra che vi allignava e il suo gergo, per il quale le forze dell’ordine erano “la madama” e “i caramba”, aveva già detto abbastanza; ma i cronisti volevano sapere di più. E appresero tra l’altro che molti di quei personaggi erano venerati dai furfanti per la loro umanità.
Non di rado, per esempio, raccomandavano ai loro uomini che andavano a perquisire le abitazioni di stare attenti a non svegliare i bambini, e se ne prendevano cura quando i genitori venivano impacchettati.
Catalano premia Olivieri
Vito Plantone, sempre molto misurato, disse che a volte le indagini prendono la strada giusta per merito della fortuna; Mario Jovine, raccontò la rapina di via Osoppo, 27 febbraio del ’58, l’arresto delle sette tutte blu che l’avevano realizzata e la decisione del capo della Mobile Zamparelli di portare tutti i “segugi” nella Chiesa di Santa Rita, di cui era devoto. Qualcuno ricordò i principi della cronaca di una volta, tra i quali Ferruccio Lanfranchi, e maestri come Tommaso Besozzi.
Serata in onore di Olivieri







Fu una serata interessantissima, alla quale parteciparono anche il procuratore generale della Repubblica Beria di Argentine, i pubblici ministeri Piercamillo Davigo e Francesco Di Maggio, generali della Finanza,colonnelli dei carabinieri…Piero Giorgianni, direttore de “La Notte”, si avvicinò a uno dei fotografi, Dante Federici, e lo pregò di portargli al giornale non oltre le 2, “cioè fra tre ore”, tutte le foto da lui scattate; e all’evento dedicò una pagina, con un titolo a sette colonne: “I ricordi della madama – Venticinque anni di cronaca nera raccontati da grandi poliziotti”. Gioiva, Renato Olivieri, uomo colto - per anni direttore della rivista mondadoriana “Arte” - che aveva prestato ad Ambrosio le proprie doti, compreso l’amore per la letteratura.
Giuliani, la moglie, Gerosa, Olivieri, Oriani
Raffaele Crovi il 28 aprile dell’83 aveva scritto: “Ho riletto il quarto poliziesco di Renato Olivieri, ‘L’indagine interrotta’ (Rusconi, pagg.158, lire 14.000). L’avevo già letto in versione dattiloscritta: l’ho riletto con il sottile piacere con cui si beve, stagionato di un anno in bottiglia, il vino già riconosciuto buono alla spina della botte”. Aveva scoperto Olivieri giallista nel ’77 e aveva tenuto a battesimo il suo primo thriller, “Il caso Kodra”. Lo considerava, accanto ad Augusto De Angelis e Giorgio Scerbanenco, il terzo talento della narrativa poliziesca italiana. E il 15 maggio ’87 Oreste Del Buono, elogiando su “Repubblica” “Largo Richini” e tutto il lavoro di questo egregio scrittore, titolo “Tour guidato con omicidio”, attraversò con Giulio Ambrosio le vie e le piazze teatro degli omicidi di cui si era occupato: Porta Lodovica, via Donizetti, viale Romagna, piazza Napoli, largo Gemelli…: luoghi che Olivieri, come sempre, aveva esplorato prima di mettersi a scrivere, fotografandoli con la sua “Leica”.
Il giornalista Abbiati con il libro di Olivieri
Ero amico di Olivieri. La serata del 25 maggio ’87 l’avevo organizzata io, mettendoci tutto l’impegno possibile. Un paio di anni prima avevo pregato lo scrittore di presentare il libro “Belmonte” del tarantino Franco Zoppo all’Associazione regionale pugliesi, in piazza Duomo, dove il responsabile delle attività culturali era Filippo Alto, ma all’ultimo momento aveva avuto un problema. Gli chiesi di venire con me in auto a Brescia, dove le “donne elettrici” mi avevano invitato a una cena con Vito Plantone, questore in quella città, annunciandomi che dopo avrei dovuto intervistarlo sul palco di un prestigioso teatro. Ne approfittai per parlare anche della produzione di Olivieri, che a sua volta sottolineò le virtù umane e professionali di Plantone, di cui conosceva l’opera svolta in via Fatebenefratelli e altrove.
 La serata continuò con pochi amici in casa di Vito. Io sapevo che con lui si faceva sempre tardi e non mi accorgevo del tempo che passava. Ma Olivieri, con il suo solito garbo, mi sollecitava a salutare. Era un gentiluomo. Uomo discreto, cordiale, generoso, di poche parole, pittore, oltre che scrittore. Amava profondamente Milano. Nei suoi romanzi l’ha descritta nei minimi particolari, facendola assurgere a personaggio delle sue storie.
Nato nel ’25 a Sanguineto, in provincia di Verona (il paese di un altro grande, Giulio Nascimbeni, giornalista e biografo di Montale), era milanese con convinzione. Un giorno, dovendo io scrivere un pezzo per la prima pagina del “Giorno” sullo sconosciuto che in zona San Siro tormentava il fondoschiena dei passanti sparando frecce con mira infallibile, gli chiesi un parere da giallista. E anche se dal “Giorno” era passato al “Corriere” non si schermì, per cortesia e amicizia.





mercoledì 14 settembre 2016

La storia del libraio-editore di viale Tunisia, a Milano



NICOLA PARTIPILO, BARESE AUTENTICO


DA BARISTA A RE DELLA MILANO DI CARTA

                                  

 

Ha pubblicato volumi prestigiosi, da “I Cortili” a “Le Cascine” ai “Castelli”, a “I Navigli”, con immagini di grandi fotografi (Fulvio Roiter, Mario De Biasi…) e testi di autori famosi, come
Ferruccio De Bortoli, Guido Vergani e Carlo Castellaneta.

 






Franco Presicci


Pochi “terroni” (absit iniuria verbis) possono vantarsi di conoscere ogni angolo di Milano, dai confini con Rozzano o Segrate a Cassina de’ Pecchi; da via  Novara a via Gattamelata... Nicola Partipilo può farlo.
Ma indurlo a parlare è  impresa ardua. 

Gianni Brera con la pipa
Ogni tanto dice di essere uno di quelli che vanno  subito al nocciolo, ma il resto delle parole affoga nei 
silenzi.Tuttavia, tenta e ritenta, sono riuscito a  stimolargli la favella. E ha cominciato con una filippica contro la crisi e il costo degli affitti, triplicato, che ha costretto più d’una libreria a spegnere definitivamente le luci. Dopo lo sfogo, legittimo, ha preso il discorso su Milano, soffermandosi sui libri che ha pubblicato: sui Navigli, sui ponti, sul Liberty, sulle piazze, sui monumenti, sulle chiese, sui personaggi che hanno fatto la storia della città e della Lombardia. E, facendo un’eccezione, incalzato, ha anche parlato di sé.
Naviglio grande

L’idea di accoppiare l’attività di editore a quella di libraio spuntò anni fa, quando già aveva dato alle stampe per un amico “L’alimentazione in 100 libri più uno”. Ci prese gusto, e andò avanti, con “Sapessi com’è strano conoscere Milano”, introduzione di Enzo Jannacci. Continuò con “Una Milano mai vista” di Leonida Villani, ex capoufficio stampa del Comune di Milano, proveniente da “La Gazzetta di Parma” di Baldassarre Molossi, giornalista rigoroso e gentiluomo.
Il libro, come i precedenti, era in bella veste tipografica ed era interessante, tanto che qualcuno gli suggerì di dedicargli una serata, protagonista Piero Mazzarella,
Mazzarella-Presicci
attore di prima classe che recitava al teatro Gerolamo commedie in dialetto meneghino. L’idea gli piacque, e per la cerimonia scelse un ristorante dalle parti del Corvetto, dove affluirono centinaia d’invitati, compresi giornalisti e autorità. Tra i relatori Luciano Visintin, de “Il Corriere della Sera” (ex direttore de “Il Corriere dei Piccoli”), autore di migliaia di pagine milanesi, comprese quelle sul Duomo. In cambio, Mazzarella, dotato di una generosità più unica che rara, chiese un orologio di bassissimo costo (una trentina di migliaia di lire) da aggiungere alla sua collezione. 
E quasi si irritò quando se ne vide consegnare uno molto più costoso. Basso, in carne, quasi calvo, intelligente, concreto, riservato, volitivo, occhiali sulla punta del naso, oggi sessantasettenne, Partipilo è agile come un primate. Sale e scende le scale in metallo della sua libreria per prendere Omero, Freud o Eco da uno scaffale in alto; è sempre di corsa anche quando va con un cliente a prendere un caffè al bar di fronte, eppure la sera, al momento della chiusura, non è mai stanco. 

 2°a sx Partipilo-a dx Gianni Brera
Anzi si sente pronto a rimettersi in moto, spinto da una grande passione per quello che fa.

E’ nato a Bari, dove, quando può, torna, perchè, dice, neppure gli uccelli dimenticano il nido. E alla sua culla va spesso il suo pensiero.“Ero un moccioso il giorno in cui fui preso come fattorino da Spinelli, commerciante di bibite e alcolici. Portavo il vino con il triciclo fino al portone delle case e poi, a piedi, al quinto o al sesto piano.
Con un compenso di duemila lire la settimana, mance a parte. In ditta andavo in bici, e durante il tragitto, pedalando, mangiavo un filone di pane senza companatico. Con 200 lire compravo una cassetta di mele e le facevo fuori in un baleno”. 

Renzo Cortina
Ma la sua mèta era la metropoli lombarda. Se la sognava di notte. Per niente al mondo ci avrebbe rinunciato.Così una mattina andò alla stazione, prese il treno e si lasciò alle spalle il quartiere Carbonara. Nella terra del Porta trovò impiego in un “trani”, come all’epoca venivano chiamate le osterie aperte dagli immigrati dell’omonima città pugliese (sull’argomento Pappalettera ha scritto un libro, in cui descrive le atmosfere, i frequentatori, gli arredi, gli affari, gli incontri…). “Era noto per gli ottimi vini. Facevo il barista.
 Mi alzavo alle 5 e alle 6 ero già dietro il bancone. Smettevo alle 21. Il primo giorno il padrone mi servì una tazza di latte e una michetta. Io avevo un gran fame e il giorno successivo di latte riempii una pentola, immergendovi una ventina di rosette, che per me e per gli altri come me erano fatte d’aria”. 

Galleria V.Emanuele II
Faticava come un negro, riposo solo il pomeriggio di Natale. Quando i titolari lo portarono in Duomo e sui navigli rimase affascinato. 

Tuttavia, chiesto consiglio a San Nicola, protettore della sua città, vi rientrò. San Nicola però non lo consigliò bene, o almeno fu questo il sospetto che assalì improvvisamente Nicola, sedotto dal canto di una sirena: “Che cosa hai fatto? Non è stato San Nicola a spingerti sulla via del ritorno. 
La tua domanda deve essere stata intercettata; oppure non hai capito bene la risposta. Riprendilo, quel treno…”. Obbedì e rieccolo a Milano. In viale Tunisia, fattorino della libreria di viale Tunisia (dove diventerà proprietario nel ’66). 

“Andavo a ritirare i libri dalle case editrici e sia all’andata che al ritorno mi fermavo davanti ai palazzi patrizi; ammiravo il Liberty di corso Venezia, i bastioni…; entravo in un cortile settecentesco e vi scoprivo giardini con archi, fontane zampillanti, sculture, pergolati, siepi, aiuole… “Meditavo su tanta bellezza, quando Alberto Lorenzi mi chiese di pubblicargli ‘I segreti del varietà’. Scelsi l’immagine per la copertina, Totò che esce da una cassapanca, e gli dissi di sì”, coinvolgendo me per la prefazione. 

N.Partipilo-E.Biagi
Io però ero del parere di fare un’intervista a Wanda Osiris e di collocarla nelle prime pagine, e lui:“Benissimo, proviamo”.

Una settimana dopo eravamo nella elegantissima casa della Wandissima, in via Sant’Andrea, in pieno centro. L’attrice mi parlò dei suoi trionfi, anche al teatro Orfeo di Taranto; dell’ammirazione che Mussolini nutriva per lei; dei gerarchi che l’applaudivano dalla prima fila; della colazione che negli ultimi tempi faceva da Cova con le amiche…mentre Nicola dal balcone contemplava il giardino e, rapito, tardava a bere il caffè che il maggiordomo in livrea aveva messo sul tavolino. 

Cortile sul Naviglio
Il libro uscì, e venne recensito da tutti i giornali e dalle televisioni. Nacque così la Celip (Casa editrice libreria internazionale Partipilo). 

Ogni anno un volume prestigioso: “Milano liberty”, foto di Fulvio Roiter e testo di Guido Lopez; “I cortili”, testo di Lopez  illustrato da Mario De Biasi; “Le cascine”, foto di Piero Orlandi e testo del sottoscritto; “I castelli” di Andrea Bosco; “Le stagioni di Milano” di Carlo Castellaneta; “Le chiese”, di Giancarlo Botti…; e poi libri più corposi, spettacolari: “Natività e presepi”, “I venticinque secoli di Milano”, “Il volto perduto della città”, “I Navigli”, con inmagini meravigliose, spesso inedite, mappe, disegni, documenti, capitoli di Guido Vergani, Gaetano Afeltra, Giuseppe Pontiggia, Empio Malara, Franco Presicci…  

Aldo e Renzo Cortina
Opere, curate da Roberta Cordani, presentate da Ferruccio De Bortoli, direttore del “Corriere della Sera”, da docenti universitari, architetti, storici dell’arte, sovrintendenti di museo…nel salone della storica, esclusiva Società del Giardino; alla Basilica di Sant’Ambrogio, a Palazzo Clerici, allo Spazio Prospettive d’arte di un altro egregio pugliese; Mimmo Dabbrescia…

La libreria di viale Tunisia era diventata famosa grazie al libro con fezionato in casa “Milano testi”: elenco di tutti i titoli scolastici in vendita in città”. Uomo ricco di idee, stimatissimo, Nicola accolse con tutti gli onori Gianni Brera, Enzo Biagi e altre personalità della cultura e del giornalismo… Era amico dei tre fratelli Cortina, tutti librai. Renzo, che era anche gallerista (da lui esposero Dino Buzzati, Vittorio Alfieri, Filippo Alto…), nel ’75 scrisse “Horca myseria – ovvero origini, splendore e decadenza del sogno di un libraio di piazza Cavour”; Aldo, pittore allievo di De Pisis; Mario. “Mi hanno insegnato tante cose”, ricorda Nicola Partipilo. Anche lui oggi avrebbe lezioni da dare: su Milano e sulla Lombardia.






mercoledì 7 settembre 2016

“Sagra dù Diaulicchie ascquante” a Crispiano

 

GRAN FOLLA PER SUA MAESTA’ CHE DOMINAVA NEGLI STAND




Prof. Massimo Biagi

 

Onorato anche il pomodoro giallo-rosso che naviga verso lo "Slow-food".

 

Lo rivela Alfredo De Lucrezis presidente dell’Associazione “Amici da sempre”, organizzatrice della Sagra.












Franco Presicci

Musica e migliaia di sudditi alla Sagra di sua maestà il peperoncino a San Simone, frazione di Crispiano. Il 3 e il 4 settembre.
Spaghetti e diavulicchie
I parcheggi e le vie di accesso erano intasate già un’ora prima che venissero aperti gli stand. Alle 20 via Martellotta, quella della festa, formicolava di appassionati. Il professor Massimo Biagi, dell’Accademia italiana del peperoncino, docente all’Università di Pisa, collezionista e notissimo esperto della spezia adorata in tutto il mondo, dalla Cina all’Europa, nel suo spazio, con l’insegna “Peperoncini nel mondo”, presentava i suoi esemplari più pregiati, dalle forme, dalla piccantezza e dai colori più diversi. Tra questi, l’“Erotico”, incrocio fra due specie peruviane di sua invenzione, come l’ibrido “il Dente di coyote”. Interessantissimo l’“Habanero meravigliao”, boliviano e brasiliano. Ed ecco poi la pianta più rara al mondo: “Pimento del Sahara’”. Gliela invidiano tutti, e in tanti gliela richiedono, ma lui non la molla. Il peperoncino più piccante? “Il Carolina Reater”, 2 milioni e 200 mila nella scala “Scoville”. Non scherza neppure il “Rocoto”. Lo “Scotch Bonnet”, uno dei più noti soprattutto in Giamaica, dov’è detto “Palla di fuoco”. Sollecitato, il professore ha raccontato di Zubin Metha che, abituato ad andare ai concerti tenendo in tasca un peperoncino, la sera in cui lo aveva dimenticato tornò apposta a casa per prenderlo. E di padre Pio, che da ragazzo stette molto male, divorò tutta la peperonata preparata per i contadini dalla mamma, e guarì immediatamente. Sono un esercito gli estimatori del peperoncino. Della famiglia facevano parte anche Che Guevara; e persino Mao Tsè-tung, che lo considerava virile e rivoluzionario.
E’ cortese, pacato, il professore; la sua presenza dà più lustro alla Sagra “d’u puperùsse asquànte”, per Michele Annese, che è stato segretario generale della Comunità Montana a Gioia del Colle e a Mottola e impareggiabile direttore della biblioteca “Carlo Natale” (e fondatore dell’Università del Tempo libero e del Sapere).
Rita De Lucrezis con la figlia Claudia Carbotti
In un altro stand troneggiava Simone Rodio, grande “chef” che insegna nella locale scuola alberghiera. La gente assiepata davanti a piatti fumanti e profumati lo salutava con riverenza, e lui rispondeva con cenni del capo, preso dalla elaborazione della specialità di quest’anno: strascinate di Senatore Cappelli con pomodoro giallo-rosso di Crispiano…
Mozzarelle fatte al momento
“Io ‘u diavulìcchie ascquante’ lo venero – sussurrava un vegliardo in coda – : aiuta nelle situazioni più intime, e scusate se è poco…”. Passeggiavo con Michele, aspettando Alfredo De Lucrezis, impegnato in un colloquio con una persona importante, chi dice un politico, chi un produttore del gioiello locale: il pomodoro giallo-rosso. Annese rifaceva il suo numero, mentre io mi riposavo su un muretto, per colpa delle gambe che minacciavano di cedere. Cercavo tra la moltitudine il volto da moschettiere dell’anfitrione, ma non lo vedevo. Lo segnalavano in marcia verso di noi. Intanto esaminavo le figure che facevano la ronda nel tratto in cui eravamo appostati, ascoltavo i loro dialoghi. ”Tutte queste persone arrivano dagli altri paesi, addirittura da Monopoli e da Francavilla…io da Martina Franca: questo è un evento da non perdere: si celebra ‘u diavulìcchie’, che tra l’altro porta fortuna…”.
Presicci con il presidente Alfredo De Lucrezis
Infine il miracolo: il latitante con il fiato in gola. Si è scusato, ma aveva la nostra comprensione, e anche l’ammirazione, per il suo impegno. Si è seduto accanto a me, mentre Michele in piedi e ritto come un corazziere, coglieva ogni sua frase sul pomodoro giallo-rosso (mi sembrano i colori di una squadra di calcio). “E’ un pomodoro da serbo, che raccogliamo ad agosto e settembre e lo conserviamo fino a giugno dell’anno dopo. E’ molto saporito, molto ricco di semi, molto richiesto soprattutto dalle focaccerie. Ci stiamo dando da fare per ottenere il presidio slow-food, anche perché questo pomodoro è antichissimo e se ne tramanda il seme da padre in figlio. E’ venuto a trovarci il responsabile nazionale dei presidi, Francesco Sottile, dell’Università di Palermo, che ha voluto anche visitare le piantagioni”. “Hai assaggiato il primo piatto-principe della Sagra? L’ strasc'net crispianesi, fatte usando grano della Comunità Senatore Cappelli, che abbiamo trasformato in farina in un mulino di pietra delle nostre parti”. “Chi ha modellato l’ strasc'net?”. “Sono state fatte in un pastificio locale, cucinate e condite con pomodoro giallo-rosso e olive leccine di Crispiano, della masseria Mita”. Non le ho mangiate: c’è tempo.
Alfredo si è volatilizzato; e noi abbiamo ripreso la passeggiata, sfiorando lo stand delle “Fecazzèdde”; quello in cui si preparavano all’istante le mozzarelle con una spolveratina “de diavulìcchie ascquante”, altrimenti detto “condimento del diavolo”; quello della trippa al peperoncino, della pasta con fagioli con il peperoncino, del gulash, delle polpette con peperoncino e dei dolci…Lunga vita al peperoncino.
Caleandro-Santoro- Presicci
Dopo una foto al campanile della chiesa dell’Arcangelo Michele, macchia di luce nel cielo buio, ci siamo imbattuti nei volti di Totò ispirati dai film dell’indimenticabile attore, eseguiti da un figulo di Grottaglie, che affermava orgogliosamente di essere amico della famiglia De Curtis. “Sai chi è Liliana?”. “Chi, la figlia. O la moglie? Non lo ricordo”.
Subito dopo dalla calca spunta il virtuoso fisarmonicista Vito Santoro, con il suo amico che vive a Milano Pino Caleandro, animatore di tante serate, uomo dalle battute fulminanti, anch’esse al peperoncino. Un abbraccio sincero fra le lodi a Michele Annese e alla sua bravura dimostrata come pilota della biblioteca della città delle cento masserie. Lungo il viale che collega la chiesa a piazza Martellota, abbiamo incontrato, davanti al suo chiosco, un simpatico personaggio, pronto ad illustrarci “Claudiotto”, (battezzato al momento), il cornetto a lievitazione naturale, farcito con marmellata al peperoncino abbinata con pistacchio, ideato da Claudio Conserva dell’”Ideal Bar”, pasticceria nata nel 1947 ad opera del papà Vincenzo.
Sara Greco
Chef  Rodio  Simeone
“Torniamo alla postazione di Simone Rodio”. Ho accettato l’invito di Michele per una brevissima conversazione con il re dei fornelli, tutta sulle strascinate di Senatore Cappelli “con pomodoro giallo-rosso, olive inchiostre e frizzoli di maiale amalgamate con extravergine e peperoncino. Ricetta a chilometro zero, cioè fatta con prodotto del territorio crispianese”. Gli avventori aggruppati ordinavano e Simone fremeva. Lo abbiamo liberato, lasciandoci fagocitare dal fiume di visitatori che scorreva calmo, qua e là costretto a deviare da quelli che sostavano per chiacchierare, magari sulle qualità anche terapeutiche, vere o presunte, del peperoncino. “Fa bene allo stomaco, al fegato, è un toccasana per l’artrite”. E’ l’apoteosi d’”u diavulìcchie ascquante”. Un tale bassino, tracagnotto, il capo argentato, tono da intenditore teneva una lezione su l’”Habanero” che per qualche anno, dal 1999 al 2006, ha avuto l’onore del Guiness dei primati per la sua piccantezza. E’ stato spodestato da altre varietà, ma continua a difendersi bene. Nella categoria i campioni hanno tutti vita breve: non riescono a detenere il titolo per molto tempo. “Vero, professor Biagi?”. Anche il professore è accerchiato e la risposta è rimasta inevasa. Comunque, competizione a parte, il peperoncino è diffuso dappertutto, in India, come in Africa. Da noi, a Diamante, in Calabria, si svolge un concorso nazionale, dove non so se il tale che tempo fa vinse per averne mandato giù un chilo sia stato superato. Una fotocopia di Walter Chiari si meraviglia: “Un chilo?”. “A Oria il vincitore ne aveva assunto 700 grammi”.
Gran folla agli stand
Gruppo folk balla "La Pizzica"
Ai meno allenati, sentenzia chi sa, potrebbe far male anche una quantità molto più limitata. E’ sempre questione di misura. “In medio stat virtus” (ricordate Orazio?). Mi veniva in mente l’amica lucana che a pranzo mi mise sotto il naso una montagna di spaghetti con tanto di quel peperoncino da infiammarmi la gola. Invocai il santo di cui porto il nome, e feci un enorme sforzo per non chiamare i pompieri. Effetto della capsaicina: a cui è legato il sapore aggressivo del peperoncino, che era il condimento dei poveri, impossibilitati ad usare il pepe di Samarcanda o di Giava, costosissimo e quindi destinato alle mense dei benestanti e dei sovrani. E’ folta la storia di questa spezie. A Crispiano non tutti sembravano interessati, mentre mangiavano chi la zuppa di fagioli, chi le pennette, chi la trippa, tutti infuocati, compreso il panino. La sera dopo, ancora tanta gente, che ha privilegiato, come primo piatto, una bella Amatriciana per contribuire alla raccolta di denaro in favore dei terremotati.