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mercoledì 28 ottobre 2020

Luoghi da visitare e ammirare

NELLE MASSERIE DI CRISPIANO SI RITROVANO VALORI ANTICHI. 

Vito Santoro e Armando De Salis

 

Vi si svolgono tante manifestazioni

interessanti, artistiche, culturali e non,

con cene, suoni e spettacoli e la

fisarmonica di un virtuoso, Vito Santoro,

impegnato nell’impresa di far rinascere

la serenata.

 

                                                                       

 

Franco Presicci 

Il 14 novembre Crispiano innalzerà il gran pavese per il centenario dell’autonomia comunale, che sciolse il suo legame con Taranto. Avvenimento importante non soltanto per gli abitanti del luogo, oltre 13 mila, ma anche per chi, pur non essendovi nato, ama tornarvi, attirato dai festeggiamenti per la Madonna della Neve e dalle tante manifestazioni realizzate nel quartiere di San Simone o nelle masserie o nelle strade.
 
Antonio Palmisano,Emanuele De Vittorio,Vincenzo Angelo Arces
Ben cento di queste architetture rurali sono disseminate nel territorio, tanto che Michele Annese, quando era dinamico ed appassionato pilota della Biblioteca “Caro Natale”, mise mano al bellissimo volume, con foto straordinarie di Romano Gualdi, di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena: documentazione preziosissima. Un libro arioso, sostanzioso, con pagine in carta patinata, elegante, da leggere e da vedere: un libro che fa intraprendere un lungo viaggio tra ulivi saraceni dai tronchi possenti, spettacolari; cortili; tratturi; interni con scene di vita quotidiana; un vecchio contadino con baffi alla Einstein; uomini impegnati in lavori agricoli; una distesa di verde inondata dal sole; una grotta con la bocca aperta su un campo seminato...: un mondo antico che qua e là si prolunga fino ai nostri tempi, sia pure con protagonisti diversi, nei fabbricati e nella loro terra, che succhia in tante parti la fatica dell’uomo.
 
Masseria Francesca

Rivedo le masserie da me visitate: l’Amastuola; la Fanelli, che in un’immagine presenta il paiolo sul fuoco del camino; la Russoli, con la sua popolazione di asini di Martina Franca, che sin dai primi del ‘900 venivano esportati in ogni Paese, compresi gli Stati Uniti; la Pilano, del XVII secolo, con la sua grotta carsica; la Belmonte, del XIX secolo, dove nella gola del camino fu scovato il brigante “Pizzichicchio, al secolo Cosimo Mazzeo; la Francesca, data di nascita XVIII secolo, vicina a un caratteristico jazzo con segni di abitazioni di epoche remote; la Monti del Duca, del XV secolo; le Mesole, XVI-XVII secolo, cappella dedicata alla Madonna del Rosario, garitte di difesa, nell’88 sede della mostra “Le Cento Masserie di Crispiano” (l’opera appena citata), con 600 pannelli fotografici; la Cigliano, con la sua scala a gomito; le Monache; la Lupoli, del XVI secolo, con il suo museo della civiltà contadina, la sua cappella della Madonna della Liberazione e la Torre medievale; la Coppola, con i trulli e le lamie; la Calvello, con la bella palma nel cortile; la San Simone, dove l’8 maggio si celebra san Michele Arcangelo…. Devo sempre ringraziare Vito Plantone, di Noci, che iniziò la sua carriera di poliziotto a Bari, la perfezionò a Milano lavorando con personaggi del livello di Mario Nardone, un mito, detto “il Gatto”, diventando poi questore a Catanzaro, Brescia, Palermo… 

Tonino Palmisano,Antonio Palmisano,Ninetta Console,Emanuele De Vittorio
Conversando come al solito di Puglia e del suo paese, quando dirigeva il commissariato Ticinese, in via Tabacchi, , nel capoluogo lombardo, questo eccellente investigatore mi disse testualmente: “Tu sei di Taranto, ma sicuramente non sei mai stato a Noci e mai a Crispiano, paese in cui mio cognato Lino fece il maestro”. “Nel tuo paese – risposta – ci sono stato tantissimi anni fa per il Premio “Le Noci d’oro”; a Crispiano no; ma ne ho sentito parlare molte volte all’età di 15 anni da una cugina di mia nonna, che era di Crispiano, innamorata della sua ‘culla’ come una bimba della sua bambola. Ricordo che parlava sempre dell’onorevole Lo Re, che per lei e per i suoi concittadini era una leggenda. Erano gli anni in cui i parlamentari non prendevano una lira”. “Un giorno verrò a prenderti e ti porterò a vedere il borgo antico di Noci e poi in quel paese-bomboniera, e ti presenterò una persona che vale la pena di conoscere.

Annese,Alfredo De Lucreziis,Vito Santoro

Si chiama Michele Annese, dirige la biblioteca locale ed è un fabbro della cultura e una figura di spicco”. Vito era di poche parole e si accendeva solo nelle feste in casa con gli amici e quando si parlava di Puglia. Fuori, soprattutto in questura, era un monumento ambulante, integerrimo e professionale, profondo conoscitore della criminalità organizzata e non. “Mi sembri Giuseppe Giacovazzo – aggiunsi – che a Filippo Alto scrisse per una cartella di litografie intitolata “Paese vivrai”: “Ti racconto – dopo quasi una vita – perché una lontana domenica ti trascinai dalla città a vedere come era fatto il mio paese. Tu ora lo dipingi. Io lo riscopro…”. Vito avrebbe onorato l’impegno, ma purtroppo si ammalò e Michele Annese lo conobbi al suo funerale, a Noci. L’invito a Crispiano me lo fece lui personalmente e mesi dopo me lo ritrovai di fronte, non al timone del suo bastimento, in corso Vittorio Emanuele, ma sul barcarizzo: sulla soglia della vecchia sede della biblioteca, in seguito trasferita in via Roma al 9, a due passi dalla chiesa della Madonna della Neve. Da una chiacchierata, breve e simpatica, capii che avevamo interessi culturali comuni e la stessa concezione della vita, da cui poteva nascere un’amicizia. Un caffè al bar vicino stimolò la promessa di rivederci. E ci rivedemmo non una, ma tante volte. E continuo a frequentarlo nelle mie rimpatriate nella solare Martina, dove mi ristoro lo spirito beandomi delle sue bellezze. 

La sagra del peperoncino a San Simone

 

 

Ogni occasione era, ed è, buona per correre a Crispiano, da solo o con mia moglie o con un seguito di amici e parenti. A far da calamita un’iniziativa in una masseria o nella via principale con tante bancarelle illuminate e negozi aperti fino a mezzanotte tra profumi di carne alla brace. Un pomeriggio andai alla Pilano, proprietaria Rita Motolese, per un evento con artisti polacchi, in onore dei quali vennero messi in fila una ventina di “capasoni” fasciati da un nastro tricolore (mi piacciono questi manufatti panciuti come donne in attesa). Tra la folla, Michele Annese, con l’aria di chi era lì per caso. Ricordo due signori, uno seduto e l’altro in piedi, piegato verso di lui, infuocati in un discorso su Ernesto Treccani, che citavano con il solo nome di battesimo come fossero critici d’arte in confidenza con il fondatore di “Corrente”. 

Presicci accarezza "la ballerina" alla Francesca
Ad ascoltarli due lucignoli con il fucile a tracolla, nelle vesti di briganti, e signore che rinverdivano vecchi mestieri e postazioni di artigiani geniali. Ricordo, alle Mesole, uno spettacolo musicale coordinato da Anna De Marco, una delle solerti e preparate collaboratrici della vecchia biblioteca; alla Monti del Duca, l’esibizione di una compagnia dialettale di Grottaglie; la presentazione del libro di Giuseppe Giacovazzo “Puglia il tuo cuore”, durante la quale il giornalista accennò tra l’altro alla grandiosa figura di Tommaso Fiore, al quale aveva dedicato un altro libro; al carattere un po’ ruvido di Padre Pio e alle campagne elettorali di Aldo Moro, che lo avevano avuto protagonista.

Donato Plantone

Al termine, mentre la folla degustava fichi ed altre delizie, Donato Plantone, segretario comunale della cittadina, accarezzava un cavallo con la testa fuori del box in vena di coccole, e un pittore soffiava nell’orecchio del vicino vita e opere dell’autore di “Un popolo di formiche, del “Cafone all’inferno”… facendo sue le parole dell’oratore. Non mancavo mai alle manifestazioni di Crispiano: al presepe vivente: alla festa della Madonna della Neve; al lungo e dettagliato racconto, fatto in corso Vittorio Emanuele, davanti a una fiumana di persone, degli scavi alla Masseria l’Amastuola, pilotati da un docente della libera Università di Amsterdam. Alla Francesca, data di nascita XVIII secolo, un paio di anni fa, a una cena per l’inaugurazione dell’agriturismo della struttura, con il condimento di un sassofono e di una fisarmonica, suonati da Armando De Salis e Vito Santoro, tra l’altro impegnato nella lodevolissima impresa di ripristinare la tradizione della serenata, proprio Michele mi parlò di un quadrupede che balla la pizzica e stuzzicò la mia curiosità: andai a trovarlo nelle scuderie, lo accarezzai a lungo e lui, per lasciarmelo fare, allungò il muso oltre il recinto.

Annese con la moglie Silvia

Fuori delle masserie, ho molto apprezzato la sagra dei funghi, promossa dal titolare del ristorante “C’era una volta” (non avevo mai visto tanti funghi, che a Cicerone ispiravano gli scongiuri). Nell’occasione mi venne in mente un testo di Enzo Tortora in cui tra l’altro il presentatore gentiluomo, coltissimo e piacevole, elencava i morti attraverso il vegetale in versione velenosa, complice nella storia di avversari spietati. Un esempio? Nerone, “che non nascondeva di dovere l’impero, più che agli Dei e alla volontà della Nazione, a un bolèto dal colore viola, un po’ sospetto”, servito da Agrippina all’imperatore Claudio… il 2 settembre del 2005, nel teatro comunale ho applaudito il concerto di Crispianapolis, un complesso che coltivava anche la musica etnica e comprende il virtuoso chitarrista Antonio Palmisano, valido operatore culturale della biblioteca. Al termine dello spettacolo, intervistai uno degli attori del seguitissimo sceneggiato televisivo “La Squadra”. Alla Sagra del peperoncino piccante (“puperùsse asquande”) ero uno dei primi ad arrivare, in compagnia di mia moglie, di Michele e della sua consorte Silvia, docente di lingua italiana e ottima collega in giornalismo (efficaci i suoi interventi nel libro sulle masserie).

La serenata con Santoro
Anche quella è un’impresa che Alfredo De Lucreziis e compagnia non dovrebbero fare impallidire, considerando anche il successo che ha sempre riportato e le personalità presenti, tra cui il professor Massimo Biagi, esperto internazionale di peperoncino piccante, il cui “stand” a San Simone era molto frequentato da appassionati in cerca di consigli. Ogni anno aspetto con ansia i primi di settembre per immergermi nel flusso dei visitatori che fanno la ronda con in mano un piatto di fagioli o di polpette o un gelato, una frisella, tutto spruzzato di peperoncino, che regna in tutte le cucine del mondo. Non tutte le zappe erano dunque forgiate nell’officina di Michele Annese, invaghito del suo paese e personaggio di altissime capacità. Ma in quasi tutte c’era la sua mano. Ho assistito, anni fa, a un colloquio tra Michele e alcuni titolari di masserie, che gli chiedevano consigli su un’idea da mettere in cantiere; il volume “Le cento masserie di Crispiano, uscito a cura dell’Amministrazione comunale della città (con testi dello stesso Annese, di Silvia Laddomada, Angelo Carmelo Bello, Tony Fumarola, Pasquale Pellegrini, Renato Perrini) lo ha avuto come artefice infaticabile. Alle Monache, masseria, del XVI secolo, proprietario Stella Perrini, produzione biologica di ciliegie, fichi d’India, vigneto e altro, con la partecipazione di numerosi ospiti, fu festeggiato un gemellaggio con la Grecia, che era una delle opere di Michele, stakanovista ed entusiasta. Il proprietario, professor Bianco, mi guidò in cucina, dotata di un grande tavolo circolare di pietra di fronte al vano che accoglieva il forno, dove un macellaio preparava la carne da servire durante la serata, mostrandomi poi la camera con il letto che nel ’75 aveva pagato 150 mila lire e tante altre grandi sale, arredate con mobili pregevoli. Non posso più dire grazie a Vito Plantone, che si disse disposto a portarmi a Crispiano. Lo farò un giorno, se nostro Signore deciderà di mandarmi a navigare tra le stelle, dove lui oggi certamente risiede. Se invece mi spedirà nella parte opposta, forse riuscirò a intercettare un messaggero. In ogni caso gli sono obbligato.

NOTA: SUL SITO "MINERVA CRISPIANO (BLOCK NOTES CON LA PENNA): "UN PREZIOSO VOLUME DI MICHELE ANNESE DI FRANCO PRESICCI"

mercoledì 21 ottobre 2020

Lavorare al “Giorno” di via Fava era esaltante

Guido Gerosa, a destra e il direttore del Giorno Lino Rizzi

 

LA FLOTTA DEI CRONISTI GALVANIZZATI

NON GUARDAVANO MAI AGLI ORARI

 

 



Quelli della “nera” non perdevano un colpo.


Quando erano su un fatto non lo mollavano se non dopo aver riempito il paniere.

 

Chi poi primeggiò in altri campi dopo aver lasciato il racconto dei delitti e delle rapine provava tanta nostalgia.

 

 

 

Franco Presicci

Palazzo del Giorno

Sin dalla sua nascita, in via Settala, il quotidiano “Il Giorno” ha avuto firme di altissimo livello, dal critico cinematografico Pietro Bianchi a quello teatrale Roberto De Monticelli, all’investigatore d’arte Marco Valsecchi, a Gianni Brera, re dello sport, a Giancarlo Fusco, tra l’altro autore di cinque o sei libri (tra cui “Quando l’Italia tollerava” sulle persiane chiuse)…. In tutte le redazioni c’erano degli assi. Per esempio per il ciclismo Mario Fossati; per il pugilato Nando Pensa… Tra gli inviati Pier Maria Paoletti, che stazionava in Cronaca, ma era anche un esperto di musica, Mario Zoppelli, Bernardo Valli, Giorgio Bocca; Patrizio Fusar, Guido Zozzoli, che Vittorio Emiliani, altra firma autorevole, descrisse come “affabulatore straordinario che deliziava i colleghi che dovevano sorbirsi il turno di notte fino alle 4, con i suoi racconti di eccezionale vivezza: drammatici o divertenti…”). La Cronaca era nota per la sua vitalità, col tempo galvanizzata da capocronisti di grande valore, prima Enzo Macrì e poi Enzo Catania, entrambi siciliani.

 

Catania fra i prefetti Serra e Colucci
Il secondo era un vulcano in eruzione: non molto alto, barbuto, elegante, schietto, generoso, autore di libri sulla mafia e su altri argomenti, collaudatosi asl settimanale “Tempo” di Nicola Cattedra. Si arrabbiava per un nonnulla e dopo cinque minuti ti batteva una mano sulla spalla e ti invitava a bere uno zibibo al bar del giornale o a quello dell’angolo tra via Fava e via del Progresso. Intuito e capacità di lavoro inesauribili, non aveva orari: capitava al giornale anche a mezzanotte, dava una controllata e spariva per tornare alle 7 del mattino. Lo si poteva chiamare a qualsiasi ora, volendo essere avvertito subito nel caso di un’operazione di polizia, un palazzo crollato, un incendio di grandi dimensioni. Si vestiva in fretta, si metteva in macchina e piombava al giornale. La “nera” aveva un campionario di scoiattoli invidiati dalla concorrenza. Oltre a Nino Gorio, che al Palazzo di Giustizia inanellava scoop di portata internazionale, fra cui quello che gli valse il Premio Cronista dell’anno che si assegnava a Sinigaglia, primeggiavano Piero Lotito, Giancarlo Rizza, Tanino Gadda, Giorgio Guaiti, Giovanni Basso, Maurizio Acquarone… In seguito ognuno di loro prese un'altra strada, preferendo chi la scuola, chi la cultura. Rizza, dalla penna elegante come Lotito, rimase inchiodato alla sala-stampa della questura, dove conosceva tutti, era in confidenza con molti e quindi non gli mancava mai la pappa. Anzi, abile com’era, anche lui metteva a segno colpi che lasciavano il segno.
Il cronista Giancarlo Rizza

Per esempio, una sera a cena con lo “staff” della squadra mobile in un ristorante in cui i camerieri erano vestiti come monaci, annusò una notizia e fingendo di dover andare in bagno sgattaiolò verso l’uscita un minuto prima che un dirigesse simpaticamente dicesse che nessuno dei presenti doveva lasciare il tavolo per un…emergenza. Era troppo tardi quando si accorse della fuga di Giancarlo, che era corso in via Fatebenefratelli, sede della questura, per torchiare un suo “trombettiere” . E fu “scoop”. Giancarlo era un tipo che non parlava troppo, paziente, colto, amante della buona cucina, e della vela (andava in barca con il figlio Sergio, diventato un valente collega e con la moglie a giocare a bridge al circolo dell’Aeronautica.) Fra i “roditori” ce n’era uno che non aveva orari. Il giornale era per lui casa e bottega. Non avrebbe voluto fare altro nella vita se non il cronista di nera: “la nera è esaltante, appassionante, coinvolgente, anche se nel raccontare i fatti si deve mantenere un doveroso distacco”. A qualunque ora della notte ricevesse la telefonata di una fonte, chiamava Dante Federici, un mastino (come Stefano Cavicchi) titolare di un’agenzia fotografica, e scattava. Sul luogo del delitto esaminava tutto. Se la persona era stata uccisa a bordo di un’auto, infilava la testa nell’abitacolo per vedere addirittura la marca di un pacchetto di sigarette. Spigolava dappertutto. Se c’erano testimoni li spolpava; se non ce n’erano andava a cercarli. La storia della criminalità la conosceva nei minimi particolar: nomi di boss e di gregari, di mezze maniche, le loro imprese, le loro tecniche, le loro condanne, le date. A volte un amico acquartierato fra la concorrenza si rivolgeva a lui per un dato.

 

Tanino Gadda e Luisella Seveso
Se un caso veniva affidato ad un collega, soprattutto se era alle prime armi come Enrico Nascimbeni (poi diventato famoso come poeta e cantautore) lui lo seguiva per dargli una mano o per curiosità; e se rimaneva al giornale, raccoglieva telefonicamente notizie che riferiva al collega interessato via radio (il marchingegno di trovava sulla cosiddetta macchina di cronaca pilotava da un autista). In una periferia milanese una sera, verso le 10, scoprirono una coppia assassinata in un’auto. Impegnato altrove, venne sostituito da Lotito, che lo rintracciò per dirgli che la cosa era grossa. Avuto l’indirizzo di una delle vittime, vi si precipitò, apprendendo tra l’altro che la donna era un’”entraineuse” che lavorava in un night svizzero. Il giorno dopo, eccolo prima in quel night, poi in un “residence” di Lugano, dove i due avevano alloggiato. Li raccolse un sacco dii informazioni e mentre rientrava a Milano ricevette una telefonata di Catania, impaziente di sapere che fine avesse fatto. Era anche lui instancabile. Una notte, attendendo una notizia importante (l’arresto di uno dei massacratori del Circeo a Panama), si stese sulla scrivania, usando come cuscini le rubriche del telefono. Lavorava senza sentire la stanchezza, anche se era a Tunisi per il delitto del catamarano o a Lugano per cercare le tracce di uno strano personaggio che sembrava implicato in traffici di armi e droga, o a Genova per la fuga del Vidocq di casa nostra dalla nave che doveva portando al carcere di Bad’e Carros, in Sardegna (fu un suo dei suoi “scoop”); o a Vicenza, per l’arresto di un boss della mafia.
Piero Lotito e Giorgio Guaiti

A volte gli affidavano incarichi piacevoli, sia pure forse a malincuore (perché sottraevano una pedina dalla scacchiera). In uno doveva narrare una crociera a bordo di un’ammiraglia della Costa: partenza da Malpensa per New Jork; da lì a Miami, quindi imbarco per le Isole Vergini. Dovendo restare a Miami due giorni, ne approfittò per andare all’Evergaides, a intervistare Sonny Bill, capo della tribù indiana dei Mikkosuki. Era galvanizzato, non per quel viaggio, che raccontò in una pagina intera, descrivendo persone e luoghi. Tra i quali il supermercato del tabacco a Saint Thomas di fronte a un negozio di Laura Biagiotti e vicino a un aquario, dove, attraverso finestre a vetri molto spessi si potevano vedere pescicani che facevano il girotondo con altri grossi pesci, e Saint Jones grondante di verde, raggiunto con un battello tipo quello visto in un film di Bud Spencer). “Sì, d’accordo, mi sono divertito, ho visto anche gente che rotolava per le dimensioni e fanciulle americane splendide; ho ballato con una signora di colore il doppio della mia altezza (nel buio trafitto dalle luci dei tavoli, stando seduta, sembrava pareggiarmi); ho visto cose interessanti; l’intervista a Sonny Bill mi ha riempito di gioia; la navigazione sulla grande palude che fu la roccaforte di Osceola è stata un’esperienza irripetibile; ma volete mettere la nera?”.

 

Guglielmo Zucconi e Giuzzi

Per la strage di via Palestro fu impegnato due notti e un giorno, ininterrottamente. Il giorno dopo la strage andò a trovarlo un tale che diceva di essere siciliano, di aver saputo da un suo cugino in carcere a Palermo per mafia il nome dell’autore del mandante del mandante, ma purtroppo non si fidò. Ricevette tre querele, ma si salvò come un naufrago a bordo di un motoscafo. Per un’inchiesta su un ambiente spinoso fu minacciato, ma mostrava non preoccuparsene. Merito anche dei capocronisti, Enzo Catania e poi Gino Morrone e poi ancora Giulio Giuzzi, che galvanizzavano la cronaca e davano fiducia a chi la meritava.

Ugo Ronfani

                                                                             

Giuzzi, Gorio e Pertini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così anche i direttori Gaetano Afeltra, Guglielmo Zucconi e Lino Rizzi, oltre ai vice Angelo Rozzoni, uomo serissimo, severo, grandissimo professionista;





e Ugo Ronfani, autorevole intellettuale, critico d’arte e già corrispondente da Parigi (aveva anche partecipato nelle vesti di giornalista alla guerra d’Algeria). Più volte ricevette da loro biglietti di congratulazioni. Qualche volta, nonostante il poco tempo a disposizione (nei quotidiani si lavora “ad horas”), riusciva a mietere ogni particolare utile, anche se sul posto non aveva amici informatori. Non prendeva appunti, teneva tutto a memoria. Gli altri colleghi, quelli che erano stati in squadra con lui e poi avevano seguito altre direzioni, continuavano a testimoniare la propria bravura la domenica o quando l’altro era in ferie; e magari veniva coinvolto anche da lì per fatti accaduti nelle sue vicinanze.
Per esempio, di sua iniziativa e regolarmente autorizzato dal Comando generale, trascorse una notte su una motovedetta della Guardia di Finanza partita da Bari a caccia di contrabbandieri di sigarette, armi e droga. L’articolo uscì due giorni dopo l’irruzione delle “Fiamme Gialle” sulla nave “Boustany One” nelle acque del capoluogo pugliese. Spesso ricordava una bellissima cronaca di Giorgio Guaiti per un delitto fra ciò che rimaneva della vecchia sede de “La Gazzetta dello Sport” in via Galvani (L’attacco: “Hanno ammazzato la Gianna…”); e uno di Piero Lotito su una sparatoria in un ristorante quasi in periferia. Insomma, cronisti di alto livello. Da non dimenticare Maurizio Acquarone, che sotto il traliccio di Segrate disse agli investigatori: “Se gli mettete i baffi scoprirete che è il corpo di Feltrinelli”. Aver fatto parte di quella cronaca naturalmente non ti consegna i galloni, ma ti dà orgoglio. E aver lavorato in quel “Giorno” dà orgoglio a tutti: impiegati e tipografi compresi, efficienti, preparati, solerti, collaborativi soprattutto quando il cronista in appostamento notturno arrivava per scompaginare il telaio per inserire una notizia dell’ultimo momento.



NOTA: SUL SITO "MINERVA CRISPIANO (BLOCK NOTES CON LA PENNA): "UN PREZIOSO VOLUME DI MICHELE ANNESE DI FRANCO PRESICCI"

mercoledì 14 ottobre 2020

Forbici e rasoi tra clienti illustri

GIORNI FA HA CELEBRATO 90 ANNI

LA BARBIERIA DI GALLERIA MAZZINI

Il grande radiocronista Nicolò Carosio,

conosciuto in tutto il mondo, era tra

i frequentatori del locale storico.

Ci andavano Tito Stagno e Gino Bramieri,

tantissimi campioni del calcio, “mister”

e personalità di altre categorie. Salvatore

Seccia, uno dei due titolari, ha imbarcato

sul naviglio il figlio del socio, scomparso,

Gianfranco.

 

 

Ingresso della barbieria

 

Franco Presicci

Era un mito. Quando descriveva una partita di calcio era esaltante, faceva teatro e i tifosi incollati alla radio attraverso le sue parole immaginavano lo spettacolo che si svolgeva sul campo. Quando il regime decise di epurare le parole straniere non fece fatica a dire rete anziché “goal”, facendo lo stesso con tutte le altre espressioni esterofile seminate nella terminologia calcistica. Il grande radiocronista, Nicolò Carosio, baffetti neri alla David Niven, era simpatico e spiritoso. A volte si sedeva a un tavolo esterno del bar che si apriva quasi all’ingresso della Galleria Mazzini, tra le piazze Duomo e Missori, e se gli andava, sollecitava qualche passante a farsi radere da Salvatore Seccia e Gianni Saccone, il cui salone da barba era proprio di fronte. Era uno scherzo, anche perché i due tonsori non avevano bisogno di un “supporter” pur se del livello di quel personaggio che mandava in delirio gli appassionati della pedata. Ma sotto sotto faceva loro piacere, perché Nicolò Carosio era Nicolò Carosio: un grande. “Piacevole e buontempone, un colosso conosciuto in tutto il mondo”, commenta oggi Salvatore Seccia, apulo di Margherita di Savoia, fisico atletico, baffi alla Chevron e la battuta facile e garbata. 

 

Salvatore Seccia
 
“Margherita di Savoia? Tu sei del paese delle saline, già presenti e famose nel III secolo a. C.?” E giù i ricordi: il paese sii chiamava “Saline di Barletta” e fu ribattezzato nel 1879 con il nome attuale per rendere omaggio alla consorte di Umberto I, re d’Italia, assassinato nel 1900 a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci. Margherita di Savoia si trova sulla sinistra del fiume Ofanto, che incontriamo nelle liriche di Orazio, ed è vicino a Canne, dove nel 216 si svolse la celebre battaglia vinta da Annibale sui Romani durante la seconda guerra punica… Salvatore aggiungeva particolari, citando anche il museo delle saline. Mi trattava da amico, come faceva, e fa, con la maggior parte dei suoi clienti, che quando vanno da lui per farsi radere, se hanno un cruccio se lo fanno passare. Il direttore del “Giorno”, Sandro Neri, giovane e di talento, colto e ottimo pilota del quotidiano, ci va anche perché gli piace l’ambiente e quando ha tempo osserva le vetrine con gli attrezzi del mestiere di una volta: rasoi e lamette, e non solo, oggetti da collezione (c’è chi ne possiede migliaia provenienti da diverse parti del mondo). “Prego, si accomodi”, dice Salvatore, senza tante cerimonie, ma con un sorriso comunicativo e poi slaccia la sua “verve” per spronare il cliente alla conversazione. Intanto gli pota la testa o gli modella la barba. Lo guardavo e ricordavo che in tempi lontanissimi il barbitonsore faceva un doppio mestiere: oltre ad usare pettine e forbici, estraeva i denti ed esercitava il salasso.
 
Salvatore Seccia e il prefetto Colucci
Ho conosciuto Salvatore nel febbraio del 2008, grazie al prefetto Francesco Colucci, che ha trascorso gran parte della sua carriera di poliziotto alla questura di Milano (da questore è stato a Bergamo, a Lecce, Genova). “Un giorno ti devo presentare un simpaticone mio amico, che fa il barbiere in centro. Ti piacerà, perché, oltre ad avere un carattere spassoso, ha tante storie da raccontare. Insegna anche in una scuola della categoria”. Ci andai e Salvatore mi accolse con una tale confidenza da farmi sentire come un suo compaesano a spasso nelle vie del paese, arioso e suggestivo, che una volta si chiamava “Saline di Barletta”. Fu ribattezzato nel 1879 con il nome attuale per rendere omaggio alla consorte di Umberto I, re d’Italia, assassinato nel 1900 a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci. Margherita di Savoia sorge sulla sinistra del fiume Ofanto, che incontriamo nelle liriche di Orazio, ed è vicina a Canne, dove nel 216 prima della nascita di Cristo si svolse la celebre battaglia vinta da Annibale contro i Romani durante la seconda guerra punica. Salvatore mi indicò i suoi collaboratori, compresa la “manicure”, seduta accanto a una specie di Alain Delon a cui curava le mani affusolate come quelle di un pianista. Era appena uscito un tale che mi sembrò Menelik II, imperatore d’Etiopia fino al 1909. Una parola tira l’altra e mi venne in mente di parlare del festival dei baffi che si faceva a Grottaglie, la città delle ceramiche, dove per due anni vinse un milanese copia stampata di Giuseppe Verdi.
 
Seccia
Salvatore ascoltava con apparente interesse, mentre elencavo i tipi di barba e di baffi di quel festival: alla D’Artagnan, alla Sandokan, alla Salvator Dalì; baffi a sciarpa, alla Cavour, alla Mangiafoco... E mi soffermai su un’edizione in cui i partecipanti si ribellarono per il fatto che la giuria, composta prevalentemente da donne, aveva votato un greco di ottima presenza, ma dalla …vegetazione poco apprezzabile. Aggiunsi che andai ancora a vedere, questa sfilata, quando si era trasferita a Montemesola, località a pochi chilometri da Taranto. “Ad averlo saputo ci sarei venuto anch’io. Si fa ancora?”. ”Non lo so”. Allora prese a dirmi che il loro locale (socio Gianni Sassone, attento e taciturno, oggi scomparso e sostituito dal figlio Gianfranco) “è sempre stato il punto d’incontro anche di gente dello sport.
Ed elencava: Ivanoe Fraizzoli; Bruno Raschi, vicedirettore della ‘Gazzetta dello Sport’, che seguiva i Giri d’Italia con il “patron” della gara Vincenzo Torriani; Gianni Invernizzi, allenatore nerazzurro quando fu liquidato Heriberto Herrera… Per inciso, il giorno prima del famoso derby Milan-Inter del 70-71 s’incontrò da noi con Nereo Rocco e qualche malalingua immaginò che i due ‘mister’ avessero preparato la competizione nella nostra sala da barba…”. E ci andavano, al tempo di quei ricordi Cesare Maldini, tanto schivo da lesinare le parole anche quando gli si chiedevano notizie sulla squadra”; Carlo Sangalli, ancora oggi presidente dell’Unione Commercianti; Alessandro Viani, il noto allevatore di cavalli da corsa (suo, Varenne, il campione del mondo); l’attore Cochi Ponzoni; i Bindi, della famosa fabbrica di pasticceria; e un bouquet di poliziotti: oltre a Colucci, Lucio Carluccio, che è stato questore di Brescia; Achille Serra prima di andare a ricoprire l’incarico di prefetto a Firenze e poi a Roma; il giocatore dell’Inter de Marco, l’ex presidente dell’Eni Poli; primari d’ospedale…
 
Un tratto della Galleria dal salone
Recentemente la barbieria ha festeggiato i 90 anni: inaugurata nel 1929, fu da Salvatore acquistata nell’80. “Sono arrivato a Milano nel ’65 e mi sono subito trovato bene”, grazie anche al suo carattere disinvolto, loquace e affabile. E’ un piacere tarsi tosare da lui. Appena lo vidi pensai ai versi del “Barbiere di Siviglia: “Ah, bravo, Figaro! Bravo, bravissimo/ fortunatissimo/ per carità/ Pronto a far tutto…”. Nelle barbierie la parola “Ragazzo, spazzola” non viene più pronunciata e quindi non c’è più lo sbarbatello addetto a questa funzione. Sono cambiate tante cose, non solo nell’ambito dei barbitonsori.
Saranno cambiati anche i tipi di barba che i professionisti devono affrontare, a parte gli imitatori. Un po’ di storia? Ma sì, non guasta mai. Tra i vecchi Greci i baffi si fecero largo nell’età classica. Scipione l’Africano, secondo Plinio, nella quotidiana rasatura preferiva i barbitonsori siculi. Ovunque era sgradita la barba trascurata. Non erano pochi quelli che si adornavano il volto facendosi crescere il pelo. E dire che la vanità è femmina. Lo squillo del telefono impone una sosta. Poi Salvatore riprende il suo discorso. “Ho tosato anche Tito Stagno”, il giornalista televisivo che commentò insieme a Ruggero Orlando il primo sbarco dell’uomo sulla Luna, la missione Apollo 11. 
 
Sullo sfondo Gianni Sassone
E Gino Bramieri, il grande comico nato a Milano da un falegname in una casa di ringhiera di corso San Gottardo e si affermò nella rivista con Macario, le sorelle Nava, Wanda Osiris”. E’ giusto che mi racconti la sua bella avventura. “Quando la gente si accorgeva che Bramieri era seduto sulla mia poltrona girevole si fermava e l’aspettava per chiedergli una barzelletta. Qui venne anche un giornalista a scattare delle foto che pubblicò su una rivista americana. E sempre qui hanno girato uno spot per promuovere delle calzature. “Mi dicono che hanno girato anche film”. “Era il ’74 e girarono una scena del ‘Romanzo popolare’ di Mario Monicelli, con Ugo Tognazzi e Ornella Muti”.
Durante le riprese c’era anche Beppe Viola, il compianto giornalista, scrittore, telecronista stimato da tutti. Beppe Viola, amico d’infanzia di Enzo Jannacci e molto apprezzato da Gianni Brera, che alla sua morte, a 43 anni, gli dedicò un breve ritratto alla sua maniera. Con Jannacci, Viola rivide in dialoghi in dialetto del film, accolto con grande favore dal pubblico. Per Nicolò Carosio Salvatore e Gianni erano “artisti associati”. Questa era l’insegna che per lui doveva campeggiare all’esterno della bottega, degnamente inserita tra i locali storici. “Diceva che siete maghi del rasoio”, intervenne un “habituè”. 
 
La barbieria
Salvatore si schermì e rivolgendosi a Gianni esclamò: “Parla anche tu, non stare sempre in silenzio”. E Gianni parlò con un sorriso. “Sarà stato un colpo di fulmine a spingerti verso pettini e pennelli da barba”. “Ma no. Avevo sei anni, al mio paese il salone da barba stava di fronte a casa mia e il pomeriggio vi facevo il ’ragazzo-spazzola’. A sedici anni, giunto a Milano, ho fatto pratica in via Fara e nel ’70 ho avvistato la Galleria Mazzini. Nel ’72 sulla barca è salito Gianni “e avete cominciato una nuova navigazione”. Stavo organizzando il campionato italiano parrucchieri uomo e donna al Leonardo da Vinci”. Sbirciai l’orologio: era già mezzogiorno. Il Figaro non mi lasciava andare. Ha conservato alcune buone abitudini del Sud e non poteva permettere che io scomparissi prima di aver fatto un salto con lui al bar di fronte, molto elegante e ben frequentato, a bere un caffè o qualunque altra cosa desiderassi. Gli dissi che non prendo bevande e non assaporo dolciumi; e rispose che ero ridotto male, ma che avrei potuto bere almeno un bicchier d’acqua in sua compagnia. Devo lottare ogni volta anche con Francesco Colucci e con Lucio Carluccio.








mercoledì 7 ottobre 2020

Denso di emozioni il libro di Ornella Protopapa

 

LO HA PRESENTATO FRANCESCO

LENOCI DOPO UN PREMIO ISFOA

ALLA CARRIERA

 

Uno dei tanti riconoscimenti che il docente universitario ha ricevuto per le sue alte doti intellettuali. 

 

In un salone di “Mare culturale urbano”, a Milano, ha spiegato in maniera confidenziale l’opera: “All’ombra del vecchio tiglio”, che con uno stile efficace, brillante, agile, avvincente, rapisce l’attenzione e il cuore del lettore. 

 

Ornella sullo schermo

 

 

Franco Presicci

Su un rudere può spuntare un fiore. E la vecchia Cascina Torrette di Trenno, in via Giuseppe Gabetta, 15, è sfuggita alla sorte di tante consorelle demolite dal piccone. La mano dell’uomo le ha riaggiustato le ossa e rimessa in piedi, dandole un nome attraente: “Mare culturale urbano”, frequentato da numerosissime persone. Chi non l’ha mai visitata crede sia un nome scelto per catturare la gente; invece vi si cammina sulla sabbia, ci si stende sulla sdraio sotto l’ombrellone, si conversa, si legge, si medita, si fanno confidenze tra i vicini e si sogna il mare, che qui non c’è, ma se ne respira l’aria. La cascina è del 1600 ed è diventata un presidio sociale e culturale per la periferia ovest della città. Un’opera di apprezzabile rigenerazione urbana. 

Lenoci nello spazio lettura
In un salone che probabilmente una volta era la stalla, tra luci soffuse, su una larga pedana, è stato presentato l’altra sera il bellissimo libro di Ornella Protopapa, “All’ombra del vecchio tiglio”, con l’intervento del professor Francesco Lenoci, al quale due giorni prima l’Isfoa, in via Santa Marta 22, aveva assegnato il premio alla carriera, assieme a Germano Lanzoni, il famoso “milanese imbruttito”, e a Tonino Lamborghini della famosa famiglia produttrice di automobili di lusso. E’ stata una serata interessante, con un pubblico folto e attento. Lenoci ha parlato in modo confidenziale, rivolgendosi spesso a Ornella, che gli aveva detto: “Gli elementi della natura aleggiano nel libro, e quindi incarnano perfettamente lo spirito che tutti vorrebbero imprimere alla propria vita. Ti auguro giornate piene di vento che fa bene al cuore e all’anima, come il vento che fa muovere le vesti delle tarantate”. Lui il vento del Salento lo ha visto soffiare forte due volte: sul faro di Punta Palascià, a novembre del 2019 (Ornella vi ha presentato il suo libro il 20 agosto del 2020); ad Alessano mentre parlava agli “scout” intorno alla tomba di don Tonino Bello, vescovo, poeta, maestro di vista, in odore di beatificazione. Io sono abituato ai venti di Martina Franca, che ululando dondolano querce e castagni, noci e fichi e danno un colore argenteo alle foglie degli ulivi.
La presentazione del libro

E, come Lenoci, Ornella, conosce il vento di Milano, una delle due città in cui si snodano le varie vicende della protagonista del romanzo: Bianca. “Bianca vive e lavora a Milano. Ma c’è qualcosa dentro di lei che la spinge altrove. Lascia un impiego soddisfacente che l’aveva vista impegnata per il “raggiungimento di un concetto di perfezione”, che improvvisamente le appare vuoto e insignificante. Un sogno la scuote, le dà l’impulso: suor Adele, tutto amore per i bambini e preghiera, fa da tramite alla sua voglia di palingenesi. E lei corre. Eccola di fronte alla cattedrale di Otranto“, ad ammirare la semplicità delle sue linee architettoniche (ah, la cattedrale di Otranto, il solo nome scatena il ricordo del 28 luglio 1480, quando i turchi massacrarono 800 persone decise a non abiurare la loro fede cristiana: n.d.a.), quindi entra nel tempio e ruota lo sguardo fra le navate.

Enzo Rocca e Ornella
 
 
 
Riflette e decide di bussare a Casa Donna Petronilla, dove incontra tanti bambini, e pensa che il “mio digiuno d’amore è finalmente finito”. Un libro che tiene il lettore inchiodato alla sedia per una giornata, come è successo a me, che avendo cominciato a leggerlo, ho saltato anche il pranzo, non accorgendomi che il tempo passava. Ogni pagina avvince, commuove, coinvolge, con uno stile agile, brillante, espressivo, efficace, che qua e là sfiora la poesia. La storia si svolge con un profumo di tiglio, albero dalle foglie a cuore e simbolo di fedeltà e amicizia. Il tiglio, che si nutre di leggende ed era molto apprezzato dai greci antichi, è una presenza quasi umana, a cui chiedere protezione nei momenti di smarrimento, almeno questa è l’impressione che ho avuto io divorando il racconto tra sacro e profano, tra sogni e realtà. Ci si può ritrovare nella protagonista, una ragazza forte e fragile nello stesso tempo, alla ricerca del proprio cambiamento, della propria rinascita. E Bianca confessa con sincerità e semplicità questo bisogno.
 
Lenoci e Andrea Capaldi
 
Lenoci, che sa tenere desta l’attenzione e non è mai monotono, non si è limitato a fare commenti: con la sorella di Ornella, Tiziana, che intercalava in maniera discreta, simpatica, poneva domande, ma non per fare un lavoro di scavo, solo per saperne di più. E Ornella ha risposto con piacere. Sollecitata dal relatore, ha parlato della processione nel mare di Otranto della Madonna d’Altomare, avvenimento importante e solenne. E’ lì si è rasentata la tragedia, di quelle che lasciano perplessi e fanno gridare al miracolo: Bianca e suor Adele hanno portato i bambini più grandi a vedere la spettacolare cerimonia liturgica, estasiate davanti alla statua della Madonna accompagnata dalla banda e “scortata da storici pescatori”. Imbarcate su un naviglio tra crepitii di fuochi d’artificio che in cielo si aprono come stelle, e tante altre piccole barche, all’improvviso Ieia, 5 anni, cade in mare. Bianca chiede aiuto a gran voce, sopraffatta dai suoni e dalla confusione, si tuffa, cerca di afferrare il vestito della bambina, le urla di non cedere, stanno per soccombere, quando un giovanissimo angelo compare nell’acqua e li salva. 

Ornella Protopapa firma le copie

Sacro, superstizione? Importa il risultato. Ma Bianca non si dà pace: deve sapere, incalza chiunque incontri, e apprende che in tempi lontanissimi per una disgrazia era morta annegata una bimba. A dirglielo, rovistando nella memoria, è suor Adele. Quella bambina era figlia di una famiglia scampata al massacro degli ottomani. Le domande di Lenoci si susseguono. Tra queste, l’invito a parlare delle tradizioni e Ornella è sempre pronta ad esaudirlo: “Dalle nostre parti nel periodo natalizio, le donne preparano squisiti piatti fatti in casa utilizzando miele e canditi, in particolare le ‘pittule’, una soffice e squisita bontà fatta con acqua e farina fritta in olio bollente”. Le cuciniere dell’orfanotrofio, Dina e Mega, si affaccendavano nella preparazione di ’pareddhruzzi’ e ‘carteddhrate’”. Esaudito Lenoci, che su Facebook ha tra l’altro un gruppo, il cui motto è “Ogni pietanza ha il piatto adatto”, Tiziana piazza la domanda sulle radici. Beh quelle non si possono estirpare. Anche un trattore con la sua potenza fa fatica a sradicare un ulivo. Beh quelle non si possono estirpare. Anche un trattore con la sua potenza fa fatica a sradicare un ulivo. Ovunque si vada, il richiamo del paese nativo ti segue, suscitando spesso nostalgia. E per sentirsi vicino alla culla qualcuno utilizza il dialetto, altro argomento caro a Lenoci.


Concludendo: “All’Ombra del vecchio Tiglio”, pubblicato da Bertonieditore, è un libro splendido, in cui Ornella Protopapa descrive con sapienza paesaggi, situazioni, personaggi;, sentimenti, dipinge suor Adele, la piccola Iela, che non parla da quando ha subito un trauma e ha tanto bisogno di amore e di premure; l’atmosfera dell’orfanotrofio e la vita che vi si conduce e la bellezza del Salento, dove si sposano mare e sole, sacro e profano. Pagine dense, ricche di dettagli. Il finale? Quello lo si scoprirà, con altre novità, leggendo. L’illustrazione di questo libro è una delle tante manifestazioni di “Mare Culturale Urbano”, dove “le persone possono stare insieme, passare il tempo e star bene. E’ un connettore culturale e sociale, dove artisti e cittadini respirano la stessa aria, scambiandosi necessità ed esperienze per alimentare reciprocamente il senso del proprio stare al mondo”, riferisce Lenoci, entusiasta di questo luogo, che “ospita anche compagnie nazionali e internazionali per la produzione di attività territoriali e attivazioni urbane rivolte al quartiere…”.
Il brindisi con il pubblico
Durante il brindisi di saluto molti ospiti gli hanno chiesto notizie di Ornella Protopapa, una signora bella e gentile, nata in Svizzera e cresciuta a Martano, paese che custodisce un castello del XV secolo, di cui sopravvivono due torri. Si è laureata in materie economiche all’Università Bocconi a Milano – città “altera, elegante, fieramente vestita delle sue contraddizioni, fredda e spigolosa e tanto lontana dal calore e dal fascino dell’orientaleggiante Otranto, che riempie il cuore, ma generosa e ospitale” – vive in campagna nei pressi di Crema, con il marito Alessandro e i loro due figli, Giuseppe e Luca; lavora nel capoluogo lombardo, in banca nel settore del marketing. Il 6 agosto di quest’anno è stata nominata da Teresa Gentile, coordinatrice del Salotto Culturale di Palazzo Recupero di Martina Franca, Dama dell’Arcobaleno, che è quella “che ogni volta che realizza un sogno e condivide una sua idea di bellezza, crea emozioni positive, contribuendo ad accrescere l’armonia presente nel creato”. E stato forse proprio all’ombra di un tiglio che ha scritto questo libro, tenuto per tanto tempo nel cassetto, dove spesso si tengono i sogni. Lei ha avuto il coraggio di tirarlo fuori ed è stata premiata, perché - lo direi ancora tante volte – questa sua opera è una perla.

    

NOTA: SUL SITO "MINERVA CRISPIANO" (BLOCK NOTES CON LA PENNA):

"UN PREZIOSO VOLUME DI MICHELE ANNESE DI FRANCO PRESICCI"